L’ACCORDO DI AQUISGRANA: IL VERO VOLTO, NON COMUNITARIO, DELL’EUROPA di Francesco Bochicchio
01 febbraio 2019
Ad Aquisgrana si è perfezionato un importantissimo accordo
tra Germania e Francia, così importante da essere qualificato come Trattato.
Quale che sia il nome, ed il termine “Trattato” è forse esagerato, ma sembra
utilizzato apposta per consacrare la sua importanza ed anzi la sua portata
epocale, quello che è certo è che non solo si concretizza in una vera e propria
esclusione dalla sua portata del resto dell’Europa, ma anche si rivela tale da
creare all’interno dell’Europa un nucleo duro, che esclude la sua natura
comunitaria e consacra una vera egemonia. L’Europa non esiste. Esiste l’Impero
tedesco, con alleato forte francese e con alleati minori, la cui natura minore viene
così sbandierata ai quattro venti.
Ernesto Galli della Loggia, da tempo
critico della deriva liberista, anche di quella a sinistra, e nostalgico della
socialdemocrazia, constata che di fronte al sovranismo vi sono due
nazionalismi, quello tedesco e quello francese, il che dimostra il fallimento
dell’Europa.
Non si può non convenire con l’illustre
folgorato sulla via per Damasco, anche se più che di due nazionalismi è
corretto parlare di un impero tedesco con alleato francese. Che i due non siano
concordi non dimostra la sussistenza di quella dialettica che si vuole vedere
sul “Corriere della Sera”: semplicemente si tratta di quel leggero “distinguo”
tra centro dell’Impero e periferia – in senso politico e non geografico, visto
che i due Paesi sono tra di loro attaccati- privilegiata. A ben vedere, i “distinguo”
non hanno alcuna consistenza: l’insofferenza di Macron per l’austerità tedesca
è una maschera di una richiesta di maggiori privilegi, e non sfocia nella confessione
della linea tedesca, dei cui frutti la Francia stessa beneficia alla grande,
potendo le imprese francesi fare incetta di gioielli imprenditoriali italiani,
che il nostro Paese, messo in ginocchio, non è da tempo in condizioni di
difendere.
Al di là di differenze, pur non banali di
impostazione nell’analisi e nella ricostruzione, quel che conta è il punto
centralo, su cui vi è accordo totale tra gli interpreti -quelli non omologati,
s’intende, che l’Europa non solo è fallita ma addirittura è inconsistente:
ovviamente tale punto centrale viene riconosciuto dagli interpreti non
omologati ma non dall’opinione dominante che lo trascura.
L’Europa si oppone al nazionalismo ma è
la quintessenza del nazionalismo, addirittura –secondo la versione dello
scrivente- dalla natura imperialista.
E’ l’unione, anzi la simbiosi, perfetta e
perversa, tra nazionalismo e globalizzazione (quale manifestazione de
materializzata, de-localizzata e finanziaria), propria del volto del capitale
nella sua versione finale, di capitale finanziario.
La polemica contro l’Europa da parte del Governo
gialloverde è anche condotta spesso in
modo inadeguato -l’attacco alla Francia sulla moneta coloniale è stato
realizzato senza una seria e completa analisi, anche se la sostanza non è così
infondata come invece i critici “unionisti” vogliono far vedere; del resto,
l’attacco di Macron contro Salvini e Di Maio, quali governanti non adeguati,
anche se il “leader” francese si è espresso con una certa finezza, a differenza
dei due nostri, non è così diverso-, ma mostra che il Re è nudo. Il richiamo
dell’opinione dominante alla necessità della diplomazia trascura per l’appunto che
l’azione del Governo, pur malaccorta che sia, non è nient’altro che una
ribellione nei confronti di un dominio oppressivo e rovinoso. La politica di
Salvini nei confronti degli immigrati è inaccettabile ed addirittura
inammissibile, ma lo stesso ha mostrato, con grande sagacia, l’ipocrisia ed
addirittura la natura fittizia dell’atteggiamento umanitario europeo.
L’isolamento in Europa che si imputa al
Governo è fasullo: è l’Europa che è isolata e priva di rilievo.
Sia ben chiaro, uscire dall’Europa o
dall’Euro è, con quasi granitica certezza, per chi non si può difendere sui
mercati, una soluzione peggiore di quella opposta, ma in ogni caso è bene
prepararsi al crollo, per fattori endogeni, dell’Europa. Il sogno di una nuova
Europa, da molti coltivato, è del tutto illusorio, proprio in quanto le sue
tendenze e la sua natura intrinseca dimostrano la sua incapacità di correzione
endogena. Cu vuole un sussulto impetuoso esterno.
Nazionalismo e liberismo convivono
armonicamente nell’Europa: è qui si snoda il nesso perverso da spezzare.
L’Europa non è portatrice di
universalismo.
Se si vuole l’universalismo occorre
andare oltre l’Europa: ma oltrepassare l’Europa è intrinsecamente necessario
perché essa è priva di futuro, ed il presente è a breve scadenza, Le dinamiche
storiche portano ad una bipolarità tra America e Cina, con blocchi terzi
autonomi (Russia, mondo arabo) dotati di un’effettiva coesione politica, mancante
all’Europa, e con l’Inghilterra che va verso orizzonti inesplorati, ma restando
ancorati ad un profilo non tanto di geo-politica quanto piuttosto di
dislocazione del potere finanziario sulla base di criteri diversi da quelli classici
di filosofa politica e comunque non coincidente con questi.
La soluzione va quindi trovata su un
piano totalmente innovativo di una nuova forma politica basata sulla
coesistenza tra repubblica universale e sovranità monetaria e finanziaria sei
singoli Stati.
Il lancio di tale nuova forma non può che
partire dall’Europa, unica che ha elaborato principi in qualche modo con essa
compatibili, ma la sua affermazione non potrà che prescindere dalla stessa
Europa e dovrà porsi su un piano di regolamentazione globale del capitale
finanziario.
Proprio su questo piano una sintesi tra
protesta popolare e necessità di correggere drasticamente le dinamiche
speculative e rovinose del capitale finanziario possono porre le basi di siffatta
nuova politica, soprattutto, se come con certezza assolutamente granitica, il
grado di tendenze rovinose del capitale finanziario continua ad aumentare in
modo esponenziale.