KEYNES E' VIVO E LOTTEREBBE ASSIEME A NOI di Alberto Benzoni
08 gennaio 2018
Se solo accettassimo il suo aiuto
Leggo su "Internazionale", numero del 28 dicembre e segnalo, un breve
riassunto di un importante studio di un gruppo di economisti sul "World
wealth and income data base 1980-2016”.
Un documento estremamente interessante non solo per quello che dice e che già
sappiamo ma anche e soprattutto per quello che ci ricorda e che ci rifiutiamo
di sapere.
Alla prima categoria appartiene la notizia che nel mondo intero aumentano le
disuguaglianze,interne alla singole nazioni: cosa che la sinistra ripete di
continuo ma che non fa in sè e per sè nè caldo nè freddo ai suoi ascoltatori di
riferimento. Perché questi si sentono colpiti dalle disuguaglianze solo se
queste vengono a toccare la loro posizione in termini di reddito e di
sicurezza.
E allora, seconda cosa che sappiamo, il rapporto ci dice che è effettivamente è
così,ma non dappertutto. Perché in tutta l'Asia ( come anche in Russia e
Turchia) i ceti medi ( definiti in termini di reddito, senza alcuna accezione
sociologica o politico-ideologica) hanno visto aumentare in modo esponenziale
la loro consistenza numerica, il loro livello di personale e anche ( ebbene sì)
le loro libertà personali ( di consumare, conoscere, discutere, viaggiare,
sperimentare) il che, sia detto per inciso, le rende poco sensibili al tema
delle libertà politiche e sostenitrici consolidate dei regimi al potere.
Altrove, invece, e in particolare negli Stati uniti e in America latina, alla
crescita sempre più rapida del reddito dei super ricchi corrisponde la
stagnazione se non il potenziale declino nella condizione dei ceti medi; e (
questo il rapporto non lo dice ma noi dovremmo saperlo) con conseguenze
potenzialmente destabilizzanti per il sistema politico. Dove, in America
latina, i ceti medi, animati da un feroce odio di classe combattono sotto la
bandiera fasulla della lotta alla corruzione una feroce battaglia e contro i
regimi populisti e/o socialdemocratici, protagonisti, negli anni scorsi, di un
processo di redistribuzione del reddito e del potere che oggi si intende
rimettere in discussione. Mentre, negli Stati, spazzata via l'èlite affaristica
clintoniana, si misurano sempre più chiaramente la narrazione
populistico-reazionaria della crisi e quella socialista.
Per chiudere su questo specifico tema, la narrazione su questo punto il
Rapporto ci dice che in Europa la crescita delle disuguaglianze e il relativo
deperimento dei ceti è di proporzioni ancora limitate.
Perché? Qui si apre la seconda grande finestra del rapporto sui processi in
atto negli ultimi cinque anni.
Perché il Rapporto ci dice un'altra fondamentale cosa che dovremmo sapere ma di
cui ci rifiutiamo, almeno sinora, di trarre le dovute conseguenze. Quando
sostiene che la grande rivoluzione di questi quarant'anni non è il frutto della
fatalità ma di una precisa scelta politica: quella che ha portato negli ultimi
decenni ad una crescita esponenziale dei patrimoni privati ( 250/300% del Pil
negli anni settanta, oltre il 700%oggi) e, contestualmente, al drastico ridursi
delle risorse pubbliche; con la conseguente riduzione della possibilità di
intervento per lo sviluppo e la redistribuzione del reddito: non solo in
America ma anche in Europa gli investimenti sono ai livelli più bassi da
decenni a questa parte.
Su questa base ( che comporta anche la crescente difficoltà di sostenere una
posizione di debito) il futuro del modello sociale ed economico europeo,
costruito dopo decenni di lotte e con il contributo essenziale del movimento
dei lavoratori, appare segnato. Questo il rapporto non lo dice espressamente ma
dovremmo saperlo. Come non dice, perché la cosa dovrebbe essere chiara a tutti,
che l'Europa e ancor più l'Italia ( dove l'attacco politico e culturale al
ruolo e all'idea stessa di stato è stato più forte e incontrastato che altrove)
vive oggi la situazione analizzata da Keynes: abbondanza di risorse finanziarie
private; renitenza ad investirle; mito del pareggio del bilancio;disoccupazione
di massa. Senza però che nessuno, compresa una sinistra parolaia e ansiosa di
rispettabilità, se ne voglia accorgere.
Pure il rilancio del ruolo dello stato e dell'intervento pubblico, in Italia ma
anche a livello europeo, dovrebbe essere per noi una priorità assoluta.
Perchè allora non lo poniamo al centro della nostra iniziativa politica ed
elettorale, costruendoci sopra un vasto arco di alleanze ? C'è chi parla di
tradimento e di asservimento ideologico. Ma c'è anche chi parla di una sopraggiunta
incapacità di intendere e di volere. Io propendo,da sempre, per la seconda
ipotesi. E voi?