JAMES TRUMP, LICENZA DI UCCIDERE di Alberto Benzoni del 6 gennaio 2020
06 gennaio 2020
Mike
Pompeo, degno segretario di stato di cotal presidente, si aspettava, dopo
l’eliminazione di Soleimani, folle festanti e il solito “sì buana” degli
europei. Non ha avuto né le une né l’altro. E si è dovuto accontentare della
manifestazione di sunniti iracheni (quelli contro i quali l’America aveva fatto
due, anzi tre guerre, nel 1991, nel2003 e, infine, nel 2014-19, le prime due
con il silenzio-assenso di Teheran, l’ultima con il concorso attivo dello
stesso Solemaini e delle milizie sciite) e del plauso sgangherato, tra
un’esibizione di rosari e l’altra, di quell’immane cialtrone di nome Salvini,
che appare destinato a governarci solo per l’ignavia e la totale
irresponsabilità dei suoi avversari.
Per il resto, un grande silenzio. Accompagnato dall’invito pressante e direi
supplichevole a Teheran a non reagire. Non troppo. E, soprattutto, non subito.
Dobbiamo ascoltarlo questo silenzio. Guardarci dentro. Perché è il silenzio
pieno di paura di chi sente che si è rotta una diga che ci proteggeva da una
potenziale catastrofe. Ma è anche quello di chi avverte che si è superato un
limite; o che si è violata, consapevolmente, una delle regole non scritte che
governano i rapporti tra le nazioni. E che l’autore di questa terrificante
bravata non è il dittatore della Guinea Equatoriale ma il presidente degli
Stati Uniti, autoproclamatosi legislatore, sceriffo, giudice e boia del mondo
intero.
“Ex ore tuo te judico”. Ascoltiamolo dunque il breve discorsetto con cui ha
annunciato alla nazione americana le ragioni della sbrigativa e, oltretutto,
estremamente facile (torneremo su questo punto) eliminazione di Solemaini.
Primo: “preparava un attentato”. Secondo: “era contro di noi”; e, di più,
“aveva ucciso degli americani” anzi “milioni di americani” (?!).
Forse il leader dei Pasdaran “preparava un attentato”; o forse no. E’ il
classico processo alle intenzioni. Ma quello che è certo è che questo attentato
sventato ne alimenterà altri mille, preparati e spontanei: e che gli americani
uccisi saranno molti ma molti di più di quelli, pochissimi, che hanno preceduto
e giustificato sia l’esecuzione del capo dei Pasdaran che la rottura (peraltro
temporanea) delle trattative con i talebani. Per tacere del popolo iracheno,
vittima nelle ultime settimane della repressione del regime filoiraniano, luogo
deputato nell’immediato futuro del riaccendersi del conflitto tra Washington e
Teheran, con la ripresa su larga scala della guerra civile.
In quanto alle innumerevoli vittime americane degli iraniani e dei loro
alleati, queste stanno solo nella fantasia malata del presidente e dei suoi
sostenitori: a Teheran, nel 1980, non morì nessuno; e facendo il conto delle
vittime di attentati di matrice sciita negli ultimi vent’anni, non si arriva a
mille. Molti ma molti di meno di quelli causati, a partire dalle Torri gemelle,
da fanatici sunniti allevati da Ryad e da Washington.
Ma, in questo come in altri casi, il conteggio delle vittime chiarisce sì
alcune cose ma non ci porta lontano; anzi ci allontana dalla sostanza del
dramma che stiamo vivendo. Che riguarda, come richiamato dal titolo della
nostra nota, la “licenza di uccidere”. James Bond ce l’ha: ma perché è un
agente dei servizi segreti; e, attenzione, soprattutto perché ha sempre a che
fare con avversari non solo indiscutibilmente malvagi ma anche chiaramente
nemici non solo suoi o del suo paese ma dell’intera umanità.
(E qui, voglio aggiungerlo a completare l’argomento, non vale nemmeno l’esempio
di Israele: perché lo stato ebraico, teorizzatore esplicito e praticante
assiduo e spesso spietato della necessità dell’autodifesa e della rappresaglia,
conosce e pratica anche quella del negoziato e della tregua e, in generale del
conflitto controllato: oggi praticati nei confronti di Hamas ed Hezbollah, come
di Teheran. Così, ad accogliere con giubilo l’esecuzione di Solemiani sarà
stato Netanyahu ma non certo Gantz, gli apparati di sicurezza).
Chiusa questa necessaria parentesi, torniamo al Nostro. E al fatto che la sua
eliminazione non sia stata presentata con il fascino un po’ (anzi molto) kitsch
che ha accompagnata quelle di bin Laden e di al Baghdadi. Ammazzare uno che se
ne va tranquillamente in ufficio, senza scorta e/o macchine blindate è
facilissimo; ma è roba da n’dranghetista; non da leader del mondo libero. E se
la vittima si è esposta a questo rischio è perché pensava di non correrne
nessuno. Convinta, com’era, che l’eliminazione di uno dei massimi dirigenti
politici di un paese anche nemico si potesse ritenere esclusa; perché, almeno a
mia memoria, non praticata da più di ottant’anni. Da quando cioè Mussolini e
Hitler fecero uccidere re Alessandro e Dollfuss; senza però agire a differenza
di Trump, in prima persona, ma affidando la bisogna a nazisti austriaci e
ustascia croati.
E qui si è passato un limite. Invalicabile in qualsiasi ordine mondiale degno
di questo nome. E lo si è fatto davanti agli occhi del mondo intero.
E lo si è passato con un’azione perfettamente coerente con la linea tenuta
lungo il corso di quasi tre anni. In cui si è preteso: di sottrarsi a ogni
regola e di imporre le proprie agli altri; di imporre una nuova visione del
soft power in cui non ci si propone più di “indurre gli a fare di loro
spontanea volontà ciò che noi vorremmo che facessero” ma di “impedirgli di fare
ciò che vorrebbero fare perché ciò danneggia i nostri interessi" e,
infine, di costruire la propria egemonia a scapito non solo dei propri nemici
ma anche dei propri alleati.
Fin qui avevamo incassato i colpi, senza reagire. Passi riconoscere un
presidente fantasma come Guaidò. Passi vedere i propri rapporti commerciali
continuamente messi in discussione da veti e sanzioni. Passi la richiesta di
maggiori spese militari. Passi la denuncia ad accordi di controllo degli
armamenti, base del nuovo sistema di sicurezza europea. Passino le intemerate
di un ambasciatore contro il completamento del North Stream oppure le
imposizioni di sanzioni a paesi del tutto estranei alle pratiche denunciate da
Washington, Passi e passino. Ma arriva il momento in cui il calice è colmo e si
comincia a dire basta.
Lo hanno detto, schierandosi contro Trump e contro qualsiasi ipotesi di
escalation del conflitto, i democratici americani, a partire dallo stesso
Biden, forse perché stufi di vedere fatta a pezzi l’eredità di Obama. Lo
comincia a dire l’Ue, il cui progetto di lotta al riscaldamento climatico è
praticamente impossibile da sostenere economicamente con la concorrenza al
ribasso dei petrolieri americani. Lo dovrà dire, ancora, l’Europa, quando sarà
investita dalla grandinata di dazi promessi da Trump. Lo dovrebbero dire, e al
più presto, i paesi, come l’Italia, impegnati in missioni di pace là dove
crescono esponenzialmente i pericoli di guerra.
Nessuno è in grado di prevedere quale sarà la reazione e dove ci porterà.
Quello che è certo è che, da ora in poi, l’America non potrà più svolgere
insieme, il ruolo di sceriffo e di fuorilegge; pretendendo, in questo duplice
ruolo, di governare il mondo. E , di conseguenza, che un ordine mondiale,
comunque lo si concepisca, dovrà essere costruito su nuove basi.