IN DIFESA DI CONTE E DEGLI STATI GENERALI di Alberto Benzoni del 14 giugno
14 giugno 2020
Dico subito, così da chiarire una volta per tutte la questione, che se vivessimo in un paese normale e con una classe politica e imprenditoriale normale, non avrei alcuna particolare simpatia per “Giuseppi”. Anzi, da socialista, avrei ottimi motivi per contestare molte delle sue scelte. Se lo difendo, come in questo post, è perché detesto e disprezzo (politicamente s’intende) coloro che sprizzano veleno contro di lui e contro il suo governo un giorno sì e l’altro pure, e quelli che continuano a giocare ai quattro cantoni con rimpasti, crisi e, peggio mi sento, elezioni anticipate.
Per dirla in sintesi, non sono contiano; sono anti/anti contiano (illustri precedenti: gli anti/anti sovietici e, poi, e soprattutto, gli anti/anti americani).
Parto da qui per capire il senso politico dell’operazione Stati generali; ignorando, come meritano, le obiezioni di coloro che prima denunciano l’iniziativa come show (quando la si pensava come aperta) e poi l’attaccano, perché a porte chiuse, come attentato alla democrazia.
“Passerella” l’ha chiamata la Meloni. Per lei un banale insulto; per chi scrive, un elogio. Perché proprio quello è il senso dell’operazione. Una passerella di sindacalisti, esponenti del terzo settore, rappresentanti degli enti locali e dell’associazionismo per prendere campo e sfuggire alla morsa benevola degli alleati di governo, fastidiosa di economisti e virologi e ostile degli ambienti imprenditoriali. Una passerella per prendere, personalmente, un po’ di campo. E, soprattutto, una passerella per far capire quanto l’Italia e il suo governo siano apprezzati all’estero e appoggiati dall’Europa; e magari per avere, anticipatamente, il bollino blu di questa stessa Europa al programma economico che si appresta a varare.
Uno scenario, ora una scena, che si sta, appunto, srotolando davanti ai nostri occhi. Apprezzamenti per l’Italia, per le sue politiche, per il suo governo, simpatie, promesse, pacche sulle spalle. “Di quel che c’è non manca nulla”, come diceva mio nonno.
Per i sovranisti pancia in dentro e petto in fuori una scena vergognosa. Per i sovranisti autentici, un passaggio necessario. Anche se, magari, non esaltante.
In sé e per sé è la certificazione che l’Italia di Conte è amica di tutti. Dell’Europa. Degli Stati uniti. Della Cina. Ma anche della Russia. Della Turchia. Dell’Iran. Dell’Egitto. Dell’Algeria. Dell’Islam in generale. Della Nato. Ma anche della distensione. E potremmo continuare. Il tutto accompagnato dalla convinzione, magari anche fondata, che questa amicizia sia ricambiata. Magari semplicemente perché non tutti ci vogliono bene ma sicuramente perché nessuno ci vuole male.
In questo senso il “partito” o, per meglio dire, lo spartito di Conte è il partito italiano. Perché questa è stata la linea perseguita da tutti i governi italiani, dal dopoguerra in poi. Nella comune consapevolezza, accompagnata da dosi variabili di subalternità (senz’altro molto più forti nella seconda repubblica), che il nostro sistema era strutturalmente fragile; e che, per essere veramente sovrani, e cioè padroni del nostro destino e delle nostre scelte, avevamo assoluto bisogno di un ambiente esterno a noi favorevole. Una cosa che avevano capito in molti; a partire dal nostro grande Pietro Nenni.
Oggi questa linea assume caratteri più forti e positivi: abbiamo capito che l’Italia potrà diventare “più sovrana” solo se lo diventerà anche l’Europa; e che si libererà dalle catene dell’austerità e dell’ordoliberismo solo se lo faranno molti altri e in alleanza con loro.
Il successo non è affatto scontato. Ma la via è quella giusta.
A fronte di questo cos’abbiamo? “Molti nemici molto onore”. Allora questa follia ci portò a sfasciare l’ordine internazionale per finire in braccio alla Germania; oggi a compiere la stessa operazione, per finire in braccio all’America di Trump.
Così, seguendo Salvini e la Meloni, dovremmo sputare in faccia all’Europa “intenta, comunque, a fregarci”, dichiarare guerra alla Cina e magari, per la proprietà transitiva, anche alla Russia, all’Islam, ai migranti, alle regole condivise per poi ritrovarci come fratelli spirituali non solo gli Stati Uniti di Trump, con annesse sanzioni e guerre esterne e interne permanenti ma i suoi referenti di Visegrad, contrari e in ogni campo agli interessi vitali del nostro paese.
Sovranisti, forse; ma in nome e per conto di altri. E, non solo per questo, ostacolo grave alla nostra sovranità.
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