IN CRISI IL BERLUSCONISMO
31 agosto 2004
Quali sono i motivi di fondo della crisi che ha investito Forza Italia e la sua leadership? Il berlusconismo ha un avvenire? A nostro avviso per affrontare correttamente il tema occorre fare una premessa: la crisi di Berlusconi non è conseguenza della qualità e incisività dell’opposizione come forza alternativa di governo. I risultati elettorali, infatti, ci dicono che il centro-sinistra, allargato a Rifondazione Comunista, non ha attirato voti dal serbatoio bucato di Forza Italia. Insomma la leadership di Berlusconi è in crisi di implosione: la sfiducia nella guida politica si manifesta tra gli elettori di Fi che ritengono sostanzialmente fallito il disegno, abbozzato dal Cavaliere nel 1994, di scardinare il sistema politico nato dalla Resistenza, fondato sulla Costituzione, retto sui partiti e su un particolare rapporto tra governo e opposizione, spregiativamente definito consociativismo. Berlusconi scese in campo e poté radunare, in nome dell’antipartititsmo e dell’antipolitica, gruppi politici dispersi, persone, interessi (compresi i suoi) che avevano ruotato attorno al vecchio sistema. E al tempo stesso forze, persone e interessi in conflitto con quel sistema (basti pensare alla Lega e al Msi), e anche un gruppo di intellettuali che ritenevano il Cavaliere in sintonia con i cambiamenti e i processi di modernizzazione espressi dalla società. Questa contraddizione, che comincia ad esplodere già nel 1994 con la Lega di Bossi, non è stata mai risolta. Berlusconi, dopo le elezioni (perse) del 1996, fu, con D’Alema, protagonista nella Bicamerale di un progetto che rinnovava il vecchio sistema, ma non lo demonizzava e rovesciava. Al dunque, però, buttò tutto all’aria, riprese un rapporto privilegiato con la Lega e nel 2001 vinse le elezioni realizzando un’asse nordista garantito dal Ministro Tremonti, il che contraddice l’alleanza con An e Udc che hanno proprio a Roma e nel Sud i loro bacini elettorali. Torna così il pendolo: erede di De Gasperi, La Malfa, Malagodi, Saragat e anche Craxi, cioè erede del vecchio sistema e, al tempo stesso, nemico dell’orrenda prima Repubblica e della sua Costituzione che vorrebbe riscrivere a sua immagine e somiglianza. Questa contraddizione si proietta anche nella politica estera, che certamente non si muove lungo la strada promossa da De Gasperi e La Malfa, ma nemmeno da Andreotti e Craxi. I quali, pur mantenendo fermo l’asse atlantico con gli Usa, tennero sempre fermo e forte il rapporto con il gruppo originario che diede vita alla Comunità Europea. Anche questo disegno, che nel momento della guerra Usa all’Irak sembrò unire tutta la coalizione, si è scontrato non solo con il movimento della pace, ma con le gerarchie ecclesiastiche e con quella fascia di opinione pubblica cui appartengono persone che esercitano ruoli alti nella vita economica , sociale e culturale, e che ha una visione dell’Europa non separabile dalla tradizione della politica estera italiana. Per concludere questa nostra analisi, osserviamo che il berlusconismo ha trovato nella società e nella forze politiche moderate più resistenza e opposizione di quanto era pensabile non solo nel 1994, ma nel 2001. Il segnale più clamoroso, ma non l’unico, è il rovesciamento della direzione della Confindustria. In questa situazione è stato chiesto a Berlusconi di “fare politica” con gli alleati, che non accettavano più il vecchio rapporto tra un leader carismatico (non più tale) e i suoi partner, con l’opposizione, che sul vecchio terreno non accettava un dialogo, e con l’establishment. Ma Berlusconi è in grado di “fare politica”, cioè di non essere più l’autore di una “rivoluzione conservatrice” sul piano economico-sociale e di una “rivoluzione politica” sul piano costituzionale e di sistema, così come aveva sognato e previsto? La nostra impressione è che il Cavaliere si sia mostrato inadeguato, per carisma, per idee, per determinazione. Azzardiamo quindi l’ipotesi che il processo di decadenza del berlusconismo, apertosi prima delle elezioni e messo in evidenza dal voto, continui. Ma non sappiamo quale sarà l’approdo. Se le cose svilupperanno nel senso da noi ipotizzato, non vi sarà un semplice ricambio di governo, e lo stesso sistema politico, segnato dal decennio berlusconiano, entrerà in crisi. Ci riferiamo non solo a possibili mutamenti della legge elettorale, ma anche del sistema di alleanze come si sono configurate, con Berlusconi, nel centro-destra e nel centro-sinistra. Le stesse leadership verranno messe in discussione. Non è la fine di un regime, come dicono alcuni intellettuali di una sinistra senza storia, o con storie che non hanno fatto storia, ma si concluderebbe un ciclo politico. La sinistra, in questa eventualità, ha filo per ritessere una politica che indichi la via d’uscita guardando agli interessi generali? Ne dubitiamo. (Tratto dall'Editoriale del n. 14 di "Le nuove ragioni del Socialismo")
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