IMMIGRATI E PAURA – di Alessandro D'Ovidio, Presidenza di SOCIAL-LABOR, 17 novembre 2007
07 dicembre 2007
Sugli immigrati l'Europa ci campa. Gli industriali e i banchieri in primo luogo, come è ovvio, ma non solo loro. Sul loro lavoro, a partiredai cantieri edili fino ai lavori di cura, sul loro salario inferiore aquello già basso dei lavoratori italiani.
Gli immigrati non fanno paura quando lavorano a bassi salari, anzi fanno comodo.
La paura è un virus che qualcuno sta spargendo a piene mani tra i soggetti e i suoi sintomi si chiamano separazione, atomizzazione,individualismo. La paura del futuro si trasforma facilmente in paura dichi è nella stessa condizione sociale, vissuto come potenzialeconcorrente. Diventa mito l'illusione di una mobilità sociale che si riduce a identificazione, ad ammirazione del comportamento e degli stili di vita di ricchi sempre più costretti a loro volta a rinchiudersi in ghetti per sfuggire all'imitazione e all'onda dei barbari che preme ai confini e dentro le cittadelle blindate del benessere per pochi.
Se è vero che il rapporto di un soggetto con il suo Altro e il desiderio di quest’ultimo è determinante per l'identità del soggetto, si capisce l'insistenza e la pervasività della battaglia ideologica continua per scardinare il senso di appartenenza sociale di chi vive del proprio lavoro e dislocare
altrove il senso di malessere dei soggetti che pur di non reprimere l'odio lo de-localizzano, come accade al loro lavoro. Così la paura diventa odio e violenza, in primo luogo, come sempre nei
periodi bui, contro le donne.
Il salario è sempre meno in grado di assicurare un livello di vita dignitosa alle persone che vivono di lavoro. E' questo l'elemento materiale di base della paura, ma se questo è vero in Italia, lo è ancor più nei paesi meno ricchi dell'Italia. E questi ultimi sono la maggioranza. Per la prima volta l'attuale generazione dei giovani sta peggio di quella dei propri genitori. Soprattutto, una quota via via maggiore di forza-lavoro è esuberante, inutile, in eccesso rispetto alle esigenze e alle possibilità di valorizzazione del capitale in circolazione. Ergo, questa forza-lavoro in eccesso deve essere svalorizzata e distrutta. Questa la posta in gioco.
E' colpa dei lavoratori? O è colpa dei romeni? E' colpa delle pensioni dei nonni? O il mero sopravvivere è diventata una colpa?
È' dalla profondità della crisi, dalla impossibilità non solo di assicurare ma nemmeno più di promettere (credibilmente) miglioramenti significativi nelle condizioni di vita delle persone, che ha origine lo slittamento dell'informazione e della politica ufficiali verso una deriva al tempo stesso realmente reazionaria e virtuale in cui temi come il lavoro, la guerra, la salute o scompaiono o vengono giocati per attivare processi di identificazione totalmente scollegati dalle dimensioni reali da cui hanno origine, e che attivano pulsioni che hanno a che fare piuttosto con l'immaginario, in cui l'elemento culturale e simbolico diventa decisivo.
Il ciclo drogato "terrorismo - panico - falsa rassicurazione" è la modalità normale di funzionamento della comunicazione ufficiale che produce la pubblica opinione. Prima ti terrorizzo, ti spavento a morte con i militanti islamici che si fanno esplodere, con l'orrore dei bambini massacrati, con l'aviaria, con i serial killer, con i rumeni.
Quando ne hai abbastanza, ho raggiunto l'effetto di farti desiderare una qualsiasi soluzione purché sia d'emergenza, che dovrebbe rivelarsi piùefficace di quelle normali.
Ovviamente la falsa soluzione non sortisce alcun effetto reale proprio perché l'emergenza non esisteva e tu sei portato a chiedere soluzioni ancora più radicali e così via all'infinito in un circuito emergenziale senza fine e soprattutto senza un senso che non sia la sua stessa alimentazione. Droga pesante.
Lo stato di emergenza tende a presentarsi come il paradigma di governo dominante nella politica contemporanea, finendo per costituire la regola attorno a cui si costruisce il discorso giuridico e si definisce lo stesso orizzonte della comunicazione.
Uno stato di emergenza permanente rende col tempo evanescente ogni differenza sostanziale tra democrazia e dittatura. Questa nuova versione della democrazia da esportare con le armi non si sa bene dove ha bisogno, per legittimarsi agli occhi dei sudditi, di pretesti continui da invocare a giustificazione dell'eccezionalità e di capri espiatori utili a scaricare le tensioni accumulate nei periodi di alta instabilità sociale. Fino a ieri il pretesto era il terrorismo che minaccia i diritti uma¬ni, i capri espiatori erano i militanti islamici, oggi si scatena una campagna contro i rom. Poi sarà la volta, chissà, dei cinesi. O dei marziani...