IL VERO OSTACOLO AL PARTITO DEMOCRATICO – di Giorgio Ruffolo da La Repubblica del 23 dicembre 2005
27 dicembre 2005
Il centrosinistra ha segnato due buoni punti. Con le primarie ha risolto il problema della leadership: brillantemente con un plebiscito che non lascia dubbi.
Il secondo: la presentazione dei programmi dei due partiti maggiori dell’alleanza. Per tanto tempo si è rimproverato il centrosinistra perché non aveva programmi. Ora, perché ne ha troppi. Sembra la favola dell’asinello. Qualunque cosa faccia la sinistra, per certa gente incontentabile, è mal fatta. Troppa carne al fuoco?.
Forse c’è qualche malinteso sulla natura di un programma elettorale. Certo, non può essere un trailer, l’annuncio circostanziato di un calendario di eventi. Si sa bene che, già il giorno dopo dell’insediamento del governo, la scena sarà cambiata. Si sa inoltre che il governo più efficiente non potrà affrontare che una parte modesta dei problemi che ha evocato nel suo programma elettorale.
Un programma non è un “prossimamente”. E’ un esame di maturità. Il partito o la coalizione di partiti che si presenta all’elettorato deve dimostrare che su tutti i problemi rilevanti ha le idee, le competenze e gli uomini adatti per affrontarli. La partita vera si giocherà sul campo.
Da questo punto di vista mi pare che i Ds, a Firenze, abbiano passato l’esame. Hanno schierato una forza di governo rispettabile con analisi e proposte serie di fronte al pasticcio di autocompiacenze inflazionate e promesse reiterate della parte avversa.
Due buoni punti. Un terzo, decisivo, sarebbe la costruzione di una forza capace di sostenere la leadership e il programma. Si può rispondere che c’è gia, ed è l’Unione. Si può aggiungere che, fortunatamente, anche grazie al successo delle primarie, i contrasti al suo interno si sono ridotto entro limiti fisiologici mentre i successi elettorali hanno rincuorato elettori ed eletti. Le forze adunate dall’Unione dimostrano oggi un grado di disciplina molto maggiore di una casa di risorse di libertà. Tuttavia, il numero dei partiti e la loro inevitabile spinta alla visibilità lasciano aperto il rischio di una dieta polacca, che nel caso di vittoria, e nella nuova condizione creata dalla sciagurata riforma elettorale, minaccerebbe la stabilità del governo. Sembra dunque convincente la proposta della formazione di un grande partito nato dalla confluenza delle due forze maggiori, come centro di gravitazione dell’alleanza.
un evento come questo, ovviamente, travalica i limiti dell’ingegneria politica per assumere le linee di un disegno storico. Per prendere la proposta sul serio, come credo oggi si debba, bisogna liberarla dealle nebbie ideologiche e dai vecchi rancori che hanno caratterizzato un dibattito ridotto alla contrapposizione tra socialisti democratici e democratici non socialisti. Penso che si debba cogliere l’occasione di uscire una volta per sempre dall’anomalia che ha paralizzato la democrazia italiana.
Sappiamo che una causa fondamentale di quella anomalia è quella che con felice invenzione Alberto Ronchey battezzò “il fattore kappa”: l’oggettiva indisponibilità del partito comunista a proporsi come partito di governo in una democrazia occidentale. Ma ce ne’era un’altra, della quale si è parlato molto meno: la presenza di una grande forza politica cattolica che poteva contare sul sostegno di uno Stato universale all’interno dello Stato nazionale; questione non di fede, ma di potere. Questa forza si è giovata del duello tra comunisti e socialisti, che sono stati entrambi giocati, oggettivamente, dalla sua capacità di saper sfruttare una posizione dominante, per rendersi indispensabile e inamovibile durane una lunga stagione.
oggi quella stagione è trascorsa e le condizioni una politica italiana sono radicalmente cambiate. Né gli eredi dei comunisti, né quelli dei socialisti sono capaci di costruire quello che avrebbero potuto nel passato: un gran partito social-democratico. E le sparse zattere del naufragio democristiano non sembrano in grado di ricostruirsi in una grande nave centrista.
Le condizioni per una innovazione politica che raccolga in un solo partito le due principali tradizioni del riformismo democratico sembrano dunque realizzate, anche se attraverso la paradossale provvidenza di reciproche catastrofi.
ma c’è una nuova sfida che può compromettere questo disegno. C’è il pericolo che il grande duello tra partitit della sinistra marxista, che li ha “suicidati”, ne segua, nel nuovo centrosinistra, uno tra democratici laici e democratici cattolici, altrettanto sterile e anacronistico. Penso che questo pericolo, riemerso in seguito alle improvvide iniziative d’ingerenza politica di una Chiesa che mostra inquietanti segni di involuzione ideologica, potrà essere sventato solo se le due principali forze dell’Unione chiuderanno definitivamente i conti con un passato che non ha più niente da offrire, se non livori e rancori; e si rivolgeranno invece al futuro, affrontando due questioni fondamentali: l’identità progettuale e l’identità politica nazionale.
Una nuova forza democratica, accanto ai programmi di governo, deve esprimere una visione delle grandi questioni del presente, almeno su tre punti cruciali. La “questione americana” e le possibili forme di un nuovo ordine mondiale. La “questione europea”, che ha bisogno estremo di un ripensamento radicale sull’impegno dei soggetti, sulla natura del progetto, sulla struttura delle istituzioni. La “questione sociale” con la definizione di un compromesso storico tra capitalismo e democrazia, che ristrutturi il modello socialdemocratico in un nuovo equilibrio tra le istituzioni dello Stato, del mercato e dell’autogoverno sociale.
Un nuovo partito democratico e riformista deve inoltre impegnarsi a difendere uno Stato autenticamente laico, che riconfermi i patti con la Chiesa cattolica, respinga la riemersione di vecchie pulsioni anticlericali, ma tuteli rigorosamente la sua sovranità rispetto ad ogni intrusione ecclesiastica.
Lo sviluppo della democrazia italiana verso un assetto normale, di tipo europeo, fu paralizzato dal fattore K, che ha impedito la formazione di un vero partito socialdemocratico di governo. Sarebbe oggi ancora una volta pregiudicato da un altro fattore K generato dall’incapacità di distinguere, come avviene in tutti gli altri Paesi europei, la sovranità della Nazione dall’autonomia della Religione.