IL VANGELO SOCIALISTA 40 anni dopo
25 settembre 2018
Relazione introduttiva di Luciano Belli Paci alla
presentazione del libro "Il Vangelo Socialista" curato da Giovanni
Scirocco, tenutasi Venerdì 21 settembre 2018 alla Casa della Cultura di Milano.
Quando Bettino Craxi venne scelto come segretario nel 1976
fu, per dirla con la Butterfly, un po’ per celia e un po’ per non morire.
La celia cessò presto, quando si capì che l’impacciato giovane capo della
minuta corrente nenniana nascondeva dietro le sue lunghe pause il fiuto e la
grinta di un leader di prima grandezza.
La missione di non far morire il Psi richiese più tempo. Il problema non si
limitava al nanismo elettorale, ma era costituito soprattutto dallo smarrimento
del ruolo politico dei socialisti, che non solo non erano compiutamente né di
lotta né di governo, ma si erano avviluppati da soli in una doppia subalternità
ai vasi di ferro Dc e Pci, i quali peraltro ormai collaboravano direttamente
senza alcun bisogno dei loro buoni uffici.
Per uscire dalla nicchia del terzo incomodo, Craxi adottò la strategia corsara
di Francis Drake, fatta di veloci incursioni, di virate temerarie, di sfide,
astuzie, spavalderie. Ma la sua eccezionale abilità nella guerra di corsa,
anche se tenne in scacco la duplice Invincibile Armada contribuendo a far
abortire il compromesso storico, non sarebbe bastata a salvare il Psi. Nel caso
del Partito Socialista, il motto latino primum vivere deinde philosophari era
manifestamente sbagliato perché alla radice della consunzione vi era proprio
una tabe ideologica, un’anomalia nel philosophari.
Alla campagna di revisione ideologica scatenata da Craxi, ed in particolare
alla storia dell’articolo che uscì sull’Espresso del 27 agosto 1978 col titolo
Il Vangelo Socialista e che segnò il punto di svolta nel Kulturkampf craxiano,
è dedicato il volume curato da Giovanni Scirocco nel quarantennale del pamphlet
firmato dal segretario del Psi (Il Vangelo Socialista; rinnovare la cultura del
socialismo italiano, Aragno Editore). Un brillante e documentatissimo saggio
introduttivo dello stesso Scirocco ed un carteggio – fin qui inedito – tra due
intellettuali socialisti, Luciano Pellicani e Virgilio Dagnino, illuminano la
portata e le ragioni dello scontro ideologico che, a partire dal “Vangelo” (ma
in realtà già dalla Biennale del dissenso del 1977), contrappose per tre lustri
Pci e Psi.
Il Vangelo Socialista passò nella vulgata come “saggio su Proudhon” a causa di
un certo esotismo di Pellicani, il ghost writer dell’articolo, il quale essendo
fresco di studi su una serie di semi-dimenticati autori libertari, aveva
infarcito il testo di citazioni di questo minore filosofo francese, del quale
nel Psi pochissimi conservavano il ricordo e quasi nessuno sapeva pronunciare
correttamente il cognome. Ma il pamphlet, ovviamente, non era su Proudhon,
bensì sul marxismo-leninismo, o per meglio dire sulla linea di continuità
filosofico-politica che, a partire dal Marx profeta politico (e prima ancora da
Hegel), porta a Lenin ed infine produce, immancabilmente, la statolatria
comunista replicatasi nell’Urss ed in tutti gli esempi di “socialismo
realizzato”. Fare i conti col marxismo, come Bernstein aveva fatto nel 1899,
come Rosselli aveva fatto nel 1929, come la SPD aveva fatto nel 1959 solennemente
a Bad Godesberg: questo era il Rubicone da attraversare. L’abissale ritardo del
Psi non era casuale, anzi era stato fino ad allora apertamente rivendicato
vantando la diversità del socialismo italiano dalle socialdemocrazie europee.
Una vera e propria dannazione auto-inflitta i cui risultati erano sotto gli
occhi di tutti, dato che il Psi si era ridotto ad essere, sul piano ideologico,
solo una variante del Pci più delicata di stomaco, oltre che molto meno
compatta, meno finanziata e meno organizzata. E di conseguenza l’Italia era
stata condannata ad essere l’unica democrazia occidentale impossibilitata
all’alternanza, avendo una sinistra egemonizzata dai comunisti.
La scelta di recepire al volo il testo “proudhoniano” di Pellicani e
pubblicarlo su un settimanale, anziché allestire una solenne Bad Godesberg
italiana, fu un esempio tipico del carattere garibaldino – nel bene e nel male
– di Craxi. Comunque, al di là della forma corsara, il punto era centrato. La
conquista di una solida autonomia ideologica coronava e garantiva
l’acquisizione della piena autonomia politica.
Da quel momento fu chiaro che la lunga stagione nella quale il Psi era stato un
“grande e inqualificabile minestrone ideologico” (Pellicani) era finita. Fu
chiaro che per i socialisti il comunismo “non era (più) una buona idea
realizzata male, era proprio un’idea sbagliata”, essendovi “perfetta
corrispondenza tra la teoria marxista e la prassi leninista” (ancora
Pellicani). Abbandonando ogni timore reverenziale, il partito proclamava
l’esistenza, fra comunismo leninista e socialismo, non già di un semplice
conflitto sui mezzi da adoperare, bensì di “una incompatibilità sostanziale che
può essere sintetizzata nella contrapposizione tra collettivismo e pluralismo”
(Craxi, il Vangelo Socialista). In buona sostanza, il Psi finalmente si
liberava da una ormai grottesca contraddizione tra teoria e prassi, ripudiando
la mitologia del “grande balzo nel totalmente altro”, la mentalità
rivoluzionaria, l’ossessione religiosa della salvezza e della perfezione, per
inserirsi a pieno titolo nella famiglia socialdemocratica. Perché “le società
che hanno più progredito nella direzione dell’uguaglianza e della libertà sono
quelle in cui il messianesimo non ha intralciato il lavoro riformatore dei socialisti
pragmatici” (Pellicani).
Il Pci rispose alla svolta socialista, come è noto, ribadendo la professione di
fede leninista e la pedagogia del disprezzo verso la socialdemocrazia. Il
gruppo dirigente guidato da Berlinguer continuava a rivendicare l’originalità
della “via italiana”, il che equivaleva ad un pervicace affidamento nella
riformabilità del comunismo sovietico.
La conclusione della lunga contrapposizione tra le due anime della sinistra
italiana arriverà nella forma di uno dei tanti paradossi della storia, visto
che la caduta del Muro di Berlino, che certificò una volta per tutte dove stava
la ragione e dove il torto, segnò anche l’inizio della fine della Prima
Repubblica e dello stesso Psi che ne era divenuto lo snodo vitale.
Oggi che appare tramontata anche la Seconda Repubblica, quello scontro di idee
apparentemente così distante ci parla invece ancora di noi, del travaglio
infinito della sinistra italiana. Perché, come ha scritto il direttore
dell’Espresso Marco Damilano nel quarantennale dell’uscita del “Vangelo”, ci
ricorda che “senza una visione della società, senza una lettura della realtà
non si può costruire nulla di solido, come dimostrano le esperienze a sinistra
degli ultimi 25 anni”.