IL TAPPO E LA BOTTIGLIA. Il bisogno di un movimento socialista vero e unitario. di Roberto Biscardini da Jobsnews.it
10 maggio 2019
La gravità della situazione ci
chiede di passare dalle parole ai fatti.
Non possiamo più tergiversare, il paese ha bisogno di un movimento socialista
vero e unitario.
Un partito largo e grande
fatto da tutti coloro che ci stanno e che sono disposti a lavorare per questo
obiettivo. Disposti a buttare via vecchie insegne e nuove sigle, per partire
insieme, tutti da zero, tutti alla pari. Dal basso, dai movimenti di piazza o
dall’alto, poco importa. Fortemente collegato ai socialisti europei e al
processo di unità sindacale ormai in corso.
Dalla società, dalle
fondazioni e associazioni politiche, dalle componenti del lavoro e dal
sindacato, dalle liste civiche di sinistra ed anche con coloro che una tessera
socialista non l’hanno mai avuta.
Una riscossa socialista, che
è anche riscossa morale e civile. Urgente, perché in gioco non c’è solo a
livello nazionale e internazionale l’avanzata di una destra estrema, che già di
per sé giustificherebbe un’azione socialista nuova, in gioco c’è la credibilità
della sinistra, che ha il dovere di difendere, soprattutto nei momenti più
delicati e con ogni mezzo, i ceti più deboli.
Difenderli dalla violenza di
un capitalismo sempre più forte e aggressivo che ha minato la libertà. Un
capitalismo che ha potuto contare su una politica assolutamente debole, se non addirittura
asservita, che ha consentito maggiori ingiustizie, disuguaglianze e
sfruttamento.
Un capitalismo che è cresciuto
in una società anch’essa più debole, con minori anticorpi e minore capacità di
reazione. Dentro un sistema assolutamente instabile e reso volutamente
instabile dal paese capitalista per eccellenza: l’America di Trump e di quelli
che in qualche modo dai lui dipendono.
Così siamo arrivati al punto
che il capitalismo violento ha minato tutto, compreso la tenuta pura e semplice
della democrazia, del ruolo fondamentale dello Stato come controllore
dell’economia e imprenditore. Il valore e l’autonomia della politica, che è
insieme credibilità dei governanti e credibilità delle opposizioni.
Prima che si arrivi al punto
che la democrazia non sia più legata alla rappresentanza politica del popolo e
abbia bisogno del sangue per liberarsi dei governanti (come ci ricordava
Dahrendorf).
A pochi giorni dal voto delle
europee, la vicenda italiana si snoda intorno a ciò che si vede. Il gioco delle
parti di chi sta al governo e a sinistra un disastro.
Dalle ultime proiezioni
risulterebbe che tutto il centrosinistra non vada oltre il 25% (la somma di Pd,
la Sinistra, Europa Verde).
Mancano i socialisti. E
ancora troppo deboli sono i Verdi, che potrebbero rappresentare una speranza. Con
un programma sociale e per il lavoro molto più chiaro di quello del Pd, ma che
non riescono a recuperare la crisi socialista e socialdemocratica, a differenza
di ciò che avviene altrove, nel resto d’Europa. In Germania sono dati al 20%.
A parte c’è +Europa, che
certa stampa tende ancora a collocare nel centrosinistra quando in tutta Europa
una forza di questo genere sarebbe al massimo di centro.
Peraltro, oggi, con
l’annunciato scioglimento dell’Alde e la sua unificazione con il partito di
Macron, l’equivoco è finalmente chiarito. In fondo chi è Macron? Sotto sotto un
populista di destra, un convinto liberista, europeista interventista.
Quindi il socialismo non ha
rappresentanza. Non lo può rappresentare la sinistra con Rifondazione, né il
piccolo Psi che con la scelta di +Europa si è di fatto posto fuori dal suo
campo naturale. Il campo di tutti coloro che per anni hanno sperato che quel
partito ritrovasse il coraggio di un processo autonomo e ambizioso. E non può
rappresentarlo il Pd per un equivoco recente (da Pisapia a Calenda), ma
soprattutto per l’errore di origine oggi chiarissimo. Non c’è al mondo una
forza socialista che incorpori una forza di centro, come l’allora Democrazia
Cristiana, anziché essere la sua alternativa.
Nonostante questo, ci sono comunque
delle scintille, soprattutto giovanili nel sociale e la questione sociale è destinata
a scoppiare. Molti incominciano a parlare di socialismo, anche dentro quei
partiti che non lo sono, rivalutando il nome, persino la sua storia e il valore
della sua cultura democratica e di libertà, senza forse capire ancora il senso della
“cosa” e senza praticarlo. E molti incominciano a domandarsi.
Si può reggere senza una
forza del socialismo largo e revisionista, per mettere le basi di un futuro
diverso, facendo del potere pubblico il centro della propria iniziativa?
Si può reggere con una classe
dirigente che non è più garante dell’essenza fondamentale della libertà?
Si può reggere senza una
forza socialista che non faccia della crescita economica il punto centrale
della sua missione?
Senza crescita non c’è
possibilità di rimuovere la disoccupazione, oggi al 10% e 20% al sud. Non si
esce da uno Stato condizionato dal bilancio in deficit, non si possono ridurre
le disuguaglianze, si rischia di non difendere più il welfare, non si
garantisce mobilità sociale per dare opportunità alle classi deboli e non si
affronta il tema centrale delle questioni ambientali, anche se l’economia verde
è una concreta opportunità per lo sviluppo del futuro.
Una forza socialista moderna,
che sappia ottenere almeno i risultati del Portogallo, della Spagna e persino
della Grecia, per puntare ad avere almeno un Pil al 2% costante all’anno e non
lo 0,1.