IL SOCIALISMO NELLA DEMOCRAZIA MODERNA E NELL’ECONOMIA POLITICA di Angelo Sollazzo
11 giugno 2010
ATTUALITA’ DEL SOCIALISMO
Economisti e politologi hanno dovuto prendere atto che nella recente grave crisi economica, le ricette adottate dai Governi, di qualsiasi colorazione politica, sono state ispirate dalle teorie del socialismo democratico e liberale e, in alcuni casi, sono state di marca prettamente socialista.
Gli interventi sui settori bancari, dell’auto,delle assicurazioni, nell’industria di alta tecnologia, hanno il sapore di un revival delle partecipazioni statali e, comunque, si è trattato di sostegni, interventi ed addirittura acquisizioni dello Stato di parte dell’economia nel libero mercato.
Lo stesso concetto di ecologia, posto al centro di ogni tipo di sviluppo, è divenuto elemento portante di ogni politica socialista. L’ambiente va salvaguardato nell’interesse dell’umanità, sottovalutare i pericoli della natura che si fa matrigna è da irresponsabili.
Coloro che avevano dato per superato il concetto stesso di socialismo liberale ha avuto il ben servito.
La verità è che nonostante ci si affanni ad individuare una scorciatoia neo-capitalista alla crisi che ha lacerato i tessuti economici di gran parte delle economie avanzate dei Paesi occidentali, dopo la fine del comunismo e la crisi del capitalismo, l’unica strada percorribile è quella della regolamentazione dei mercati, del fermo delle scorribande del capitalismo selvaggio, dei controlli delle società speculatrici, della rivisitazione delle attività delle Borse e di una nuova politica sui titoli.
La democrazia moderna non ha bisogno di partiti contenitori , dove vi è infilato tutto lo scibile della proposta politica, è assolutamente lontana dalle demagogie e dai populismi di cui è intrisa oggi, ma ha bisogno di riferimenti di politica economica certi, di memorie storiche veritiere e conosciute, di identità conclamate. Senza memoria non vi è identità e senza identità non si costruisce il futuro.
Nel ridotto delle proprie forze, i socialisti alle ultime elezioni hanno potuto constatare che laddove sono state presentate liste con il proprio simbolo ovvero con il chiaro riferimento all’idea socialista, i risultati sono stati più che soddisfacenti.
Diversamente sono insorte problematiche difficili da affrontare nelle situazioni locali in cui, per gli sbarramenti elettorali esistenti, è stata fatta la scelta di coalizioni e di alleanze in cui il riferimento socialista era limitato o addirittura inesistente.
Parimenti non si può evitare la considerazione che, troppo spesso, l’appartenenza alla famiglia socialista diveniva un optional, al punto di considerare il Partito una sorta di bus da cui salire o scendere a seconda delle convenienze.
Spesso facciamo appelli, per il ritorno nella casa comune a tutti i socialisti ovunque collocati. Sicuramente dobbiamo lavorare per far rientrare il maggior numero di cittadini che nel passato avevano sposato la causa socialista, ma deve esistere, in tali vecchi compagni di lotta politica, la convinzione di fare una precisa scelta di campo e che la loro peregrinazione in altre formazioni non ha scalfito la voglia di appartenenza all’ideale socialista.
Risulta difficile considerare ancora socialisti coloro che, con gli atti ed i comportamenti, hanno fatto proprie le ragioni della destra populista, ovvero quelli che sono finiti nel giustizialismo dipietrista. Detto ciò va fatto ogni sforzo per riportare a casa le migliaia di militanti ed elettori che si sono frequentemente rifugiati nell’astensionismo.
L’errore marchiano commesso dai socialisti, negli ultimi anni, è stato quello di ritenere che un partito politico senza parlamentari non abbia alcuna possibilità di incidere sulla scena politica nazionale e debba rassegnarsi al ruolo di pura testimonianza, aggregandosi ora a quella forza ora all’altra, risultando non convinto delle proprie potenzialità.
Non è utile, per la causa, lavorare esclusivamente per eleggere qualcuno, che poi magari trasmigra verso lidi più comodi, e , invece, non riflettere sulle possibilità di rilancio del socialismo italiano, con il proprio marchio e le proprie idee.
Certamente le idee bisogna averle ed ultimamente qualche carenza di troppo si è materializzata. Da sempre è necessario prima avere le convinzioni profonde di essere nel giusto, di concepire un’idea di Stato e di uguaglianza, di etica e di sviluppo economico, insomma un progetto complessivo attorno al quale costruire una comunità ed una casa comune che si chiami partito.
L’organizzazione viene dopo il progetto, gli eletti vengono dopo il partito, gli Interessi dopo gli ideali.
E’ fallito il primum vivere, perché ciò significa solo il tutelare i pochi a scapito dei molti. Le cooperative, le cricche, i giri ristretti, hanno notevolmente danneggiato il socialismo italiano che negli ultimi 15 anni è stato tutto proteso a risolvere i problemi di collocazione del gruppo dirigente. Da qui le alleanze più disparate, fino alle ultime con la Rosa nel Pugno e con Sinistra e Libertà.
Bisogna riconoscere che tali scelte sono state fatte in buona fede, ma sono stati errori madornali che hanno indotto la base socialista a disertare il voto.
Un Partito che non ha il coraggio di presentarsi con il proprio volto non ha futuro.
Coloro i quali considerano velleitaria ed irrealista la difesa dell’identità e dell’autonomia dei socialisti, evidentemente, non sanno valutare pienamente la forza propulsiva dell’ideale socialista, ovvero non vi hanno mai creduto.
Abbiamo avuto nel passato un illustre esempio in Francia con la SFIO di Guy Mollet, forza socialista extra-parlamentare, ma che nel corso di pochi anni, con la forza delle proprie idee e la validità del progetto politico, arrivò ad essere il partito di maggioranza e ad eleggere Mitterand, Presidente dei francesi.
Rassegnarsi ad essere subalterni, non credere nella prospettiva socialista , fa dei dirigenti degli incapaci ovvero dei profittatori che ambiscono solo alla propria sistemazione.
Da qui bisogna partire. Il Partito ha bisogno di chi ci crede, di chi è convinto , di chi sente ancora la voglia di appartenenza, di chi antepone l’idea all’interesse. Sono argomenti che ad alcuni fanno sorridere, prospettando innovazioni cambiamenti che non hanno contenuti né politici e tantomeno culturali.
IL FALLIMENTO DEL NUOVISMO
L’esempio di Veltroni dovrebbe essere di insegnamento.
Partito come nuovista, rinnega le proprie origini con bugie puerili, imita il sistema politico americano cambiando il nome in PD, dimenticando che sono proprio gli americani a guardare a noi come culla e fucina di idee politiche, distrugge la sinistra, rifiutando apparentamenti, sposa la causa giustizialista in netto contrasto con la storia sempre garantista della sinistra italiana, rifiuta la stessa appartenenza alla sinistra, con un netto spostamento a destra del proprio partito. Risultato scontato quello alle elezioni politiche che lo vedono il meno votato leader d’opposizione di tutti i tempi e lo costringono alle dimissioni con l’annuncio, poi revocato, di volersi recare in Africa a fare il volontario. Peccato. Il PD non ha superato la propria crisi d’identità, anzi si è aggravata.
L’aver voluto mettere insieme due culture politiche profondamente diverse con il solo obiettivo di poter governare, sta mostrando tutta la propria inconsistenza progettuale e politica. I cattolici stanno pensando di togliere le tende, gli ex-comunisti si trovano di fronte al bivio di ricercare una propria identità diversa dall’impercettibile dirsi “partito democratico”, senza anima e senza legami forti a livello internazionale.
E’ la crisi dei partiti-contenitori, nati con tangentopoli e convinti di poter fare a meno di riferimenti filosofici, storici e scientifici.
Il giudizio su tangentopoli sta subendo profonde rivisitazioni di fronte a quanto accade nella società politica attuale.
I socialisti, con qualche codardia di troppo, hanno affrontato con imbarazzo il tema.
Si è voluto artatamente confondere la corruzione con il finanziamento ai partiti.
Era più grave prendere soldi da una potenza straniera (Unione Sovietica), allora nemica, ovvero da sostenitori italiani? I piccoli imprenditori erano il male e le cooperative rosse il bene?
Certamente piccola cosa rispetto a quanto accade oggi.
L’AUTORIFORMA DELLA POLITICA
Gli scandali di questi mesi denotano lo scadimento della militanza politica.
Proprio perché mancano gli ideali, la dirigenza dei partiti, con poche eccezioni, ritiene normale la propria impunità e opera con una sufficienza allarmante appropriandosi della cosa pubblica come atteggiamento normale del proprio fare.
Gli scandali degli ultimi anni sono stati fatti passare in sordina, come se fossero piccoli incidenti di percorso.
La vendita del Banco di Napoli, della Telecom, dell’Alitalia, il caso Cirio, Parmalat, Il Banco Popolare di Lodi, il caso Unipol, e tantissimi altri episodi fanno impallidire la tangentopoli degli anni novanta.
La verità è che, anche se vi erano gravi episodi di corruzione, la grande parte di quella oscura vicenda giudiziaria, che sconvolse la politica ed il Paese, riguardava il finanziamento dei partiti.
Lo stesso finanziare il Partito era un atto di militanza, e nessuno pensava al lato illegale del proprio fare, proprio perché, con qualche eccezione, non vi erano arricchimenti personali. Le implicazioni interne ed internazionali della vicenda tangentopoli le stanno scrivendo i politologi e gli storici.
Bisogna rilevare che gli scandali attuali colpiscono anche chi nel passato era stato solo sfiorato, ovvero l’alta burocrazia, i grand-commis dello Stato, gli alti funzionari, la magistratura stessa, i vertici militari, le università.
Oggi siamo di fronte ad acquisti di case private, con assegni circolari, a interessi diretti in aziende ed attività finanziate dallo Stato, all’utilizzo privato di beni pubblici, siamo di fronte a ruberie vere e proprie.
Tutto ciò alimenta l’antipolitica ed esalta l’azione dei moralisti di professione, che di frequente, hanno commesso reati peggiori dei loro accusati.
Il moralismo di taluni è sospetto e serve spesso a coprire le proprie magagne.
E’ vero, però, che, per evitare il discredito assoluto, è necessario che la politica cambi passo ed i politici cambino comportamenti e stili di vita.
Un’autoriforma è possibile con l’intento di ridare alla politica la nobiltà che le compete.
Spesso ci si attarda su provvedimenti marginali, ma eclatanti, per la risonanza esterna.
Ridurre gli stipendi ai politici è cosa giusta, ma insignificante, rispetto a provvedimenti che potrebbero realmente lasciare il segno.
Abolire subito, in un mese di tempo, le Province e le Comunità Montane.
Abolire subito i Consorzi ed i Nuclei Industriali di Bonifica, di interventi vari, le cui funzioni sono già proprie delle Regioni.
Abolire le IPAB e tutti gli Enti di assistenza.
Abolire gli Enti ancora in attività, inutili e che, in molti casi, risalgono alla prima guerra mondiale.
Ridurre il numero dei Consigli di Amministrazione degli Enti ed il numero dei consiglieri che non deve superare le tre unità.
La politica direttamente ed indirettamente oggi impegna circa cinquecentomila persone. E’ possibile ed urgente ridurre tale esercito a non più di centomila unità.
Il provvedimento che lascerebbe davvero il segno e potrebbe riconciliare la pubblica opinione con la politica, sarebbe l’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione sulle attività dei Partiti.
Oggi nella confusione totale in cui ci troviamo, risulta evidente che occorre ridare ai partiti le funzioni proprie di direzione e di organizzazione del consenso. Diversamente faranno politica solo i ricchi danarosi, gli industrialotti ambiziosi e nessun gruppo dirigente nascerà dal basso.
Con l’attuale legge elettorale non vi può essere alcuna selezione della dirigenza politica, poiché basta essere amico, parente o amante del Capo, per essere messo in lista, fare il deputato od addirittura il ministro. Altro che potere di base o gavetta nelle sezioni, si è nominati e non eletti dal popolo. E proprio perché non eletti, gli attuali parlamentari non si curano del collegio elettorale né seguono le vicende del loro territorio.
Restituire ai cittadini la possibilità di eleggere i propri rappresentanti, codificando per legge, con qualsiasi sistema elettorale, l’istituto delle primarie. E’ il modo di consentire a tutti di candidarsi ed agli elettori di poter scegliere.
L’art. 49 della Costituzione definisce democratici i partiti politici, tenuti, per legge, a presentare al Parlamento i propri bilanci. Oggi i partiti non solo non sono democratici ma addirittura personalizzati.
I congressi spesso sono una farsa, la selezione dei dirigenti avviene per cooptazione, il tesserato conta nulla o poco più, la base viene convocata solo per applaudire il Capo, insomma siamo di fronte alla non applicazione del dettato costituzionale.
La proposta di impedire, con una leggina, l’inserimento del nome del leader del Partito sul simbolo elettorale sarebbe già un buon colpo alla personalizzazione della politica. I Partiti devono essere soggetti collettivi e quindi democratici. I congressi si devono celebrare con il pieno rispetto delle regole e si deve consentire, in caso di comportamenti non democratici, l’intervento di una autorità terza, prevista dalla legge. Bisogna combattere la concezione proprietaria dei Partiti e della politica. I bilanci dei Partiti , decisamente, e da sempre falsi, devono essere presentati non al Parlamento ma ad altro organismo, Corte dei Conti o authority apposita, che ne certifichi la regolarità.
Nel caso di non applicazione della democrazia interna e di non correttezza dei bilanci, i partiti inadempienti devono essere esclusi dal finanziamento pubblico e non devono poter concorrere alle elezioni ai vari livelli.
La Costituzione non può essere modificata di fatto o per consuetudine. La proposta più seria e convincente che si può avanzare, di fronte a tanta confusione, sull’applicazione e la riforma della Costituzione, è quella di eleggere una ASSEMBLEA COSTITUENTE con il compito di riformare ed adattare ai nuovi tempi la carta fondamentale della Stato, evitando di ingolfare il Parlamento, già in difficoltà di per se, evitando condizionamenti di sorta ai nuovi costituenti.
L’AUTORIFORMA DEL PSI
I socialisti italiani hanno dovuto attraversare il deserto per far affermare il loro diritto ad esistere. Oggi siamo una forza extra-parlamentare, ma presente, in varie forme, su tutto il territorio nazionale ,con un piccolo corpo ma una grande idea. Resta difficile poterla escludere dalla società politica nazionale proprio ora che sono in crisi i sistemi politico-economici concorrenti e i partiti che ad essi si ispirano.
Se Obama negli USA fa il socialista, anche se si vergogna di dirlo, in Italia il più antico partito del Paese non si può vergognare di esistere. Gli errori a cui si è fatto riferimento, attribuibili a tutti, nessuno escluso, non possono essere ripetuti.
Con la Rosa nel Pugno, oltre alle condivise posizioni sui diritti civili, pur di eleggere un manipolo di deputati, era sta ingoiato il rospo radicale del liberismo sfrenato, del bipartitismo blindato, del maggioritario elettorale, della eliminazione dei sindacati, dell’anticlericalismo più becero, della non presentazione delle liste alle elezioni amministrative, insomma la negazione della proposta politica socialista nel suo insieme.
Con Sinistra e Libertà, per lo stesso motivo di cui sopra, avevamo scelto quali compagni di strada i comunisti più arrabbiati, personaggi come Fava che, solo qualche anno prima, aveva teorizzato la caratteristica genetica dei socialisti predisposta al furto, il rigetto dell’appartenenza alla famiglia socialista europea ed internazionale, di seguito il cerchio si è chiuso con la nascita delle fabbriche di Nichy.
Siamo pronti a combattere per la nostra idea e non quella di altri? Siamo pronti a considerare errori madornali quelli di non aver sempre presentato il nostro simbolo e di aver chiesto agli altri pietà ed ospitalità con i vari Ulivo, Girasole, Patti Segni, Liste Dini, Rose nel pugno e SeL?
Rischiamo di non eleggere nessuno, certo se non si crede alle proprie idee.
Bossi era solo un semplice radiotecnico, Di Pietro faceva il contadino, non avevano i mezzi di Berlusconi, ma sono arrivati a grandi consensi con le loro idee, che noi abbiamo il dovere di combattere.
La riforma del partito si fa prima nelle nostre teste e nei nostri cuori.
Partiamo dalla possibile utenza elettorale dei socialisti. Per anni abbiamo scelto di essere partito di nicchia, dimenticando di essere socialisti e quindi partito del lavoro.
Le coppie di fatto, la revisione del Concordato, argomenti tutti importanti, ma che facevano del Partito Socialista un partito di nicchia e non proteso alle grandi masse. Si dimenticava nello specifico che tali battaglie erano già condotte da altri e meglio di noi.
La riforma della scuola, della ricerca e dell’Università non può essere affidata ad una Gelmini qualsiasi che sta divenendo una collezionista di disastri.
Come può esistere un partito che si chiama socialista e non ha una vocazione maggioritaria? Hanno avuto la prevalenza sempre i piccoli interessi personali. Il PSI è, e deve essere, un partito dei lavoratori, radicato a sinistra e con forti legami con il mondo sindacale ed associativo.
Eliminare la nicchia significa ricercare un consenso più ampio, con una utenza elettorale diversa e con il tentativo di riportare al voto i tanti socialisti che, disillusi, si erano rifugiati nell’astensionismo.
I quattro milioni di partite IVA, i milioni di artigiani, commercianti, coltivatori professionisti, si rivolgono alla Lega, nel Nord, e all’UDC nel Sud, perché non hanno un’ offerta politica diversa.
Per un partito come il nostro non è la domanda di socialismo che è carente, ma l’offerta.
Abbiamo bisogno di elaborare e progettare di più, di evitare i soliti discorsi intrisi solo di interessi particolari, di stigmatizzare coloro che nelle riunioni vengono a pontificare senza alcun concreto contributo culturale alle discussioni.
Abbiamo bisogno di una idea attorno alla quale organizzare il consenso.
Per i socialisti il nuovo è auspicabile, ma non a portata di mano. Perché i giovani dovrebbero seguirci se non ravvisano un progetto politico appetibile?
I giovani vogliono il sogno e, noi senza ideali sicuri, non li facciamo sognare. Il problema è che con noi non sognano più la stragrande parte dei socialisti italiani. Certamente oggi ilo nostro elettorato sarebbe vecchio ma non morto.
Prima di pensare al nuovo, perché non pensare all’esistente? I partiti di frontiera già esistono, i tutori dei centri sociali anche, i difensori dei diversi, degli omosessuali, degli estremisti e di tutta la società di nicchia non possono essere i socialisti.
L’innovazione in politica, e non solo, non è un fatto anagrafico. Vi sono vecchi giovani e giovani vecchi.
Innovare significa saper fare proposte per risolvere i problemi della gente e non lasciarsi andare ad avventurismi di altre epoche.
Il più grave problema dei socialisti oggi è quello della visibilità. Se nelle trasmissioni televisive si ripete continuamente che il Partito socialista non c’è più, se sui giornali si viene citati o per cause non politiche, o per ricordare che qualche corrotto nel passato era socialista, è evidente che c’è un serio problema nella nostra comunicazione.
L’ascolto aumenta se proponi argomenti che colpiscono. Per far penetrare il nostro messaggio, occorre evitare di essere al rimorchio di altri e proporre e dire cose socialiste.
Il PSI deve lanciare alcune idee-forza attorno alle quali chiedere il consenso. Difesa dei salari e dell’occupazione, reddito minimo per i disoccupati, lotta al precariato, difesa delle pensioni, riforma della legge elettorale e primarie a tutti i livelli, decisa collocazione nella sinistra italiana e, dove necessario, appartenenza critica alle maggioranze di centrosinistra.
Il PSI deve avere una linea politica chiara e non altalenante. Non si può entrare in fibrillazione appena i socialisti perdono le elezioni in un qualche Paese del mondo, ed esaltarsi appena si vince da qualche parte un’elezione, anche parziale. Tali comportamenti richiedono l’intervento dello psicologo. Se i terzi poli perdono in Inghilterra con Cleg o in Francia con Bayrou, non sono fatti che ci devono appassionare. Il socialismo è altra cosa.
Il PSI, partito del lavoro, deve essere sinistra di governo, deve lottare il secessionismo di Bossi e il giustizialismo di Di Pietro. Se la Lega insiste sul federalismo così come presentato, bisogna avere il coraggio di dire che si tratta di un colossale imbroglio ai danni del mezzogiorno d’Italia. La Lega Nord va combattuta poiché all’articolo 1 dello Statuto si parla chiaramente di divisione del Paese.
Al folle progetto leghista occorre contrapporre il nostro socialismo tricolore, con il rilancio dell’opera ed il pensiero di Giuseppe Garibaldi e con l’appello alla solidarietà ed all’unità di tutti gli italiani.
La sinistra italiana la si rappresenta veramente se si è garantisti e non forcaioli, ecologisti, liberali, anti-militaristi e contro il capitalismo selvaggio.
Ridistribuire la ricchezza, esaltare il concetto di uguaglianza, sostenere il merito contro la clientela, diffondere il senso civico della legalità non pelosa, esaltare il senso di appartenenza ad una collettività, sono tutti concetti di matrice prettamente socialista.
Il nome socialista va difeso, gli ideali esaltati,il progetto politico costruito.
CONCLUSIONI
Il PSI ha uno spazio politico enorme da coprire. Il socialismo non solo non è superato ma più che mai attuale. Chi nega tale evidenza ha altri obiettivi di carattere diverso da quello politico.
Oggi è necessario procedere ad un allargamento e un rinnovamento del gruppo dirigente. Parimenti è opportuno chiedere un passo indietro a chi non crede più nelle possibilità di ripresa del partito.
E’ indispensabile garantire alle prossime elezioni la presentazione di liste con il simbolo socialista e, su questo, fare un patto con i militanti, vecchi e nuovi, e con gli elettori. Non devono essere ammesse scorciatoie. Anche in presenza di alleanze per il superamento degli sbarramenti, va comunque evidenziato il nome ed il simbolo del PSI.
E’ necessario riallacciare rapporti seri e collaborativi con il sindacato e tutto il mondo associativo.
Il Partito del Lavoro deve avere sedi in tutte le principali città del Paese, gli eletti devono contribuire a tale necessità, i militanti devono consentire con il loro contributo alla vita associativa del Partito.
Il socialista non può avere l’imbarazzo a chiamarsi tale per responsabilità, ove esistenti, del passato.
Riacquistare la propria dignità, dimostrare con orgoglio di appartenere alla storia politica più lunga e più bella del Paese.