IL SOCIALISMO DI ANTONIO GREPPI, L'INDIMENTICATO SINDACO DI MILANO di Nicola Del Corno dall'Avanti della Domenica del 23 giugno 2013

30 agosto 2013

IL SOCIALISMO DI ANTONIO GREPPI, L'INDIMENTICATO SINDACO DI MILANO di Nicola Del Corno dall'Avanti della Domenica del 23 giugno 2013

Se già conosciuta era l’attività pratica di Antonio Greppi (1894-1982) quale giovane dirigente del PSU, protagonista di primo piano della Resistenza in Lombardia, indimenticato sindaco della ricostruzione di Milano dalle macerie della Seconda guerra mondiale, e infine parlamentare del PSI negli anni sessanta, meno noto risultava invece il suo impegno di scrittore politico. Per questo motivo dobbiamo essere grati a Jacopo Perazzoli che ha curato questa antologia di scritti che ripercorre la sua intera traiettoria politica; il primo testo presentato è infatti datato 1921 mentre l’ultimo, sempre cronologicamente parlando, è una lettera indirizzata a Claudio Martelli nel settembre 1980. Dalle pagine presentate emerge come filo rosso della produzione a stampa il particolare socialismo umanitario di Greppi, ossia la sua costante preoccupazione nel far sì che la politica si facesse costantemente carico del compito di elevare lo stato sociale e culturale, nel senso ampio del termine, dei ceti subalterni. Cercheremmo infatti invano nei suoi scritti sottili disquisizioni filosofiche su marxismo, materialismo, revisionismo e così via; l’ansia dello Greppi scrittore era piuttosto quella di indicare soluzioni immediate per migliorare le condizioni di vita del strati popolari più bassi, così come aveva sempre cercato di fare, e con ottimi risultati, nella sua attività di amministratore del capoluogo lombardo. «I poveri hanno fretta», questa frase pronunciata nel 1955 bene testimonia infatti quale fu la mira che contraddistinse l’operare pratico e lo speculare teorico di Greppi: il socialismo aveva un senso solamente se si adoperava per trasformare radicalmente la società nella sua integralità, e questo lo doveva fare subito, senza aspettare il maturare di più o meno lunghi tempi storici. Per fornire risposte immediate e concrete alle richieste provenienti da quelle classi e da quei ceti di cui il socialismo si ergeva a difensore, era necessario, secondo Greppi, che i suoi militanti abbandonassero qualsiasi forma di presuntuoso e inutile dogmatismo, retaggio di un passato dove vigevano più pseudo valori quali l’ortodossia che attitudini all’impegno e alla concretezza. Al contrario, «sia il nostro partito una libera associazione di buoni compagni […] che hanno il coraggio di criticare la loro fede e sanno avere fede nella loro critica» scriveva già nel 1921. La matrice etica e spirituale del socialismo greppiano proveniva dalla sua profonda religiosità; Greppi non aveva infatti remore nel definirsi socialista e cristiano al medesimo tempo, convinto com’era che solamente un’unione tutta terrena fra i valori trascendenti del cristianesimo e le istanze pragmatiche del socialismo potesse risolvere i drammi della vita terrena: infatti «dal primo scendono le eterne speranze della libertà interiore e della dignità civile, mentre il secondo crea i mezzi e le condizioni per la loro attuazione». E in un’altra occasione rimarcava, facendo riferimento diretto al pensiero di Ignazio Silone, come quello socialista fosse il movimento più cristiano fra tutti i contemporanei dal momento che «si occupa esclusivamente dell’uomo sotto la specie universale» nel combattere sempre qualsiasi forma di degradazione dell’umanità quale lo sfruttamento, la sopraffazione, l’asservimento. Inoltre, faceva notare Greppi, la stessa speranza di Marx a proposito di una nuova società «dove il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti» si richiamava ad un concetto di uguaglianza già espresso dal cristianesimo. Peraltro, ricordava Greppi, la stessa militanza socialista era in un certo senso esperienza di apostolato religioso, una «immolazione» al servizio del progresso dell’umanità, come ben dimostravano le parole di Matteotti ai suoi carnefici, «voi ucciderete me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai», ricordate appunto dal sindaco milanese.

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