IL SOCIALISMO DELLA SECONDA REPUBBLICA E IL SUO PECCATO ORIGINALE di Alberto Benzoni
17 dicembre 2017
Lo dico subito. Sto parlando con il senno del poi. E sto perciò descrivendo
"peccati originali"di cui io stesso sono stato se non partecipe,
testimone passivo.
Il primo, in ordine di tempo, fu quello di dire no alla proposta di un sistema
elettorale a due turni, per sostenere poi il mattarellum. L'ipotesi era quella
di un paese diviso in tre: il Nord alla Lega, il Centro al Pds, il Sud alla Dc.
L'idea sottostante era quella di unificarci elettoralmente con quest'ultima,
rinunciando in tal modo alla nostra indipendenza politica. Gli eventi
ulteriori, dall'emergere del berlusconismo, al nostro crollo elettorale del
'93/94, avrebbero trasformato questa "rinuncia all'indipendenza
totale" in dipendenza totale dal Pds: a lui l'ultima parola nella
distribuzione dei seggi nell'uninominale, a lui, molto spesso, anche la scelta
dei nostri compagni di strada, suscettibili di garantirci il superamento della
soglia del 4% nel proporzionale.
Il secondo è stato di dire no a Bettino Craxi nel comitato centrale
dell'autunno 1993: lui proponeva di chiamarci fuori sin dall'inizio dal sistema
politico della seconda repubblica, non partecipando alla distribuzione dei
seggi nel maggioritario e presentando invece le nostre liste nel proporzionale.
Era la scelta della traversata del deserto e come tale insopportabile per la stragrande
maggioranza dei nostri compagni. L'altra appariva politicamente più
"in"; ma gi avrebbe ridotto al ruolo di "specie protetta".
L'ultimo è stato quello di dire no alla "Cosa 2". Vero che i sui due
promotori, D'Alema e Amato persero ben presto interesse alla cosa. Ma è anche
vero che le ragioni del nostro rifiuto, viste sempre con il senno del poi, non
stavano in piedi. Per metterla giù in modo brutale l'alternativa non era tra
sanare o mantenere in vita la scissione di Livorno ma tra il lavorare
all'interno di qualcosa o essere nulla.
E nulla siamo stati da allora in poi. E siamo stati nulla, nel senso di non fare
percepire mai le ragioni della nostra identità al di fuori dalle nostre mura,
perché il ruolo che ci siamo scelti, quello di collocarci a destra del Pds così
da riportare nelle nostre file i voti che erano andati verso Berlusconi non
stava ne in cielo ne in terra. Gli ex comunisti non avevano certo bisogno
dell'aiuto di un partito craxiano senza Craxi per svendere il loro passato;
l'elettorato ex socialista, compreso il nostro non poteva certo apprezzare la
nostra sostanziale dipendenza dai "nostri carnefici".
Il resto è stato una conseguenza. Non avendo alcuna identità politica abbiamo
via via assunto come i camaleonti l'identità di coloro con cui ci alleavamo:
democristiani con i democristiani, banchieri con i banchieri, ulivisti con
l'Ulivo, ultra laici con i radicali, potenzialmente a sinistra del Pd ai tempi
di Veltroni. Ma, al tempo stesso, potenzialmente insofferenti rispetto alle
livree che ci toccava indossare, così da separarci da loro alla prima occasione;
e senza neanche una cerimonia d'addio.
Ci rimaneva dentro, ma sempre più vuoto e autoreferenziale. Quando l'abbiamo
esibito, per reazione alle prepotenze altrui, è stato l'1%.
Il resto è stato la faticosa e tutt'altro che compiuta presa di coscienza del
fatto che il nostro problema non è quello del nome o del simbolo ma della linea
politica. O detto in altro modo del significato, attuale e futuro, del termine
socialismo.
Su questo e non su questioni personali ci siamo divisi. Su questo stiamo
sperimentando diversi percorsi: che vedono gli uni partecipi della linea dei
passati presenti e futuri governi della seconda repubblica, gli altri
impegnati, come socialisti, nella costruzione, assieme ad altri, di una
sinistra di opposizione, insieme radicale e riformista di cui la cultura
socialista sia punto di riferimento.
E chi ha più filo costruirà più tela.