Il Socialismo come necessità. di Roberto Biscardini del 25 febbraio 2023 da Critica Sociale marzo-aprile 2023

22 aprile 2023

Il Socialismo come necessità. di Roberto Biscardini del 25 febbraio 2023 da Critica Sociale marzo-aprile 2023

SOCIALISMO, LAVORO, DEMOCRAZIA, GUERRA

IL RITORNO DI CRITICA SOCIALE

Sintesi dell’introduzione di Roberto Biscardini

Milano 22 aprile 2023

Mai come in questo momento sarebbe necessario un confronto aperto sulla stato del socialismo italiano. Una sorta di Stati generali del socialismo, non perché si debba celebrare alcunché, né tanto meno per risvegliare un ormai anacronistico “orgoglio socialista”, tanto autoreferenziale quanto inutile, ma proprio per l’esatto contrario. Per un esame, anche spietato, della situazione e dei ritardi accumulati negli ultimi decenni, dalla sinistra e dai socialisti insieme. Per analizzare le ragioni della debolezza nella quale si trova la politica socialista, anche nel nostro paese.

Per verificare se ci sono le condizioni per rimettersi in cammino, proprio a partire dall’analisi delle difficoltà in cui si trovano tutti coloro che ancora credono nell’idea e nella pratica del socialismo come “necessità”. Per un esame degli errori compiuti, dalla sinistra e dai socialisti. Per non aver fatto proprio il socialismo come elemento centrale della propria identità da un lato e dall’altro per aver praticato negli ultimi trent’anni un riformismo sostanzialmente di destra, che con i valori e i principi del socialismo non aveva nulla a che fare.

Quindi un confronto aperto, che Critica Sociale, insieme ad altre riviste, fondazioni, circoli e movimenti può promuovere non per parlar dei socialisti, né quelli di oggi né quelli di ieri, né di una comunità ormai sostanzialmente in disarmo, ma per affrontare la questione del socialismo e di cosa significa essere socialisti oggi.

Un ruolo che possiamo attribuire alla nuova serie di Critica Sociale, come luogo in cui sia possibile tenere vivo un dibattito sul socialismo e coinvolgere tutti coloro che si sentono parte di quel “socialismo largo” di cui si è parlato per anni. Insieme a tanti che sono socialisti, nella società e nella vita quotidiana, ma non sanno di esserlo.

D’altra parte è solo in quello “spazio politico largo” che può aprirsi un confronto salutare sull’identità della sinistra e su una questione ormai chiara: senza una grande forza socialista, la sinistra è debole e perdente. Rinuncia al proprio mandato storico, anzi lo tradisce, e finisce, come di fatto è finita da tempo, nella mani della destra. Lasciando un vuoto che nessuno fino ad oggi ha ancora riempito.

In questo senso dobbiamo pensare alla Critica Sociale concreta di Turati, ma anche di Mondolfo, come strumento di lotta politica. In cui, come si è detto, la parola sinistra possa coincidere con socialismo e viceversa, senza timori. E a partire dall’attualità e dai bisogni delle persone, ci sia nuovamente spazio per un “socialismo senza aggettivi”.

Per dare risposte a grandi questioni oggi sul tappeto.

A partire dai problemi del mondo del lavoro, sui quali occorre impegnarsi quasi quotidianamente. Perché quel mondo è andato fuori controllo. Cresce lo sfruttamento, i salari non sono più adeguati a garantire una vita dignitosa alle famiglie e il futuro alle generazioni più giovani. La flessibilità non ha aumentato la produttività, aumentano le diseguaglianze, cresce la lotta tra poveri e sono sempre più larghe le aree in cui si lavora in condizione di vera e propria schiavitù, senza diritti.

Nell’assenza di uno Stato garante di giustizia ed eguaglianza, perché la svolta conservatrice è riuscita non solo ad avere uno “Stato minimo”, ma anche uno Stato al servizio solo del mercato.

La questione del lavoro. Un impegno che dobbiamo mettere in campo costruendo un rapporto sempre più forte con il sindacato e con i territori. Mettendo in discussione le tante leggi che in questi anni hanno peggiorato le condizioni dei lavoratori, a partire dal Jobs Act. E rifiutando la logica secondo la quale il lavoro non è più un diritto ma solo un dovere.

Così come in cima ad una rinnovata iniziativa socialista c’è il tema della democrazia e la crisi di sistema nel quale ci siamo infilati. Questione socialista per definizione.

Non solo perché vale ancora la vecchia regola secondo la quale ciò che distingueva allora il socialismo dal comunismo, e oggi il socialismo dalla destra,

è proprio la difesa della democrazia.

Ma perché viviamo in un momento reazionario, in cui la libertà e la democrazia sono sotto attacco ovunque. E paradossalmente il socialismo non appare così attuale e così forte da reggere lo scontro, in un mondo che va sempre più a destra. Se si calcola che solo 10% circa della popolazione mondiale vive in stati democratici (pur con tanti limiti e tante cose che non funzionano), un altro 20% vive in stati cosiddetti democratici ma sotto regimi illiberali, il restante 65/70 % vive sotto regimi autocratici, il quadro è chiaro. Basta questo per dimostrare come la vertenza democratica debba diventare per i socialisti una questione essenziale e vitale.

Partendo dalla considerazione elementare che se per il socialismo la democrazia è il governo del popolo, per il popolo e con il popolo, anche nei paesi democratici dell’occidente come il nostro, ad andar bene i governi pensano alla democrazia per il popolo, ma mai con il popolo e mai del popolo.

Quando Macron di fronte a una manifestazione di due milioni di persone che scendono in piazza contro la riforma delle pensioni, risponde che, anche contro l’eventuale parre del Parlamento, non gliene frega praticamente nulla perché lui è stato eletto da un numero maggiore di cittadini, la democrazia è più che in pericolo, è praticamente morta.

Perché la democrazia vera, piaccia o non piaccia, rimane legata all’esigenza di dare voce e rappresentanza al popolo affinché, come diceva Dahrendorf: “il popolo possa liberarsi dei governanti senza bisogno di spargimenti di sangue. Possa controllare quelli che sono al potere in modo da essere certi che non ne abusino e possa avere voce nell’esercizio del potere stesso”.

Per evitare, anche oggi, di essere già finiti “in quel particolare momento della democrazia nel quale una maggioranza ha il potere di opprimere una minoranza e quindi anche i singoli cittadini”.

Insomma il socialismo come “necessità” per dare risposte chiare alla crisi democratica, alle disuguaglianze e naturalmente per avere una posizione coerente sulla guerra.

In un momento in cui l’assenza di una forza socialista, ed anche la sua debolezza a livello internazionale, colloca in tutta Europa quella che oggi si chiama sinistra su posizioni quasi esclusivamente atlantiste. Segno della rassegnazione, dell’incapacità di guardare lontano e di far valere i propri principi.

Oggi sentiamo l’assenza di una Internazionale socialista degna di questo nome, che faccia sentire la propria voce e il proprio peso. Sentiamo l’assenza di un efficace internazionalismo socialista. Così come non c’è un Partito del socialismo europeo in grado di contrastare il pensiero unico, secondo il quale l’unica via per la soluzione del conflitto sia l’invio di armi, sempre più numerose e sempre più sofisticate, dall’occidente all’Ucraina. Rinunciando al ruolo che dovrebbe svolgere la sinistra, affinché possa prevalere la diplomazia, per arrivare al più presto ad una tregua e ad un cessate il fuoco. Questione ancora più impellente se la minaccia fosse veramente l’allargamento del conflitto a livello mondiale.

Ma il socialismo da sempre, per definizione, è esistenzialmente incompatibile con la guerra, e di questo bisognerebbe farsene carico. Perché la guerra sposta il mondo ancora più a destra, nella sfera dell’odio e della violenza.

L’unica reazione sembra per ora venire dal basso. Dai movimenti e nell’opinione pubblica mondiale. Lì cresce la consapevolezza che le armi non sono la risposta migliore né per la vittoria dell’Ucraina, né per arrivare alla pace. E che l’invio delle armi sia un errore da diversi punti di vista. Ma i governanti tirano dritto, contro il parere della maggioranza dei propri cittadini. Con un'unica conclusione, il popolo, compreso quello che non vota, che non ha fiducia nella politica, che non ha fiducia né degli uni né degli altri, è più avanti dei propri governanti. Ma anche questo è un problema democratico. 

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