"IL SESSANTOTTO CHE NEGÒ PRAGA" di Dario Fertilio dal "Corriere della Sera" del 20 luglio 2008

25 agosto 2008


Un atteggiamento negativo che accomunò Pci, Lotta continua, Potere operaio, guevaristi Dogmatici. Che facevano i bravi ragazzi del Sessantotto al tempo della Primavera di Praga? Giravano la testa dall' altra parte. Al potere allora non ci andò l' immaginazione, ma più prosaicamente la fila di carri armati sovietici che il 20 agosto fece tremare i vetri dei palazzi cecoslovacchi. Si sarebbe potuto almeno scendere in piazza: ci si smarrì invece fra ta-ze-bao e analisi astratte, concludendo che laggiù non stava succedendo proprio niente d' importante, era in corso uno scontro fra conservatori e reazionari. Perché il vero socialismo, s' intende, era tutt' altra cosa, e occorreva leggere al di là degli avvenimenti, tornare a Lenin o abbeverarsi alla saggezza di Mao Ze Dong, non lasciarsi ingannare da uno «pseudosocialismo». Fu strabismo ideologico, e ne fu vittima la grande maggioranza della sinistra radicale. Con l' aggravante di perseverare nella cecità ideologica durante gli anni successivi, quelli dell' esilio a Solgenitsin (' 74), e fino alla Biennale veneziana del Dissenso (' 77). A quel colossale abbaglio la rivista Critica Sociale dedica ora un numero doppio, che comprende diversi interventi (fra cui quello del direttore Ugo Finetti), un articolo d' epoca (firmato sull' Avanti! nel 1978 da Ernesto Galli della Loggia con il titolo significativo Praga ' 68 e l' intellettuale «surrogato»), e un editoriale affidato all' uomo che guidò la Biennale veneziana durante la storica edizione del ' 77, Carlo Ripa di Meana. Tuttavia il cuore della ricerca porta la firma del filosofo e storico Paolo Sensini, che ha passato al setaccio la stampa dei gruppuscoli, ossia la galassia della sinistra extra-parlamentare. Risulta che, al di là delle mitologie libertarie, i sessantottini subirono pesantemente l' egemonia culturale del Pci, così espressa dal segretario Luigi Longo su Rinascita: «La nostra collocazione è del tutto chiara e irrinunciabile. Noi staremo sempre dalla parte del socialismo». Persino il gruppo del «Manifesto», che in seguito maturò la sua storica scissione dal Pci anche come conseguenza dell' invasione sovietica a Praga, non uscì mai dalla vecchia logica, sostenendo non che ci voleva più libertà ma un ritorno a Lenin, in modo da «accorciare la distanza fra avanguardia e classe» e insomma bisognava «da Marx tornare a Marx». Ma se il gruppo di Lucio Magri e Rossana Rossanda si sforzò almeno di cogliere la crisi del comunismo, i gruppi ancora più a sinistra bevvero sino in fondo la pozione ideologica e assunsero posizioni che, col senno di poi, appaiono quasi incredibili. «Potere Operaio», ad esempio, disquisì a lungo sulle «buone e cattive intenzioni dei socialisti dal volto umano», giungendo alla conclusione poco lungimirante che «nella Patria della rivoluzione», cioè l' Urss, e negli altri Paesi del «campo socialista», «vigesse tutt' ora il modo di produzione capitalistico», e che questo fosse la causa di tutto. Sostituite il «capitalismo di Stato sovietico» con la «Rivoluzione culturale cinese», invocava il giornale, e vedrete se «il progetto grandioso di Lenin» non riprenderà a marciare! Più severi di «Potop», i Quaderni Piacentini liquidavano i fatti di Praga come «socialimperialismo della burocrazia sovietica»: anche qui il maoismo avrebbe costituito «un correttivo alla rivolta spontanea, anarcoide, populista e pseudoreligiosa». Invece Problemi del socialismo, diretto da Lelio Basso, molto vicino al Movimento studentesco, condannava insieme il «conservatorismo» dei carri armati e «la risposta di tipo socialdemocratico», oltre all' economista della Primavera, Ota Sik, giudicato l' autore di «concezioni che favorivano le forze antisocialiste e controrivoluzionarie». Allorché il Movimento studentesco si esprimeva in prima persona, attraverso i suoi bollettini, prendeva di mira la «restaurazione borghese» realizzata dai sovietici a Est e allo stesso tempo «le tesi apertamente socialdemocratiche della cosiddetta Primavera di Praga». Nel frattempo Servire il Popolo tesseva le sue lodi al grande Timoniere Mao, eliminando il povero Solgenitsin con un' alzata di spalle: «Sul piano letterario, politico e storico non rappresenta nulla che non sia un luogo comune». E la libertaria Lotta Continua di Adriano Sofri? Attenta al «grande lascito di Lenin», pronta a contrapporre al «comunismo falso della Polonia quello vero rappresentato dalla Cina». Si potrebbe continuare il florilegio: Bandiera Rossa che ospita un articolo del redattore capo della Pravda in cui Solgenitsin viene definito «uno schizofrenico»; Nuovo Impegno che, di fronte al suicidio di Jan Palach commenta con involontario umor nero: «Non ci fa certo ridere la sua morte... ma il fatto principale della mobilitazione generato da Palach non ha contenuti socialisti»; Lavoro politico, che si oppone fermamente «tanto agli aggressori social-imperialisti sovietici che alla cricca ultrarevisionista capeggiata da Dubcek» proclamando la sua devozione al partito comunista cinese; Giovane Critica, sprezzante riguardo al «punto nodale filocapitalista e filoimperialista del nuovo corso cecoslovacco»; il guevarista Maquis, pronto a giudicare «l' occupazione della Cecoslovacchia un avvenimento dolorosamente necessario sul piano politico»; Avanguardia Operaia, ferma nel condannare la Primavera alla stregua di «un volgare tentativo di riformare il paese con ricette all' occidentale». E si potrebbe concludere con Lotta Comunista, attratta dalla fantastica ipotesi di una «alleanza tra le superpotenze mondiali», Usa e Urss. Ma è giusto infierire su chi allora rinunciò a essere laico, preferendo atti di fede ideologici e formule liturgiche? * * * L' incontro Il numero doppio della rivista «Critica sociale», con il saggio di Paolo Sensini «I due Sessantotto» sul dissenso e la contestazione italiana dal 1968 al 1977, sarà presentato martedì alle 18.30 a Roma, in via del Seminario 76, sala del refettorio. Parteciperanno Stefania Craxi, Ugo Finetti, Ernesto Galli della Loggia, Carlo Ripa di Meana, Stefano Carluccio.

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