IL RITORNO DEL FRONTISMO CONTRO IL FASCISMO DI OGGI; E NEL RICORDO DI GIACOMO MATTEOTTI di Alberto Benzoni del 6 giugno 2020
06 giugno 2020
Tra qualche giorno, l’anniversario della morte di Giacomo Matteotti. A ricordarlo, nel luogo in cui fu rapito, sempre meno gente. Più vecchia; e forse anche più stanca. Rinchiusa in un piccolo spazio verde. E tutt’intorno uno sfrecciare di macchine.
Lui, diventato un santino. “Potete uccidere me ma le nostre idee non moriranno mai”. Edificante ma risibile e, in fondo, un tantino offensivo. Perché, in quella macchina non fece nessuna dichiarazione né attese passivamente la sua sorte ma lottò sino all’ultimo contro i suoi assassini, uno contro quattro, fino a sfasciare il vetro divisore della macchina con un calcio, per essere finito con l’ultima pugnalata. Non che sperasse di salvarsi; ma doveva reagire, sempre.
Nell’atmosfera mefitica della seconda repubblica, Matteotti è poi diventato una specie di Pecorelli buono. “Ucciso perché stava per rivelare uno scandalo”. E questo, signori, è francamente troppo. Perché, guarda caso, il deputato socialista, poco più di dieci giorni prima, solo di fronte a una canea di fascisti che urlavano “a morte” aveva denunciato con un’abbondanza di dati, lo scandalo di un elezione in cui il fascismo aveva dimostrato tutto il suo volto, chiedendone, in blocco, l’invalidazione; e in nome del popolo italiano e del suo processo di emancipazione. Ben sapendo, e comunicando ai suoi compagni, che con ciò firmava la sua condanna a morte.
Matteotti era un riformista. Ma per lui, le riforme facevano tutt’uno proprio con l’emancipazione del mondo del lavoro e con le istituzioni che ne segnavano il progresso. Di questo processo, il Nostro era stato, sempre, esponendosi in prima persona, un protagonista.
Per questo era stato, sin dal principio, bersaglio dello squadrismo e dell’odio dei possidenti. Per questo era stato soggetto di ogni sorta di offese e di umiliazioni personali, dovunque manifestasse la sua presenza. E quindi costretto a una vita randagia, lontano dal suo popolo, dalla sua famiglia e dai suoi affetti. Per questo fu in grado di capire, prima e più di chiunque altro, quale fosse l’essenza del fascismo.
Questo lo angosciava. “Voi non capite, voi non reagite, voi dovete reagire.” Lo ripeteva, in modo ossessivo, in particolare ai suoi compagni ma anche, indirettamente, a coloro convinti che dopo il 28 ottobre la situazione si sarebbe normalizzata o magari a coloro che, tutti intenti a prepararsi per la rivoluzione futura, non si preoccupavano più tanto della controrivoluzione presente.
Disse, allora, che, “per credere (leggi, per capire) gli italiani hanno bisogno del sangue”. Leggi, del suo. E, infatti, alla fine del suo discorso, disse ai suoi compagni, “io il mio discorso l’ho fatto; adesso, preparate la mia orazione funebre”.
Esattamente 16 anni dopo, e nello stesso giorno, l’Italia entrava nella seconda gueera mondiale. A testimoniare il fatto che la violenza era l’essenza stessa della sua vocazione.
Ed è proprio in nome di Matteotti che noi, noi tutti, siamo chiamati a capire cosa sia oggi il fascismo e come bisogna combatterlo.
Non continuiamo a confonderlo con i “nostalgici”. Perché sono pochi e il rimpianto non costituisce un pericolo. Ma non commettiamo l’errore di pensare che il pericolo non esista perché non vediamo in giro milizie armate o guerre di tipo tradizionale; e magari perché tutti si dichiarano “democratici” e invocano le elezioni come una specie di giudizio di Dio.
In realtà viviamo in un mondo pervaso di cultura fascista. Fascista è l’odio che ci soffoca e che viene costantemente alimentato, giorno dopo giorno. E con esso la costante ricerca del nemico e del colpevole dei nostri mali. Ricerca che, a partire dalla caccia alle minoranze, si estende progressivamente all’intera società colpendo, con toni da guerra civile, tutti coloro che stanno “dall’altra parte” (da noi, si è partiti dal migrante per arrivare a “Giuseppi”). Fascismo è la caccia al colpevole e non la ricerca di una soluzione. Fascismo è il totale disprezzo delle regole e delle istituzioni. Fascismo è il rifiuto della solidarietà e di ogni istituzione collettiva e un nazionalismo gretto e meschino che con la corretta, anzi doverosa, rivendicazione della sovranità non ha nulla a che fare. Fascismo è l’ossessione per la sicurezza, il chiudere le porte, il culto della paura. Fascismo, infine e soprattutto, è il culto della guerra e della sopraffazione: e cioè la pratica costante di un conflitto a somma zero con il maggior costo per gli altri e con il minimo rischio per se stessi.
Fascismo è, nel contesto della crisi attuale, il tentativo di uscire dalla pandemia accrescendo il potere e il privilegio dei pochi a scapito della democrazia dei diritti e dei bisogni dei molti. E, in tale contesto, la presenza, in particolare negli Stati Uniti e nel nostro paese di figure e di schieramenti che ne rappresentano l’essenza.
Combatterlo, e sul terreno della democrazia, è dunque un dovere politico e morale. E l’unico possibile quadro che ci consenta di essere, insieme, autonomi e unitari.
Ci si dirà che non possiamo essere antifascisti e basta. E che alla contestazione della cultura del nemico occorre, per vincere, contrapporre la propria. E le proprie ragioni.
Il problema esiste. Ma quando sentiremo in noi stessi le ragioni della nostra unità, allora l’avremo già in gran parte risolto.