IL REDDITO DI CITTADINANZA IL SUD E IL POPULISMO di Maurizio Ballistreri da Fondazione Nenni 12 marzo 2018
12 marzo 2018
La vittoria del Movimento 5 Stelle nel Mezzogiorno del nostro Paese è stata attribuita, in larga parte, alle aspettative della gente del Sud nei confronti del cosiddetto “reddito di cittadinanza”, visto come un nuovo istituto assistenzialistico per garantire una sorte di rivendicazione del diritto al “non lavoro”.
Da questa analisi semplificatoria, sono state riproposte vecchie e nuove teorie antimeridionali, anche di tipo razzista. E così, di nuovo i meridionali “brutti, sporchi e cattivi” che vogliono un salario senza lavorare come i migranti, con l’armamentario ideologico degli antropologi positivisti, sviluppatosi a partire dalle teorie di Cesare Lombroso e trova rappresentazione visiva nel suo museo privato (degli orrori!) allestito a Torino dal 2009. Un’ideologia secondo cui i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale e la questione meridionale, con le antiche rivolte dei contadini, solo un problema di anatomia, di atavismo criminale. Posizione riproposte, giusto per verità storica, dal primo ideologo della Lega, il partito di Salvini, Gianfranco Miglio, con tanto di auguri di sparizione dalla carta geografica a seguito di disastri: un vero e proprio campionario di “razzismo differenzialista”, che, purtroppo, l’Italia periodicamente ha conosciuto, come tragicamente ci ricordano le leggi razziali del fascismo del 1938.
Senza cadere nella retorica della rievocazione storica, secondo cui, giustamente, il Mezzogiorno rivendica lo sviluppo di grandi civiltà nel suo seno, come quella legata alla Magna Grecia ovvero la circostanza che il vituperato (a ragione per tanti motivi) Regno delle Due Sicilie era per ricchezza nell’800 il terzo tra le Nazioni europee, non si può non evidenziare, dati alla mano, che in tutta la vicenda dell’Unità d’Italia il Sud è stato emarginato e tenuto dalle élite politiche nazionali come grande area di sottosviluppo e di consumi scadenti, da utilizzare per l’emigrazione di massa verso le grandi fabbriche fordiste al Nord e come serbatoio di voti di tipo clientelare, inibendo ogni forma di riscatto sociale ed economico da conseguire con l’occupazione produttiva e lo sviluppo civile.
Ecco perché, la propaganda definita populista ha attecchito nel Mezzogiorno, quella dei pentastellati e financo, incredibile a dirsi, quella leghista, proponendo una divisione semplice del sistema politico e della società, da una parte l’establishment e dall’altra il popolo sfruttato, come i meridionali, soprattutto giovani, costretti ad una nuova emigrazione, questa volta rispetto a quella novecentesca in larga parte intellettuale, che ormai ha assunto i caratteri di massa.
E’ stato l’abbandono del Meridione da parte della politica, soprattutto nella Seconda Repubblica, ad avere favorito il consenso ai movimenti populisti e ad avere creato una diversa dialettica rispetto a quella destra/sinistra di stampo novecentesco: quella tra élites ed emarginati, in cui l’aspettativa del reddito di cittadinanza è solo il simbolo, considerato che esso è del tutto irrealistico.
Gli studiosi di sistemi di welfare sanno che non è stato mai introdotto in nessuno Stato al mondo, poiché che si tratterebbe di una misura di sostegno al reddito di tipo universale verso tutti i cittadini, da finanziare con un incremento esponenziale della pressione tributaria e, quindi, irrealizzabile, soprattutto in un Paese come il nostro che viaggia su livelli di fiscalità tra i più alti a livello globale. Non a caso già gli esponenti dei 5 Stelle parlano di impossibilità a realizzarlo. In realtà, gli istituti diffusi soprattutto nei paesi scandinavi prevedono l’erogazione di un reddito minimo a chi è senza lavoro, ma legato a politiche attive per l’impiego, finalizzate all’inserimento nel sistema produttivo, anche con la partecipazione a percorsi di formazione e riqualificazione professionale o a lavori di pubblica utilità.
Ma le forze politiche tradizionali, ormai prigioniere di logiche politiciste e di autoconservazione, come testimonia il cupio dissolvi del Pd, non sono state in grado di spiegare la fallacità della proposta del reddito di cittadinanza e delle altre improbabili proposte populiste: non sono, in definitiva, come avveniva nella vituperata Prima Repubblica, riuscite a parlare al Popolo usando i canali della rappresentanza democratica.
Adesso bisognerà evitare i rischi di quelle forme di democrazia diretta, che assegnano il potere assoluto alla maggioranza, secondo quello schema descritto efficacemente da Alexis de Tocqueville in “La democrazia in America”: la “dittatura della maggioranza”.
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