IL PSI TRA PASSATO E FUTURO. Nota politica di Angelo Sollazzo
01 giugno 2013
Le crisi, di ordine politico e di ordine economico, che attanagliano il Paese, dimostrano chiaramente la inadeguatezza delle nuove dirigenze ai vari livelli ed il fallimento totale dei nuovismi di maniera e della cosiddetta seconda repubblica.
Più volte hanno tentato di spiegare che il modernismo coincideva con la rottamazione delle ideologie e di ogni tipo di ideale, con la trasversalità degli interessi, con la esigenza di un potere interclassista , con il leaderismo esasperato e la fine delle decisioni assembleari e condivise.
La politica del Capo, la politica spettacolo e la politica dell’egoismo, hanno generato mostri di cui ne stiamo pagando le conseguenze.
Berlusconi è stato l’antesignano dell’anti-politica, contro i professionisti e la militanza partitica. Altro che nani e ballerine. Amiche, amanti, avvocati e dipendenti si sono trovati ai vertici dello Stato senza un minimo di gavetta e di preparazione.
Il populismo di Berlusconi ha lasciato il campo ad un populismo ancora più pericoloso, quello dei grillini, dove il Capo non ammette contestazioni, chi trasgredisce viene messo alla gogna, e la platea democratica viene individuata attraverso internet , in barba ai milioni di cittadini, operai, contadini etc, che non hanno mai acceso un computer.
La sinistra ha avuto il torto di non capire che doveva adeguare i propri comportamenti, evitando conservazioni dell’esistente e rifuggendo dall’errore antico della supponenza e del senso di superiorità.
I socialisti devono evitare di scimmiottare gli uni e gli altri.
Essi hanno l’ideale più alto della storia dell’umanità, hanno la ricetta per superare le crisi politiche ed economiche, governano in tante parti del Mondo, (le sue applicazioni, in USA come in Europa, hanno riparato certe storture del capitalismo selvaggio), hanno un progetto di società moderno ed attuale.
Parlare oggi di cambiamento di ragione sociale ovvero del solo nome e simbolo del socialismo italiano, significa votarsi ad un suicidio e non porta da nessuna parte.
La politica di un partito non può essere fatta di trovate estemporanee di qualche dirigente. La base e i militanti, che hanno dedicato parte importante della loro vita ad un ideale tanto profondo, non possono accettare continui cambiamenti di fronte.
In virtù di cosa ci si chiede di cambiare nome? Forse per consentire a qualcuno di tornare in Parlamento. Tutto questo non ci interessa. Intendiamo, invece, conservare il nome e l’ideale del più antico partito italiano..
Pensare di aggregare nuove forze provenienti da altre esperienze è pura utopia.
La Rosa nel Pugno, come il Girasole, SEL ed altri pastrocchi del genere, hanno danneggiato pesantemente il socialismo italiano. Con i Radicali l’incontro fu allucinante. La pretesa di accettare una politica economica liberista di stampo reaganiano, di rifuggire dai rapporti con il sindacato, con la proposta di eliminarlo, la scelta di una riforma elettorale di stampo americano, la scelta dei diritti civili che dovevano sovrastare quelli sociali, erano posizioni inaccettabili per un partito che si chiama socialista, che vuole rappresentare il mondo del lavoro e che, anche con la sua debolezza numerica, intende avere una vocazione maggioritaria. Il PSI è, per scelta storica, laico ma non laicista, liberale nella difesa della libertà, ma non liberista e soprattutto è un partito della sinistra italiana e non un movimento radical-chic, con la puzza sotto il naso, che si rivolge ai pochi eletti e si occupa di argomenti esclusivi e di nicchia, come i diritti delle coppie di fatto, della eutanasia, dell’argine al clericalismo etc. Diritti già presenti nei progetti del socialismo italiano, ma che sono secondari rispetto ai grandi temi del lavoro, dell’occupazione, della solidarietà e della coesione sociale, della pace nel mondo.
Anche i matrimoni con partiti e movimenti estremisti non potevano durare.
Oggi ben vengano revisioni sul terreno del socialismo europeo, ma sia chiaro che a sbagliare non siamo stati noi. Sono falliti il comunismo ed il capitalismo, non il socialismo. Le poche forze laiche e liberali ancora esistenti possono avere diritto di cittadinanza nel partito del socialismo italiano, ma non per questo abbiamo la esigenza di cambiare il nostro nome e la nostra ragione sociale.
Abbiamo bisogno di un socialismo “largo”, recuperando le forze disperse, che in questi anni non si sono riconosciute nel partitino delle cooperative e delle cricche, che consenta realmente una dialettica interna, dove nessuno sia permaloso e si offenda di lesa maestà, dove la solidarietà e la fratellanza siano al centro dell’agire e dell’operare comune. Da alcuni anni, per primi, abbiamo parlato dell’applicazione dell’art. 49 della Costituzione per il riconoscimento giuridico dei Partiti, per la loro trasparenza amministrativa e per la loro democrazia interna. Nell’attesa applichiamo noi , comunque, tali dettami, evitando colpi di mano, convocando immediatamente un congresso le cui scadenze risalgono ad un anno fa, consentendo a tutti piena agibilità politica. Le forzature portano alle divisioni, chi le attua se ne assume la totale responsabilità.
In questo particolare e delicato momento che viviamo, dare all’esterno, sulla stampa ed alle stesse forze politiche alleate , lo spettacolo dei socialisti rissosi, inconcludenti ed inaffidabili, non ci gioverà affatto e farà allontanare ancora di più i militanti, con una preoccupante emorragia di iscritti e di elettori, già ridotti ai minimi termini. A meno che non si giochi al “meno siamo, meglio stiamo” Sarebbe incoscienza allo stato puro. Il Congresso è la forma più valida della democrazia interna. Non celebrarlo, fare altro, nonostante le scadenze, modificare gli assetti senza sottoporsi al giudizio degli iscritti è inaccettabile. Sbaglia chi pensa di conservare l’esistente, come se si trattasse di un partito del 15%. Con Boselli eravamo scesi allo 0,9%. Oggi, dopo cinque anni dell’attuale Segreteria, siamo ancora più in basso. A troppi è stato consentito di pontificare, nelle riunioni degli organi, senza collaborare. A chi ha lavorato non sono stati riconosciuti meriti di alcun genere. Le responsabilità sono di tutti e per questo occorre un Congresso di rifondazione, partendo da zero. Con percentuali da mezzo punto non si può che partire dall’azzeramento del tutto, con tutti dimissionari, a cominciare dall’intera Segreteria e lavorare uniti per ricostruire la casa comune. Altrimenti di che stiamo a parlare? I giochetti di sostituire l’uno con l’altro non servono proprio.
Non possiamo pensare ad una scissione dell’atomo, ma per continuare a lavorare insieme dobbiamo rispettarci a vicenda, nessuno ha la verità innata, il partito si deve aprire a tutti senza gelosie e avversioni, senza primogeniture da rivendicare, ma con generosità. Solo allora il cammino del socialismo italiano potrà essere veramente comune.
Roma 10 Aprile 2013