IL PROPORZIONALE PER FERMARE LO SFASCIO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA di Roberto Biscardini
15 gennaio 2025
IL PROPORZIONALE PER FERMARE
LO SFASCIO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA
di Roberto Biscardini
Sono molte le ragioni che
hanno spinto alcuni cittadini di diversa estrazione sociale, formazione
culturale e orientamento politico a dar vita al comitato referendario “Io
voglio scegliere” per modificare l’attuale legge elettorale, il Rosatellum,
voluta da Renzi nel 2017.
Per ridare ai cittadini il
diritto costituzionale di scegliere col loro voto i propri rappresentanti e di
esprimere, come prevede la Costituzione, un voto personale eguale, libero e
segreto. Così come ripeteva sempre il nostro amico, avvocato costituzionalista
e socialista Felice Besostri che aveva fatto della battaglia per una legge
elettorale democratica una battaglia di principio, portando in Corte
Costituzionale sia il Porcellum, l’Italicum ed infine il Rosatellum, dove
ancora giace senza sentenza.
Leggi elettorali tutte
incostituzionali che hanno eletto Parlamenti di fatto incostituzionali.
Quattro quesiti, più una
legge di iniziativa popolare per introdurre le preferenze ed abolire le liste
bloccate, correggere le peggiori anomalie di una legge falsamente proporzionale,
costruita opposta con il sostegno sia dei maggiori partiti del centrosinistra
sia del centrodestra, per assegnare la maggioranza parlamentare a coalizioni
vincenti, ancorché politicamente non omogenee.
Quindi, una legge che
favorisce ammucchiate politiche a sostegno di un modello bipolare.
Sono molte le ragioni che non
hanno consentito al comitato “Io voglio scegliere” di raggiungere l’obiettivo,
nonostante l’impegno di molti volontari in tutto il territorio nazionale. Da un punto vista tecnico: la carenza di
mezzi per sostenere una campagna di comunicazione efficace, l’oggettiva
difficoltà di semplificare una materia complessa, compresa la difficoltà di
spiegare i quesiti referendari abrogativi che si inserivano su una legge come
il Rosatellum che volutamente è tra le più farraginose che abbiamo mai avuto.
Sul piano politico la ragione
dell’insuccesso è ancora più semplice: tutte le forze politiche (con l’aiuto
dei media e dei sindacati) hanno preferito conservare i propri privilegi incostituzionali
e garantire la propria sopravvivenza fuori dalla logica di ciò che comunemente
si intende per “requisito minimo” di un sistema democratico.
Ma l’obbiettivo principale
era e rimane tuttora valido: modificare la legge elettorale vigente per consentire
ai cittadini il diritto elementare di votare i propri parlamentari, sottraendo
questo potere alle segreterie dei partiti che, con una serie di alchimie
incomprensibili ai più, riescono con questa legge, salvo rare eccezioni, a
definire preventivamente la composizione dell’intero Parlamento. Riescono a
scegliere a tavolino prima del voto chi sarà eletto e chi no. Facendo così del
Parlamento non un parlamento di eletti dal popolo, ma un parlamento di
“nominati”.
Partiti che hanno visto con
terrore un referendum sulla rappresentanza che avrebbe potuto mettere in
discussione quel sistema bipolare che regge dal 1994 che è andato via via
sempre più peggiorando dal Mattarellum in poi.
L’essenza della Seconda
Repubblica.
Hanno visto con terrore
un’iniziativa che nasceva dal basso e che metteva al centro dell’attenzione la
centralità della legge elettorale come centralità della questione democratica.
Che metteva al centro il tema della democrazia tanto conclamata e tanto
calpestata.
Una legge elettorale che ha
alimentato un sistema partitocratico senza partiti. Senza partiti governati con
“metodo democratico” nonostante l’articolo 49 della Costituzione. Partiti
trasformati in puri e semplici comitati elettorali, dentro un sistema politico
e istituzionale che ha esso stesso favorito la nascita di partiti quasi tutti
personali, che vivono senza congressi, senza radicamento sociale. Partiti
contenitori, che portano nelle istituzioni non gli eletti dal popolo, ma i
rappresentanti degli apparati e delle segreterie.
E qui arriviamo al punto.
Il comportamento delle forze
politiche della Seconda Repubblica (tutte) ci consegnano così una democrazia
malata e un Paese che non è più democratico. Causa dell’attacco perfetto che
destra e sinistra insieme hanno arrecato alla democrazia rappresentativa e alle
istituzioni di questo paese. Causa delle logiche di coalizione, poli o campi,
che si sono costruite un sistema istituzionale su misura per blindare la propria
sopravvivenza, senza neppure fare la fatica di presentarsi agli elettori con un
unico programma elettorale.
Un sistema istituzionale in
cui ha prevalso l’offensiva politica contro il ruolo delle assemblee elettive,
dai consigli comunali e regionali al parlamento. Dove si è valorizzato il
principio negativo della verticalizzazione del potere nelle mani degli
esecutivi, sempre più nella prospettiva di mettere tutto il potere nelle mani
di un uomo solo.
E così dopo l’elezione
diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione, l’ipotesi dell’elezione diretta
del premier (detto anche Sindaco d’Italia) appare persino naturale. Tanto più che
la destra può cavalcare questo suo disegno ricordando a tutti che il premierato
era già trent’anni fa nelle corde di molti esponenti della sinistra.
Una sinistra di centro, se
non addirittura una sinistra di destra, che si è resa responsabile
dell’elezione diretta dei sindaci oggi trasformati in Podestà, dell’elezione
diretta dei presidenti di Regione che si credono Governatori e dei premi di
maggioranza riconosciuti alle coalizioni vincenti. Una forma di moderne
dittature (democrature) nelle quali non è consentito ai rappresentanti dei
cittadini né di dare l’indirizzo politico, né di controllare l’esecutivo, e
tanto meno ai cittadini di partecipare al processo di formazione delle
decisioni.
Così come la cosiddetta
sinistra si è resa purtroppo responsabile di aver modificato nel 2001 il Titolo
V della Costituzione, aprendo di fatto la strada alla riforma sulla autonomia
differenziata che oggi giustamente si vuole abrogare e di aver condiviso con la
destra la riduzione del numero dei parlamentari, e prima ancora la riduzione
del numero dei consiglieri regionali e comunali. Alla faccia del valore della
rappresentanza politica e territoriale e del pluralismo politico nel governo
delle istituzioni.
Un consociativismo
distruttivo della Costituzione ad opera di tutte le forze politiche.
Adesso dobbiamo fermare lo sfascio
della nostra democrazia mettendo il cacciavite nell’ingranaggio, cercando di
girare la vite in senso inverso, riportando tutto ai nastri di partenza della
nostra democrazia costituzionale, avendo il coraggio di affrontare a testa alta
l’esigenza, che non nasce oggi, di mettere mano alle principali leggi
elettorali vigenti per dare al paese un sistema elettorale più organico e più
omogeneo.
Proprio perché siamo in un
momento difficile, tutto ciò si può realizzare, riaprendo, ovunque sia
possibile, il tema centrale della nostra democrazia in crisi.
Lo si può fare dal basso con
gli strumenti a disposizione di una concreta iniziativa popolare: associazioni
culturali, circoli, movimenti, comitati, referendum e leggi di iniziativa
popolare. Ma soprattutto cercando di riaprire una discussione e una riflessione
dentro i singoli partiti e in particolare dentro i cosiddetti partiti della
sinistra. Affinché prendano coscienza degli errori che sono stati commessi e
prendano coscienza che una sinistra imballata sul politically correct, radical
chic, espressione delle élite, lontana dalle questioni della pace, della
democrazia e del lavoro è destinata continuamente a perdere. Così come la crescita
costante delle astensioni e la caduta di credibilità della politica, nessuna
esclusa, non sono figlie di nessuno ma della non politica di questi ultimi
decenni.
Quindi dobbiamo auspicare che
i partiti facciano per prima cosa i loro congressi, democratici, e mettano al
centro della discussione il tema dello stato della nostra democrazia.
Avendo come primo obiettivo
lo smantellamento del sistema bipolare. Quello che abbiamo vissuto negli ultimi
trent’anni come eterna contrapposizione tra la il bene e il male. In perfetta
sintonia con la “cultura della guerra” che da qualche anno abbiamo capito con
chiarezza cosa significa. Sempre in guerra, non per fare gli interessi generali
del paese ma per vincere, dove l’avversario politico è un nemico che deve
essere distrutto con ogni mezzo, lecito o illecito. Nella cultura della guerra
ci sono solo vinti e vincitori e il conflitto è senza limiti. Così che anche dal
vocabolario della politica è sparito il dialogo, la collaborazione tra diversi
e la mediazione, ma la mediazione è il sale della democrazia. E così è
scomparsa anche la politica.
Un sistema bipolare
all’italiana estraneo alla nostra cultura politica che ha distrutto la cultura
di governo trasformando le coalizioni in semplici cartelli elettorali e
macchine per il potere, divise su tutto ma unite per vincere e prendersi tutto.
Quindi superare il
bipolarismo e abolire tutti i sistemi elettorali di tipo maggioritario, compresi
quelli cosiddetti proporzionali con premio di maggioranza alle coalizioni
vincenti (una vera e propria contraddizione in termini tipica di
quell’ipocrisia antipolitica che ci trasciniamo da decenni).
Andando con coraggio oggi,
perché non sia troppo tardi, alle nostre radici costituzionali ed anche a
quelle liberali precostituzionali, sbarazzandoci dell’illusione di poter dare
al paese, attraverso il maggioritario, più efficacia e governi migliori, più
stabilità, e di sapere chi sarà chiamato a governarci il giorno stesso delle
elezioni, se non addirittura il giorno prima.
Bisogna avere il coraggio di
costruire un grande movimento per mettere davanti a tutto il valore della
rappresentanza che solo elezioni di tipo proporzionale con preferenze può
garantire.
Per dare ai cittadini con il
voto il diritto di scegliere il proprio partito o la lista preferita e di
scegliere i propri rappresentanti (cosa che oggi non avviene).
Così che le coalizioni nasceranno
dopo il voto, sulla base delle maggioranze che si costruiranno in Parlamento.
Perché vogliamo essere ancora
in una repubblica democratica e in una democrazia parlamentare e perché
vogliamo che il potere sia restituito alla politica sottraendolo a chi lo
detiene senza legittimazione popolare.
E perché siamo convinti, come
i nostri padri costituenti, che il sistema elettorale proporzionale sia il più
funzionale alla formazione di governi di coalizione ed ha il suo fondamento sul
principio fondamentale della collegialità, considerato essenziale per la tenuta
del sistema democratico, e per consentire una larga partecipazione dei
rappresentanti delle forze politiche nel governo della cosa pubblica.
Un sistema elettorale
proporzionale funzionale anche alla rinascita di partiti veri.
In merito alla
devastata democrazia italiana, Francesco
Pallante, uno dei più importati nostri costituzionalisti italiani, nell’introduzione
al libro “Difesa della proporzionale. Il dibattito ne La Rivoluzione Liberale
1922-1925” sostiene: “Se non tutto è ancora perduto e permane
una qualche speranza di salvezza, la via d’uscita rimane quella indicata da
Gobetti e dai collaboratori de ‘La Rivoluzione Liberale’: tornare al
proporzionale. Non, ovviamente, perché una legge elettorale che dia a ciascuno
il suo sia di per sé salvifica, ma perché salvifica è la visione delle relazioni
politiche e sociali che potrebbe portare con sé”.
Il proporzionale come nuovo
inizio, per un’alternativa di sistema, che soprattutto la sinistra dovrebbe
promuovere.