IL PIANO ARIA E CLIMA DI MILANO. Una prima riflessione. di Gianpaolo Corda da il Giorno del 10 gennaio 2021

02 febbraio 2021

IL PIANO ARIA E CLIMA DI MILANO. Una prima riflessione. di Gianpaolo Corda da il Giorno del 10 gennaio 2021

Il 5 gennaio scorso è stato pubblicato il Piano Aria e Clima, adottato dal Consiglio comunale di Milano il 22 dicembre 2020 e dal 12 gennaio, per 45 giorni, è data facoltà a istituzioni e privati cittadini a presentare le relative osservazioni.

Il Piano testimonia l’impegno della città ad aderire a reti e iniziative internazionali, tra cui il C40 Cities Climate, che conferma come Milano partecipi del network delle città mondiali nella sua specificità, accreditata dai più (ESPON e OCDE in testa) di essere polo primario di un’area metropolitana sostenuta da un sistema urbano policentrico di 8 milioni di abitanti.

Quel che lascia perplessi nel Piano è come rispetto a questa dimensione le politiche di intervento previste si riducano ad un ambito sostanzialmente comunale e perdano di vista come la dimensione dell’impegno di migliorare “aria” e “clima” implichi un sistema di azioni che, con qualche speranza di risultati, guardi a questo vasto ambito territoriale e alle interconnessioni che lo caratterizzano.

A partire dalla declinazione dei 5 ambiti di intervento previsti dal Piano, che tendono a fare di Milano «una città pulita, equa, aperta e solidale (“sana e inclusiva”), che si muove in modo sostenibile, flessibile, attivo e sicuro (“connessa e altamente accessibile”), che consuma meno e meglio (“a energia positiva”), più verde, fresca e vivibile che si adatta ai mutamenti climatici (“più fresca”), che adotta stili di vita consapevoli (“consapevole”)» sembra che i problemi sottesi trovino un valida risposta a partire dall’ambito municipale. Ma così non è.

Anche solo rispetto alla giusta prospettiva di rendere Milano “connessa e altamente accessibile”, proprio per la natura di città di rango mondiale, presuppone una visione capace di affrontare il sistema di relazioni e di scambi sotteso alla sua reale dimensione.

La prospettiva enunciata di “dimezzare” al 2030 la mobilità in ingresso a Milano, con più rigide politiche di selezione delle auto che attraversano i suoi confini (definiti dall’Area B), implica o un radicale cambio modale verso un trasporto rapido di massa, reso appetibile da investimenti di dimensioni epocali (e conseguenti costi di gestione) di cui non si vedono le condizioni o, in mancanza di questi interventi, una riduzione netta dell’accessibilità, che produrrebbe devastanti effetti sociali ed economici non solo per Milano ma per l’intero sistema urbano.

Occorrerebbe un nuovo assetto strutturale del nodo ferroviario di Milano, cui non ha creduto il PUMS vigente, colpevole di avere cancellato il Secondo passante ferroviario da Certosa a Romana, previsto dal precedente PUM, che ne ripristinerebbe l’antico equilibrio con la totale integrazione dei servizi comprensoriali, interpolo, regionali e di lunga distanza con stazioni su cui attestare le altre modalità (micromobilità elettrica compresa).

Occorrerebbe una politica di interventi urbanistici, sostenuta a scala metropolitana e regionale, per trasformare ciascuna delle 95 stazioni della rete ferroviaria regionale in altrettanti centri di interscambio modale, attraverso progetti che ne esaltino la funzione di “condensatori urbani” - con servizi alla persona, spazi ricettivi, residenze temporanee e uffici per il co-working -, capaci non solo di rendere efficace, in quanto razionalmente conveniente, il trasbordo dal mezzo privato al mezzo pubblico, ma anche di favorire una efficace inversione di tendenza di certo insediamento terziario da Milano verso i poli circostanti.

A poco vale la speranza di mantenere sugli attuali livelli l’accessibilità a Milano esaltando la ciclabilità e la micromobilità elettrica come fattore decisivo per ridurre la mobilità privata su auto, realizzando a questo fine piste ciclabili di connessione con i comuni di un hinterland che patisce oggi un servizio di trasporto pubblico locale assolutamente insufficiente.

Affascinante, ma non risolutiva, sembra l’idea di una città che all’interno dei quartieri sia dotata di servizi tali da consentire spostamenti solo pedonali, in quanto gli attuali spostamenti “essenziali” tra le diverse parti della città rappresentano la quota più significativa del complesso degli spostamenti, come è sempre risultato da ogni indagine Origine-Destinazione, effettuata da ATM e da Amat in anni non troppo lontani.

Da ultimo osservazioni non secondarie sul Piano Aria e Clima riguarderebbero la prospettiva di un’espansione progressiva dell’auto elettrica, in sostituzione del parco veicolare a benzina, gasolio e ibrido, fino ad essere esclusiva condizione per l’ingresso in area C.

Ma su quest’ultimo tema converrà tornare con più calma.

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