IL PD SOSPESO TRA ESSERE E NON ESSERE di Emanuele Macaluso da La Stampa - 19 novembre 2008
09 dicembre 2008
Due fatti richiamano la nostra attenzione sul Pd e la sua politica, sulla sua identità di cui si è tanto parlato. La prima notizia riguarda l’assemblea parlamentare della Nato che si svolge a Valencia. Il Pd vi partecipa con sei parlamentari: quattro - Franco Marini, Giovanni Vernetti, Arturo Parisi ed Enzo Bianco - hanno le credenziali del gruppo liberaldemocratico; uno, Antonello Cabras, sta con il gruppo socialista; Fassino è assente perché, con D’Alema, partecipa a Città del Messico all’Assemblea annuale dell’Internazionale socialista. Il viaggio dei due dirigenti del Pd che provengono dai Ds è stato criticato da altri esponenti dello stesso partito che provengono dalla Margherita. Siamo ormai alla vigilia delle elezioni europee e il Pd si ritrova ancora diviso sulla sua collocazione internazionale. Veltroni ha cercato un compromesso: restare fuori dal Pse e collegare il Pd al gruppo parlamentare socialista. Un pasticcio all’italiana che non regge. Faccio notare che con le prossime elezioni tutto il Pdl (compresa An) si collocherà nel Partito popolare europeo. Infatti in Europa, nei parlamenti nazionali e in quello europeo, le forze che si fronteggiano sono il Pse e il Ppe. E nel mondo sono in discussione temi cruciali che attengono alla crisi economica, al ruolo che debbono svolgere gli Stati nazionali e l’Europa nel loro rapporto con gli Usa e più in generale con la comunità internazionale. Il problema dell’identità del Pd e della sua collocazione in Europa non è, quindi, un fatto formale ma attiene alla sua politica e interessa tutti i cittadini. Veltroni non capisce che gli equivoci sull’identità di un partito condizionano la sua politica e la sua stessa esistenza. E lo vediamo anche nel momento in cui si verifica l’altro dato su cui ragionare: l’elezione del senatore Riccardo Villari a presidente della commissione parlamentare Rai. I fatti sono noti: Villari, contravvenendo a una regola parlamentare (il presidente della commissione Rai è indicato dall’opposizione), è stato eletto con i voti del Pdl e, dopo tanto discutere e trafficare, ha detto che, nonostante gli inviti e le pressioni che sono venuti dal Pd e dal suo segretario, non si dimette. A questo punto nel Pd si pone una questione che ancora una volta coinvolge quella che si definisce come identità di un partito: Villari, che, eletto dal Pdl, rifiuta l’invito del suo partito a dimettersi, può restare ancora nel Pd? O deve essere espulso come chiedono alcuni dirigenti di quel partito? Su questi interrogativi ho letto riferimenti «storici» che non sono nella storia. A leggere i giornali sembra che in passato le espulsioni per motivi politici li facesse solo il Pci. E si ricorda l’espulsione dei deputati Valdo Magnani e Aldo Cucchi che, dopo la rottura del Cominform con la Jugoslavia, si schierarono contro la posizione assunta dal Pci che sostenne la condanna di Tito. Ma negli stessi anni la Dc espulse i deputati Mario Melloni (Fortebraccio) e Ugo Bartesaghi che votarono contro la costituzione dell’esercito europeo. E ricordo agli «storici» che nel 1958 la direzione Dc (Fanfani, Moro, Segni, Rumor ecc.) espulse Silvio Milazzo, eletto dall’Assemblea regionale siciliana presidente della Regione dopo le ripetute bocciature del candidato Dc, Barbaro Lo Giudice. Un «caso» analogo a quello che vede eletto Villari da una maggioranza diversa da quella a cui partecipa il suo partito. Potrei continuare. La verità è che i partiti della prima Repubblica, prima della loro crisi, avevano una loro identità e anche delle regole, che, giuste o sbagliate, accettate dagli iscritti, facevano rispettare. Il problema del Pd è tutto qui: quali sono le regole alle quali richiamarsi? Il Pd è un partito il cui segretario è eletto da primarie alle quali partecipano non solo gli iscritti al partito ma tutti i cittadini elettori, con i parlamentari nominati dai capi corrente (senza correnti!), con organi dirigenti evanescenti. La verità è che il Pd è sempre tra l’essere e non essere, tra il dire e il fare, tra il non dire e non fare. Nel «caso» Villari quindi richiamare i precedenti «storici» è una mistificazione, prevedere quel che il Pd farà è un azzardo. È meglio aspettare. P.S. Mentre scrivo apprendo che Orlando e un altro parlamentare dell’Italia dei Valori si sono dimessi dalla Commissione di vigilanza Rai e Di Pietro auspica una candidatura «condivisa». Insomma, ancora una volta a decidere nel e del Pd è l’ex pm: prima affossandolo e dopo mostrando di tirarlo fuori dal fosso. Una conferma delle cose che ho scritte
Vai all'Archivio