IL PD SI MISURA SUL GOVERNO . LE RAGIONI DELLA COSTITUENTE SOCIALISTA – di Roberto Biscardini, 13 luglio 2007

25 luglio 2007

IL PD SI MISURA SUL GOVERNO . LE RAGIONI  DELLA COSTITUENTE SOCIALISTA – di Roberto Biscardini, 13 luglio 2007

Il dibattito nel Pd sul percorso della loro costituente, sulle modalità di svolgimento del congresso e sul modello di democrazia interna al quale fare riferimento è aperto. Ma non meno vivace è il confronto interno sul rapporto tra Pd e governo Prodi. Qui le correnti di pensiero sono almeno tre. Permane, forse oggi già in minoranza, la posizione ufficiale del congresso di Firenze, secondo la quale la nascita del Pd avrebbe dato un contributo decisivo al rafforzamento del governo e della sua azione riformatrice. La seconda, decisamente nuova ma in forte ascesa, sostiene viceversa la tesi secondo la quale il governo e Prodi stanno danneggiando e compromettendo la nascita del Pd. E’ la tesi di chi sostiene che il Pd deve prendere la massima distanza dal governo e, ammettendo tutti gli errori che hanno portato fin qui, chiede di considerare chiusa questa esperienza. La terza, più articolata, è la tesi di coloro che pensano che se il Pd nascerà bene anche il governo si salverà, al contrario se il Pd nascerà male anche il governo sarà destinato a logorarsi. E ancora, se il governo non regge e si va alla crisi, anche il Pd non ne uscirà meglio.
Ma insieme a tanta confusione, con la minaccia e lo spauracchio delle elezioni anticipate (quando si inizia a parlare di elezioni anticipate prima o poi arrivano), ci sono anche per il Pd molte incognite.
Se la politica dell’attuale governo non è soddisfacente, poco incisiva, poco efficace e poco riformista, potrà essere migliore con un altro governo e un altro presidente sostenuti dalla stessa maggioranza?
Esiste uno spazio politico pronto per un governo da Casini a Rifondazione? Si può dichiarare chiuso un rapporto con Rifondazione Comunista senza dichiarare definitivamente chiusa l’esperienza dell’Ulivo e dell’Unione? Tanti quesiti che si accompagnano ad un'altra considerazione.
Se è vero che, ad un anno dalle elezioni, il governo è al punto più basso della sua credibilità, è anche vero che le sue difficoltà sono parte integrante della più grande crisi di credibilità della politica e di credibilità dell’intera sinistra. Per incapacità a decidere e per debolezza strategica.
Di questo si dovrebbe discutere. Tutte le forze della sinistra, alle prese con nuovi processi costituenti e nuove aggregazioni, hanno di fronte due nodi: come governare al meglio con questa maggioranza parlamentare e pochi voti a disposizione al Senato, come costruire una prospettiva nuova e più convincente per il futuro.
Riccardo Lombardi avrebbe usato la metafora del come “riuscire a cambiare il motore senza fermare la macchina in corsa”.
Che in altri termini significa, come aiutare il governo ad uscire dalla tenaglia sindacati-estrema sinistra elevando il tasso di riformismo che proprio l’Ulivo avrebbe dovuto garantire. Come guardare avanti affinché proprio la sinistra riformista e di governo, fuori dalle logiche del puro schieramentismo e del politichese, possa ricostruire una propria credibilità sulle questioni di fondo.
Insieme al coraggio necessario sulle pensioni, sulla riforma del sistema fiscale, sui Dico, sul testamento biologico e su tutto ciò che è già nell’agenda del governo, occorre immaginare un progetto più ampio per il paese, per avere nuovi consensi e per ridare fiducia e speranza al proprio popolo.
Ma la risposta deve essere data allora alle questioni strutturali, alla crisi del sistema politico e alla sua debolezza, analizzando bene le cause che l’hanno prodotta. La risposta va data alla crisi di credibilità dei partiti che vivono ormai da tempo senza regole condivise di democrazia interna.
Si tratta di affrontare seriamente il tema dei costi della politica con riforme efficaci, senza rincorrere demagogia e antipolitica. E’ un offesa all’intelligenza popolare pensare di ridurre i costi della politica riducendo del 10% il numero dei consiglieri comunali anziché colpire i veri sprechi e i veri privilegi. Cosi non solo non si riducono i costi, ma si rischia di compromettere ulteriormente una democrazia già fragile.
La questione è un'altra: l’opinione pubblica da un lato non accetta più i costi della politica perché li ritiene sproporzionati rispetto ai risultati che la politica riesce a conseguire, dall’altro chiede alla politica di intervenire e di correggere errori commessi anche nel recente passato. Tanti hanno capito che il costo della politica, esploso in questo ultimo decennio, non sta nei gettoni di presenza dei poveri consiglieri comunali, ma ben più su. Sta nella faragginosità dei sistemi decisionali e nelle modalità di funzionamento delle istituzioni ai vari livelli. Il cittadino ci chiede di valutare e intervenire sui costi prodotti delle leggi Bassanini, sui costi dello spoil system, sui costi della finanza creativa, sui costi delle tante consulenze un tempo non ammesse, delle tante società create per esternalizzare servizi, ma anche sui costi prodotti dai poteri, ormai fuori controllo, dei sindaci, dei presidenti di province e di regioni eletti direttamente.
Infine, cosa ancora più preoccupante, siamo entrati in un cortocircuito istituzionale e costituzionale che vede poteri dello Stato ormai perennemente in conflitto tra loro. A livello centrale come a livello locale. Gli esempi non mancano. Si può continuare così? Quanto può durare la baracca senza un progetto che ridefinisca un modello democratico condiviso e moderno?
Molti in passato, anche a sinistra, hanno pensato che bastasse qualche referendum e qualche riforma elettorale per risolvere i problemi. Che bastasse il bipolarismo. Per questa strada si è prodotta una montagna di guai. Proseguendo per la stessa strada si è complici di altre sconfitte e di altri disastri.
L’opinione pubblica ci chiede di cambiare, di andare al fondo dei problemi e anche su questo terreno, che riguarda il funzionamento di uno Stato che funziona poco e male, ci chiede di trovare risposte concrete.
Questa è la sfida che abbiamo tutti di fronte.
E’ anche con questo spirito che nasce la Costituente socialista, affinchè la via normale della ristrutturazione della sinistra (questione assolutamente necessaria) possa passare dalla nascita di una moderna forza liberalsocialista. Una forza che si rivolge a tutti coloro che oggi possono riconoscersi nello spazio grande del socialismo europeo e che credono nella possibilità di modernizzare il paese, sul terreno economico e dei diritti, come è successo nel resto d’Europa proprio per iniziativa dei socialisti. Una forza socialista, riformista e concreta, per intercettare il bisogno di rinnovamento dei giovani e di coloro che, da sinistra e da destra, sono delusi dalla attuale sistema.

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