Il pasticcio di Palermo. Per una candidatura alternativa degli uni e degli altri. di Gim Cassano del 8 marzo 2012

18 aprile 2012

Il pasticcio di Palermo. Per una candidatura alternativa degli uni e degli altri. di Gim Cassano del 8 marzo 2012

Ove ve ne fosse stato ulteriore bisogno, l’esito delle primarie di Palermo conferma come una politica seria e responsabile non ammetta scorciatoie, e non possa passare, come in un catechismo per bambini, per la recita di giaculatorie: in questo caso, quelle relative alle virtù salvifiche delle primarie. Per anni, siamo stati abituati a sentir parlare di “popolo delle primarie”, di primarie come strumento di democrazia diretta, di primarie come strumento di correzione allo strapotere degli apparati di partito od alle disfunzioni dei sistemi elettorali. Al riguardo si può osservare come il meccanismo delle elezioni primarie sia nato, a metà ‘800, negli Stati Uniti, come strumento di selezione di candidature a cariche monocratiche in un sistema bipartitico, nel quale occorreva trovare una strada per allargare l’accesso all’elettorato passivo e la possibilità di scelta tra candidati diversi senza far venir meno la struttura bipartitica del sistema politico americano. Il meccanismo delle elezioni primarie negli Stati Uniti ha così assunto, nel tempo, una rilevante funzione istituzionale, consentendo, sia pur attraverso votazioni diverse e che non operano sulla stessa platea elettorale, la partecipazione al meccanismo elettorale di candidati che possono non essere espressione diretta dei partiti, o che possono rappresentare all’interno di questi sensibilità, interessi, punti di vista, diversi. La rilevanza del metodo delle primarie per il sistema politico ed istituzionale americano ha fatto sì che queste fossero regolamentate da procedure ben precise, in parte stabilite per legge, in parte riconosciute per tradizione e consenso generale (ma, appunto, ricordiamoci che quello è un Paese il cui sistema giuridico è improntato alla common law). In buona sostanza, è andato affermandosi un criterio per il quale qualsiasi elettore possa partecipare alle primarie di uno dei due partiti, a prescindere dal partito di eventuale appartenenza, ma iscrivendosi in un apposito elenco di sostenitori indipendenti di quel partito. In Italia, il meccanismo delle primarie è stato in via di principio introdotto con finalità non molto diverse da quelle per le quali esso fu introdotto in America: cioè quello di allargare la base di partecipazione nel processo di scelta dei candidati a forme di rappresentanza uninominale, e quello di allargare la possibilità di scelta tra candidati diversi. Nei fatti, il meccanismo delle primarie, al di là delle agiografie che su di esso sono state costruite, ha avuto uno scopo essenziale: quello di dirimere la questione della scelta tra candidati appartenenti a forze politiche diverse, ma in un modo o nell’altro coalizzate al fine di conquistare una presidenza di Regione od una sindacatura. L’apertura agli outsiders non patrocinati da uno o più partiti o relative frazioni non c’entra nulla con tutto ciò: nei fatti, si concorre alle primarie essendo indicati da un partito, o avendone l’appoggio di pezzi significativi; più raramente avendo alle spalle un significativo seguito personale, a volte espressione di associazioni e movimenti presenti nella società, ma che a volte ha carattere eminentemente notabilare o, peggio ancora, clientelare. Quanto sopra dovrebbe comportare la necessità di due conseguenze, delle quali l’una non si verifica sempre, e l’altra non si verifica mai. La prima è quella che un meccanismo siffatto dovrebbe presupporre preventivamente la definizione della coalizione di forze politiche, associazioni, movimenti, alla quale i diversi candidati alle primarie si riferiscono. E dovrebbe presupporre la definizione dei punti minimi e comuni in termini di politiche, proposte, alleanze, sui quali i diversi candidati comunque si impegnano. Pur essendo chiaro che ogni candidato ha, e deve avere, le sue specifiche sensibilità e visioni culturali, politiche, amministrative, è comunque necessario che tutti coloro che concorrano a primarie di coalizione convengano su un minimo di comune visione della coalizione stessa, dei suoi programmi, del suo modo di collocarsi nel gioco politico. Questo è un elemento politico essenziale che molto spesso è mancato del tutto nelle primarie all’italiana: nel momento in cui non si tratta più di definire chi debba rappresentare un partito che, per quanto scombinati possano essere i partiti italiani, tende pur sempre a rappresentare un indirizzo, un modo di collocarsi e di essere soggetto politico, ma si tratta invece di rappresentare una coalizione di forze diverse, diventa indispensabile che questa si definisca in un qualche modo attorno a delle idee-guida, a dei programmi, a dei comportamenti condivisi. Nelle primarie del centrosinistra a Palermo, così come in quelle di un anno fa a Napoli, questo elemento è mancato completamente. La seconda è quella che la base elettorale deve essere in un qualche modo definita. Il meccanismo delle primarie di coalizione è stato reso opportuno da una legge per l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Regione che fu salutata all’inizio come grande innovazione modernizzatrice della democrazia, ma che ha finito con l’aprire grandi spazi al populismo ed al leaderismo personale, e col deprimere i primi livelli -quelli locali- della rappresentanza politica. Di conseguenza, esso è venuto assumendo rilevanza pubblico-istituzionale, oltre che politica; è necessario quindi che esso si svolga con alcune garanzie, che certamente non possono essere assicurate dagli apparati di partito e dal brulicare di galoppini e procacciatori di voti che molto spesso si agita attorno alle primarie. E la prima necessaria garanzia è quella che la platea elettorale debba essere in qualche modo definita e limitata, su elenchi sottoscritti, a quegli elettori che dichiarino non tanto la propria appartenenza ai partiti facenti parte di una coalizione, ma almeno il loro sostegno alla stessa. Dove una prassi civica consolidata ha fatto sì che le visioni politiche venissero considerate come propedeutiche al, secondo i propri punti di vista, modo di amministrare la cosa pubblica, ciò può apparire non necessario. Ma dove il voto di scambio è divenuto, specie nelle competizioni elettorali amministrative, quasi la regola, ciò diventa necessario. Il voto alle ultime primarie di Napoli ed a quelle dell’altro giorno a Palermo lo conferma. Venendo specificatamente al caso di Palermo, ha giustamente osservato Livio Ghersi (vedi, su “Spazio Lib-Lab”, “Palermo: le primarie degli inganni e degli autoinganni”.) come queste primarie del centrosinistra si siano svolte tra candidati che esprimevano visioni completamente diverse ed antitetiche riguardo alla questione-chiave nell’attuale politica siciliana: quella del giudizio sul sostegno dato dal PD ad una giunta regionale che molti vedono come la continuazione di Cuffaro, senza cannoli e con meno baci, e dell’estensione di tale sostegno ai Comuni principali (vedi, a questo riguardo, sempre “Spazio lib-Lab”, “Il barocco in Sicilia: nasce il governo Lombardo quarta serie”). Su questa valutazione, lo stesso PD è stato ed è diviso, ed è stato un errore commesso da coloro che non condividono l’ambigua posizione di questo partito quello di non pretendere preventiva chiarezza al riguardo, prima di avventurarsi in un gioco che poteva forse esser vinto, ma anche perso, come è stato, anche grazie al traffico di voti ed al voto di cittadini che, comunque sia, mai voteranno per il centrosinistra. Giunti a questo punto, di fronte ad un’offerta politica che vede la presenza di candidati espressi da quelle forze che sono direttamente responsabili dell’attuale degrado della situazione morale, politica ed economica siciliana, e di un candidato che esprime una visione del centrosinistra propensa al rapporto con queste forze, ritengo che a coloro che auspicano in Sicilia come in tutta Italia l’affermarsi di una politica degna di questo nome e di una democrazia sostanziale e non formale, non resti che sperare che a Palermo possa manifestarsi una candidatura a Sindaco alternativa agli uni e all’altro.

Vai all'Archivio