IL PARTITO DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE di Roberto Biscardini

29 dicembre 2009

IL PARTITO DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE di Roberto Biscardini

Conclusa l’esperienza di Sinistra e Libertà, il PSI deve ora qualificare la propria azione politica su idee e programmi forti.
Si tratta di riprendere il cammino, con coraggio, guardando in faccia alla realtà per quella che è. Forti di alcune convinzioni. Primo. Ci sono tutte le condizioni perché il partito socialista possa rafforzarsi e contare di più, e verrà il giorno in cui risulterà utile al paese averlo difeso. Secondo: nessuno può credere in noi, se noi per primi non siamo in grado di credere in noi stessi. Il nostro successo non è nelle mani di nessuno, se non nelle nostre. Terzo, la nostra autonomia, che oggi significa distinzione netta dalla sinistra antagonista, non implica né isolamento né vivere in un ghetto. Ma, al contrario, capacità di dialogo con tutti, affrontando la politica con le nostre idee e le nostre forze. La prima condizione per riconquistare la nostra credibilità è spiegare per quali ragioni dopo quindici anni di “seconda repubblica” il paese sia così profondamente in crisi, dal punto di vista politico, morale, economico e sociale. E battere su questo chiodo con insistenza e sintesi.
Per Berlusconi il paese è in crisi perché lui ha meno potere di quello che vorrebbe avere. Per gli antiberlusconiani il paese è in crisi perchè c’è Berlusconi. Per noi il paese è in crisi per effetto di un sistema bipolare drogato che ha compromesso le strutture portanti di uno stato democratico e funzionante, le sue istituzioni e il suo sistema di potere. Siamo di fronte ad uno stato che non risponde più alla attese dei cittadini, a tutti i livelli, nazionale e locale. E la crisi dello stato dipende, in primo luogo, da un sistema di potere cristallizzato nella contrapposizione bipolare, nel “bipolarismo bastardo” su cui si è costruita la “seconda repubblica”. Personalizzazione della politica e opzione carismatica. Populismo di destra e populismo di sinistra. Da una parte una concezione proprietaria della politica e dall’altra giustizialismo. Da una parte una maggioranza che concentra la sua azione nell’attività dell’esecutivo, tutto è governo, e dall’altra un’opposizione a prevalente vocazione antagonista. E inoltre conflitto tra i poteri, degrado istituzionale, assenza di pesi e contrappesi, debolezza delle funzioni di controllo democratico sui governanti.
E’ da qui, dalla convinzione strisciante che ci si possa liberare da chi ci governa solo per via giudiziaria o con “spargimento di sangue”, che ci siamo infilati in un clima da guerra civile. Contro il pericolo della guerra civile, i socialisti si devono schierare dalla parte della legalità democratica, contro il giustizialismo. Per la ricostruzione di un paese normale e per la ricostruzione di una stato forte. Per evitare il disfacimento del tessuto istituzionale e sociale, per fermare una frana che rischia di travolgere tutto. Nella guerra civile non c’è spazio per la democrazia e l’idea di una sinistra riformista e di governo sarebbe messa nell’angolo. L’alternativa al centrodestra sarebbe la destra.
Per questo abbiamo fatto bene a non aderire alla manifestazione No B-day. Siamo stati lontani dalla piazza senza complessi di inferiorità. Abbiamo fatto ciò che farebbe, in questi casi, qualsiasi partito socialista europeo. Non ci ha dato fastidio marcare la differenza rispetto ad altri pezzi della cosiddetta sinistra italiana. Rispetto ai partiti che con noi, avevano tentato la strada di Sinistra e Libertà (e sottolineo avevano), ma anche rispetto alle ambiguità del PD, in piazza anch’esso con molti suoi autorevolissimi esponenti, purtroppo legittimati da Bersani che, in nome di un “partito libero”, ha lasciato tutti liberi di andare.
Per questo ci schieriamo da quella parte del paese che, pur avendo mille ragione per sperare che Berlusconi se ne vada a casa il prima possibile, non vuole che a deciderlo siano le dichiarazioni discutibili di un pluriassassino, che ha sciolto un bambino nell’acido. La democrazia e la legalità sono un’altra cosa e l’Italia si merita qualcosa di meglio.
Contro la logica della guerra civile e per rimuovere le ragioni profonde della crisi dello stato occorre intervenire con proposte chiare.
La prima questione da affrontare è la crisi del sistema costituzionale, nella quale si sono alimentati i conflitti tra poteri. Dentro questa crisi c’è quella del sistema politico e dei partiti. Da questa dipende l’indebolimento della nostra democrazia e degli istituti che dovrebbero garantirla. Dipende la crisi istituzionale nel quale si vorrebbe vivo solo il governo e morto il parlamento. Dipende la crisi della giustizia e il conflitto di potere con la magistratura. E nella crisi dei partiti c’è pura la crisi della sinistra.
Ma la via maestra per evitare il caos è la riforma della Costituzione attraverso una nuova Assemblea costituente. Una revisione costituzionale che risponda alla necessità di riscrivere il patto tra cittadini e stato alla luce delle nuove necessità. Sostituendo quello stipulato dai grandi partiti del ’47, per ripristinare il potere popolare costituente. Una revisione costituzionale che risponda alla crisi ideologica della Costituzione vigente. Una revisione invocata da noi socialisti fin dagli anni ’80, che non può, dopo trent’anni di tentativi falliti, essere lasciata nelle mani di un parlamento di nominati ed eletto con sistema maggioritario. Non può essere lasciata nelle mani di accordi impossibili tra maggioranza e opposizione. Dalle possibili intese tra Finocchiaro e Schifani, non può venire fuori niente di utile.
La via maestra, l’abbiamo ripetuto in tutti questi anni, è l’elezione diretta di un’Assemblea costituente alla quale far precedere, come avvenne nel ‘46, un referendum consultivo sulla forma di governo, parlamentare o presidenziale e sulla forma di Stato, unitario o federale.
Per ora siamo stati inascoltati, ma adesso è arrivato il momento di batterci nuovamente. La raccolta di firme per arrivare all’elezione dell’Assemblea costituente attraverso una proposta di legge di iniziativa popolare potrebbe essere ripresa. Bisogna trovare nuovi alleati, non stancandoci mai di ripeterci. Nella convinzione che da questa crisi dello stato usciranno vivi solo coloro che avranno avuto il coraggio di indicare la strada per uscirne.
Nel vuoto generale i socialisti saranno quelli dell’Assemblea costituente, per la rottura dello schema attuale, per un paese normale, contro il giustizialismo. Ben venga.
Ancora due cose sulla politica. Uno. L’arrivo di Bersani alla segreteria del PD potrebbe aprire nel centro sinistra la strada di un cambiamento di rotta. L’abbandono della politica dell’autosufficienza, che ha distrutto la sinistra senza favorire quel partito. La costruzione di alleanze più credibili per battere il centrodestra. Una scelta di campo più riformista rispetto alle posizioni sostanzialmente massimaliste e giustizialiste di prima. Vedremo. Ma lo scontro politico nel centro sinistra sarà presto, tra i sostenitori del bipolarismo e chi vuole il suo superamento. Tanto più se l’UDC approderà al centro sinistra garantendo un suo allargamento al centro.
Due. I socialisti, pur da una posizione extraparlamentare, possono contare su una possibile fase espansiva e su una maggiore capacità di influenza politica. Lo spazio politico, che ruota intorno alla questione socialista, è nella società molto più grande di ciò che si pensi. Così come è possibile ricostruire un’area laico socialista e liberale, fortemente compromessa sia a destra che a sinistra dalla cultura dello scontro bipolare. Occorre riaprire il cantiere di vecchie e nuove alleanze, di riaprire il dialogo con altri riformisti, laici, liberali, repubblicani e ambientalisti. Credere in noi stessi e nella nostra capacità di ricomposizione di un mondo socialista disperso, sia a destra che a sinistra. Accasato, sempre più provvisoriamente, senza una collocazione convinta e certa. Si tratta di ritrovare il rapporto con una società civile disorientata, andata di volta in volta di qua e di là, ma soprattutto finita nell’astensione.
Si può fare tutto, partendo da un’idea semplice: un partito piccolo dell’uno o del due per cento, ha comunque il dovere e il diritto di pensare più in grande, di pensare alla società intera, rivolgendosi a tutto il paese.

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