IL NORD UNISCE, LA PADANIA DIVIDE, relazione di Roberto Biscardini all'Assemblea dei Socialisti del Nord Italia del 29 gennaio 2011

15 febbraio 2011

IL NORD UNISCE, LA PADANIA DIVIDE, relazione di Roberto Biscardini all'Assemblea dei Socialisti del Nord Italia del 29 gennaio 2011

In un seminario tenuto presso la sede della Regione Lombardia nel 1997 dedicato alla questione settentrionale e promosso da noi socialisti indicammo alcune questioni alle quali bisognava dare risposte.
Primo. Il nord è pervaso da una cultura liberista sostenuta dal Polo e da una cultura secessionista sostenuta dalla Lega che devono essere battute da una politica riformista in grado di contrapporre al liberismo il liberalsocialismo ed alla secessione il federalismo. Secondo. Occorre una classe politica che sappia influire a livello nazionale affinché la riforma dello Stato sia una riforma vera e consenta il passaggio da uno Stato unitario e centralista a uno Stato unitario e federale.
Occorre una classe politica capace di ridare anche al Nord il primato della politica.

A distanza di anni la sintesi è spietata. La nuova classe politica prevalente, quella della destra e della Lega, si è imposta al Nord, ma da allora ad oggi le cose sono notevolmente peggiorate.
Delle grandi riforme, quella istituzionale, dello Stato, del fisco o della giustizia non c’è traccia e la qualità del’amministrazione locale non è migliore.
Quindi il bilancio è semplice: le popolazioni del Nord e la sua base produttiva, che pur si sono identificate con questo sistema politico più che altrove, in Lombardia e nel Veneto in particolare, non hanno tratto alcun beneficio dall’arrivo prepotente sulla scena politica italiana di Berlusconi e della Lega.

Tutto nasce con la nascita della seconda Repubblica, nella quale si è consolidato un regime politico fondato su una partitocrazia senza partiti, e nella quale tutte le speranze che erano state riposte nel bipolarismo, nel maggioritario, nella elezione diretta degli esecutivi, nella personalizzazione della politica, nel disprezzo delle mediazioni parlamentari si sono dimostrate vane.

Il bipolarismo non si è strutturato sulla base di due schieramenti politici credibili e di governo pronti a garantire nell’alternanza politica dell’uno con l’altro sulla base di programmi alternativi veri.

Il bipolarismo si è caratterizzato prevalentemente nel berlusconismo e nel suo semplice contrario, l’antiberlusconismo: due modelli perversi, entrambi populisti con la pretesa entrambi di guidare la società, prescindendo dal compito assegnato democraticamente alle istituzioni politiche.

E così lo Stato si è ridotto pressoché a niente. Tutte le sue istituzioni fondamentali, dal parlamento, agli enti locali, ai partiti, alla magistratura, al sindacato, non godono più di alcuna credibilità popolare. Tutte sono in conflitto tra loro. Scontro che per ora ha lasciato per fortuna fuori il Presidente della Repubblica.

E in questo quadro che la questione settentrionale va collocata oggi.

Per il Nord il venire meno della credibilità del proprio sistema istituzionale, per lunghi anni forte e sufficientemente funzionante, il venire meno delle regole fondamentali che hanno sempre sostenuto gli istituti di democrazia rappresentativa, insieme al venir meno della sua dinamicità e della sua forte capacità di innovazione, rappresenta un dato di drammatiche proporzioni, sintesi di crisi sociale ed economica, più rovinoso che altrove, se considerato rispetto al suo punto di partenza.

Come mai è successo tutto questo? Per due ragioni semplici. La società del Nord ha investito fin da subito, fin dai primi anni ’90, sulla destra più che altrove, e così buona parte delle istituzioni e i centri decisionali sono stati occupati dalla destra mano militari.

Dall’altro lato la sinistra, senza più un radicamento nella tradizione riformista e socialista, senza la sponda dei partiti di tradizione laica, liberale e democratica, non ha rappresentato agli occhi dell’opinione pubblica un alternativa su cui puntare. Si è fatta trascinare nell’antiberlusconismo e nel giustizialismo, e quindi non ha fatto da diga al dilagare del potere della destra.

Qui la destra ha trovato, sul piano politico oltreché economico e sociale, un terreno favorevole:
- il messaggio antipartitocratico della destra si è saldato immediatamente con l’aspirazione ad una cambiamento rispetto al vecchio stato centralista e ai ritardi della prima repubblica;
- le aspettative sociali e il consenso costruito sulla promessa di una “rivoluzione liberale” che poi non c’è stata, come espressione di un cambiamento radicale dopo Tangentopoli, si sono identificate da subito con l’identità berlusconiana e con la cultura leghista. E la Lombardia è stata l’epicentro di questo fenomeno;
- la destra e la Lega hanno conosciuto da subito un consenso elettorale più forte che in altre parti del paese. Un esempio per tutti, la Lombardia e Milano dal 1993 non hanno mai avuto una maggioranza diverse da quelle sostenute dall’asse Forza Italia, An e Lega con l’aggravante della componente integralista e affaristica di Comunione e Liberazione.

Una destra brutta, non una destra liberale in cui molti avevano contato e di cui il paese avrebbe persino bisogno di avere, ma la destra che ha minato le basi della convivenza civile e a influito sulla cultura della società.

I risultati sono più che noti:
- corruzione dilagante, - crisi sociale, che colpisce in egual misura ceti popolari e ceti medi,
lavoratori dipendenti e per certi versi ancor più quelli autonomi e i professionisti. I giovani e anche molti lavoratori non più giovani sono disoccupati o in cerca di lavoro. Un giovane su cinque il lavoro anche qui non lo cerca più,
- non si sono ridotte le tasse e non si sono ridotte le aliquote, - del milione di posti di lavoro in più, non c’è tracci,
- la crisi economica ha colpito le nostre regioni in modo fortissimo, basta vedere l’aumento vertiginoso delle ore di cassa integrazione e l’aumento del precariato,
- sono andati calando il sostegni alle famiglie e alle piccole imprese, ma soprattutto si è entrati in un vicolo che appare ancora cieco. Le energie migliori imprenditoriali, culturali e scientifiche non riescono a marciare al ritmo di una volta.
- i meriti non riescono ad essere valorizzati, anche qui si rischia di trovare un lavoro solo se nascondi il titolo di laurea,
- le partite Iva sono diventate lo strumento più snello per restare agganciati al mercato del lavoro. E il terziario, che aveva caratterizzato la svolta e garantito processi di trasformazione, negli anni ’80, sotto controllo pubblico e senza drammi economici e sociali, anzi segnando in positivo innovazione e mobilità sociale, non ha fatto in questi anni alcun salto di qualità. Il terziario della seconda Repubblica è il terziario dei call center.

In più sul piano amministrativo non c’è stata riduzione della spesa pubblica e non c’è stato il tanto auspicato snellimento delle procedure amministrative. Viviamo ancora dopo 20 anni con la stessa burocrazia invadente, impermeabile più di prima, meno trasparente di prima. Contemporaneamente abbiamo sofferto il peso di una frenata dei processi di decentramento dei poteri, che era già in atto, e al di là della propaganda, anziché federalismo vero politico e fiscale, siamo di fronte a più centralismo. Statale e regionale.

Su questo punto bisogna essere chiari.
Mai come in questi anni in cui si è parlato tanto di federalismo, mai si è conosciuto così tanto centralismo, mai si è riscontrato un accentramento dei poteri così forte verso il centro.
La Lega si sta battendo, anche in queste ore, per una etichetta ma non si preoccupa della sostanza.

Altro che federalismo, questo è federalismo tradito.
Esso rappresenterà un ulteriore peggioramento delle condizioni in cui gli Enti locali saranno costretti ad operare.
Se i soldi vengono dati ai comuni dopo una raccolta che viene fatta al centro, questo si chiama trasferimento. Vecchio, vecchissimo trasferimento. Non federalismo.
Ed in più, di soldi i comuni ne vedranno meno di prima.
Infine se associamo questa manovra all’abolizione dell’unica imposta che per definizione spettava ai comuni amministrare, quella dell’ICI, il colpo di grazia contro i comuni è certo.
Quindi, se il federalismo del centrodestra anziché responsabilizzare la classe politica locale, non farà altro che aumentare la pressione fiscale senza garanzia di nuovi servizi, meglio lasciar perdere. E dire di NO, forte e chiaro.
Per non parlare del patto di stabilità, che ha colpito i comuni più virtuosi, nonostante anche negli ultimi anni i costi crescenti della spesa pubblica dipendano quasi esclusivamente dall’amministrazione centrale mentre i comuni riducono le spese e tirano la cinghia. Con l’aggravante, e la rabbia, che proprio i Comuni del nord che hanno più risorse proprie giacenti, hanno per obbligo di legge, quello di lasciarli bloccati in tesoreria unica a tasso zero. Alla faccia del principio di “leale collaborazione istituzionale” previsto dalla Costituzione.
Un colpo di grazia che colpisce i comuni sulla parte finanziaria dopo che qualche tempo fa è arrivata, nel silenzio di tutte le forze politiche anche di opposizione (noi non c’eravamo), la botta della riduzione del numero dei consiglieri comunali in nome della riduzione dei costi della politica. Una vergogna.
Altro che federalismo municipale, altro che sistema delle autonomie, altro che valorizzazione degli istituti di democrazia rappresentativa dei comuni e dei territori. Una vergogna che alla Lega nessuno si è posto ancora il problema di fare pagare il conto nelle debite proporzioni.

Questo è stato possibile perché tra Berlusconi e la Lega si è realizzato un perfetto scambio politico: tu mi dai la bandierina del federalismo e un po’ di potere locale, ed io in cambio ti garantisco “fedeltà”. Fin che dura.
Lo stesso che si è realizzato con Formigoni in Lombardia: tu mi lasci eccedere sulla secessione, sulla guerra ideologica all’immigrazione, mi lasci essere un po’ razzista ed io ti consento di fare ciò che vuoi, tutti gli affari che vuoi, in sanità, sul territorio e ti concedo persino di sperperare denaro pubblico, ti copro persino sulla vicenda inquietante delle firme false, sul caso Minetti, bunga bunga e compagnia cantante.
Questo è il paradosso, dopo 20 anni di Lega sulla scena politica del governo nazionale e locale, c’è stato il più violento attacco al pluralismo politico e istituzionale, al potere politico degli enti locali in netto contrasto con la necessità di sorreggere, i comuni come centri di democrazia forte, quella essenza di libertà della nazione, di cui parlava appunto Carlo Catteneo.

A questo punto, che fare? Quali possono essere le proposte dei socialisti?
Non abbiamo alternative, se vogliamo partecipare alla costruzione di una nuova fase politica, che abbia come sbocco la nascita di una nuovo assetto costituzionale, quindi di una nuova Repubblica, dobbiamo porci l’obiettivo di definire, insieme alle altre forze riformiste un progetto credibile di “ricostruzione nazionale”, di ricostruzione del paese, per “rifare l’Italia” e ricostruire un Paese normale.
Fuori dalla logica del partito di nicchia, che cerca i voti di nicchia, che parla alle nicchie, strada già sperimentata in passato e che non ha dato buoni frutti.
Un progetto aperto a chi ci sta ed anche alle aree moderate di centro.
Un progetto necessario e credibile, intorno al quale creare le condizioni politiche ed elettorali, per battere Berlusconi con gli strumenti della democrazia, in modo del tutto indipendente ed autonomo da ciò che farà la magistratura per suo conto.

- Per questo noi socialisti, siamo parte essenziale della sinistra riformista, di governo e del fare, distinta dalla sinistra delle parole, quella che antiberlusconiana, a parole appunto, sembra oggettivamente più interessata a distruggere i partiti riformisti del centrosinistra e i suoi leader piuttosto che a battere Berlusconi stesso.
- Per questo,dobbiamo lavorare perche la cultura della sinistra possa cambiare. È necessario che cambi perché nella sinistra prevalente ci sono ancora troppi ritardi anche tra coloro che si dicono riformisti.
- Per questo volgiamo dare il nostro contributo per un rinnovato rapporto con il mondo del lavoro, con il sindacato ad anche con la CGIL augurandoci che anche in quel sindacato sia sempre più incisiva l’area riformista e siamo interessati a riaprire un rapporto con il mondo della produzione, con particolare riferimento al mondo deluso delle piccole medie imprese e di tutti i lavoratori autonomi compresi.
- Per questo vogliamo contribuire a ricostruire un area laica e socialista, che si ispira ai valori della libertà e dei diritti, area da molti anni senza rappresentanza politica.

“Ricostruire lo Stato” e rifare l’Italia significa tante cose, che avremo modo di chiarire e declinare in seguito.
Per quanto riguarda il Nord, significa dare risposte alle sue attese fuori dal sistema berlusconiano in cui il Nord in qualche modo si è fin qui identificato.
Perché il Nord non è ancora malato del tutto, ma è ferito dalla cattiva politica.

Per fortuna, l’opinione pubblica incomincia a percepire che anche qui siamo fermi al palo delle promesse non mantenute.
Percepisce che siamo vicini alla fine di un ciclo, e che occorre qualcosa di più e di diverso dallo schema rigido della contrapposizione destra e sinistra, per farlo finire più in fretta.
Percepisce che l’idea che Berlusconi ha della libertà non ha nulla a che vedere con la libertà di tutti.

Un sistema che confonde la libertà di tutti con la licenza di qualcuno di fare ciò che meglio crede anche illegalmente, solo perché ha tanti soldi o lo fa casa propria, ha un che di drammatico.

Questa forma di libertà diventa libertà di evadere, libertà di costruire in difformità, di portare i soldi all’estero, di non rispettare il prossimo e di non rispettare le regole, libertà di non rispondere del proprio operato, in nome del consenso popolare.

Per noi la libertà è un'altra cosa, è dentro i confini delle leggi, delle regole e delle istituzioni. Quella che Berlusconi vorrebbe che il paese faccia propria è la liberta dei furbi e dei potenti, ma non è libertà uguale per tutti.
Non è la libertà per le donne, per gli studenti, per i precari, per i lavoratori, non è la libertà di pregare per chi non ha un proprio luogo di culto, e non è la liberta per il cittadino che vorrebbe scegliere, quando va a votare, il suo partito e il proprio candidato.

Anche in questo senso, la nostra idea del Nord è di un Nord che unisce anziché dividere. E’ quella di un Nord laico e liberale, un’area importante del paese che non ha nessuna intenzione di far da sola e vede ogni movimento divisivo o secessionista implicito nella cultura della Padania come un nemico per sé e la propria economia. E’ l’idea di un Nord che per ritornare a crescere ha bisogno di un’Italia diversa, di uno Stato funzionante, di una diversa classe politica ed ha bisogno di uno stato in cui il lavoro è condizione indispensabile per lo sviluppo. Di un Nord che per ritornare a crescere e per ritornare a competere con le altre importanti aree economiche dell’Europa e del mondo, ha bisogno di un sistema Italia più efficiente e quindi anche di un Sud più efficiente e più produttivo.
Un Nord che ha bisogno di un sistema infrastrutturale adeguato alle esigenze del proprio sistema produttivo, funzionante al suo interno e funzionante verso l’esterno, soprattutto verso il Sud, verso i paesi del Mediterraneo, nuova e importante area di mercato. Un Nord che è Europa e che ha bisogno quindi di un Sud ugualmente attrezzato ed infrastrutturato per essere, il Sud, la porta del Mediterraneo per tutto il paese. Il Nord per tornare a crescere come grande area mondiale non ha bisogno dell’ideologia egoistica, minoritaria, del far da sé, e quella perdente del localismo, quella dell’essere “padroni in casa nostra”, quella dell’intolleranza verso minoranze etniche o religiose.

Mi fermo qui. Le vicende di questi giorni, hanno fatto entrare il Paese in una fase per certi versi drammatica. In questo clima, a primavera, probabilmente si voterà per il rinnovo del Parlamento oltre che per il rinnovo di molti consigli comunali e provinciali. Al Nord, tra i più grandi Milano, Torino e Bologna.
Occorre lavorare perché siano eletti il maggior numero di nostri candidati e per promuovere, là dove sarà possibile, liste di impegno municipale di ispirazione laica, socialista e ambientalista, dentro coalizione che sappiano andare oltre i limiti dei vecchi steccati.
Inutile dire che le difficoltà non mancano perché i partiti del centrosinistra tendono più a conservare se stessi che a creare condizioni nuove per vincere.
Questo è il caso di Milano, dove, dopo primarie divisive, sul candidato Pisapia sembra abbattersi di più l’opa ostile della vecchia sinistra che non il vento favorevole ad un allargamento verso il centro.

Per concludere, siamo venuti qui a Milano, siamo ritornati numerosi in un grande teatro, per riaffermare che il Partito non è solo al Sud. Per mobilitare tutte le nostre energie nella capacità di distinguere i problemi: problemi sociali, territoriali e politici.

Da qui partirà il lavoro di coordinamento dei nostri segretari regionali e provinciali delle regioni del Nord Italia per allargare la nostra area di influenza. Un lavoro che sarà aperto anche a forze non socialisti e a socialisti non iscritti al PSI.
Proprio per le difficoltà che abbiamo conosciuto in tutti questi anni bisogna lavorare per riaprire un rapporto sempre più positivo con tanti cittadini socialisti, laici e libertari, anche senza partito o senza rappresentanza politica, perché ritrovino nel PSI, e nello spirito dell’unità dei socialisti, il luogo per avviare una fase nuova.

Abbiamo resistito tanti anni pensando che sarebbe arrivato il momento in cui il sistema bipolare bloccato potesse implodere. E quello sarebbe stato il nostro momento. Oggi il momento dell’implosione appare più vicino, per questo non dobbiamo sprecare questa occasione, ma soprattutto non possiamo mollare.

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