IL GRANDE SILENZIO DELLA SINISTRA ITALIANA di Alberto Benzoni
15 marzo 2018
Dal dopoguerra ad oggi, la sinistra italiana è stata disastrosamente
sconfitta per ben tre volte.
La prima, e apparentemente, più clamorosa, fu quella del Fronte nel 1948. Ma
sia il Pci che il Psi seppero immediatamente attuare o comunque anticipare il
loro piano B.
Togliatti disse subito ai suoi collaboratori "è andata bene così". Ed
era andata bene così perché il successo del Fronte avrebbe provocato una crisi
grave e incontrollabile sul piano interno e internazionale. Mentre la sua
definitiva sconfitta apriva la strada ad una lunghissima guerra di posizione
dove il Pci, forte dei suoi legami internazionali e del suo radicamento sociale
(e intellettuale...) avrebbe potuto esercitare al meglio il suo ruolo di
tribuno del popolo e di intellettuale organico.
Nel Psi, la corrente autonomista si riunì immediatamente all'indomani del voto,
chiedendo ed ottenendo un congresso che avrebbe poi largamente vinto. E i temi
sollevati a Genova sarebbero stati sì messi sotto il tappeto nello scontro tra
i blocchi contrapposti e nel clima della guerra fredda; ma per risorgere e
affermarsi a partire dalla metà degli anni cinquanta.
La seconda fu quella di Mani pulite. Ma colpì soli i socialisti, scelti da
tutti come capri espiatori delle malefatte (?) della prima repubblica. I
comunisti (come i cosiddetti "cattolici democratici") seppero
tradurre la reale sconfitta in vittoria. E lo fecero vendendo al propria anima
a grandi poteri privati, alla magistratura e all'Europa. Trasformandosi da
partito guida dell'avanzata del movimento operaio in garanti del sistema:
distribuzione del potere, rispetto rigoroso dell'ortodossia
economico-finanziaria e luogo deputato della difesa della moralità pubblica e,
sempre più spesso, anche privata. Una rendita di posizione che si sarebbe via
via consumata nel corso del tempo sino al "redde rationem" di questi
ultimissimi anni; ma che avrebbe funzionato, eccome, nel frattempo.
La terza è stata quella del marzo 2018. E rischia, a differenza dalle altre, di
essere definitiva. almeno per la sinistra che abbiamo conosciuto e frequentato
nel corso di lunghi decenni.
Non a caso essa è stata seguita da un grande silenzio, interrotto da grida
inarticolate o da proclami autoreferenziali. Un grande silenzio che reca in sè
la amara consapevolezza che i ruoli che le varie forze della sinistra, in
particolare ex comunista, si erano assegnati, non possano più essere svolti e
che non se vedano altri a disposizione.
Se oggi il Pd dice "opposizione, opposizione"non lo fa perché ha una
qualche idea precisa su come svolgere questo ruolo (opposizione a chi? o a che
cosa ?) ma perché vuole essere lasciato in pace, nell'illusione di potere
metabolizzare il proprio disastro. Un disastro che non coincide soltanto con la
perdita di voti; ma con la perdita della funzione di garante del sistema,
questa, temo, definitiva. Per la prima volta nella storia italiana il gruppo
dirigente ex Pci o ex Dc, non dà più le carte e non siede più al tavolo di chi
conta in una suite a ciò predisposta; uno shock esistenziale da cui sarà
difficile riprendersi.
Leu,in una specie di training autogeno, dichiara di voler continuare. Ma lo
dichiara con parole senza convinzione e senza peso. Perché sa che con il suo 3%
gli sono definitivamente preclusi sia l'obbiettivo di diventare il punto di
riferimento per la ricostruzione del "vero Pci" sia, e maggior
ragione, quello di essere la massa critica per la ricostruzione di una sinistra
di opposizione. Rimane quello di essere "corrente esterna" di un Pd
allo sbando; ma, allora, perché aver fatto la scissione ?
Un silenzio complessivo che è quello di un campo di rovine.
Naturalmente, i campi di rivine sono anche degli spazi aperti; e nello
specifico sia alla sinistra radicale che a quella riformista o, meglio,
riformatrice.
Ma queste non sono ancora comparse sulla scena; né hanno piantato sul terreno
bandiere visibili e attraenti.
Il loro problema è esattamente inverso a quello dell'area ex Pci. Esistono, e
come, sia lo spazio che il ruolo; mancano, o sono almeno del tutto
insufficienti le forze a disposizione anche per l'incapacità di fare
definitivamente i conti con il proprio passato.
Potere al popolo (al quale, lo dico per dovere di verità nei confronti di chi
mi legge vanno tutte le mie simpatie) contiene in sé tutte le potenzialità
della sinistra incarnata da Mèlenchon ( e anche da Podemos): una sinistra in
cui la rivendicazione della sovranità nazionale non è un obbiettivo in sé ma il
coronamento di un progetto di recupero dei valori del socialismo e della
democrazia su scala nazionale ed anche europea, se non la condizione necessaria
per poterlo svolgere. Ma rischia di essere frenato dal settarismo, dal
"poverismo" e dalla vocazione irresistibilmente minoritaria che segna
anche psicologicamente la storia della sinistra di opposizione.
In quanto ai socialisti il loro lungo silenzio- un silenzio che ha fatto sì che
la stessa parola "socialismo"non evochi nulla nella mente dei loro
potenziali ascoltatori- è legato a fil doppio alla loro paranoica
autoreferenzialità. E allora chi voglia parlare, come si farà sicuramente
nell'incontro rifondativo di Livorno, dovrà, per prima cosa, lasciarsi alle
spalle questo passato. Essendo, conseguentemente, consapevole che,per uscire
dal mortale silenzio che ci ha progressivamente soffocato in questi venti e più
anni non basta pronunciare la parola magica; ma sarà necessario tradurla in
iniziative, eventi, battaglie, riflessioni collettive, personalità che ne siano
credibili testimoni.
Nulla ci assicura che il definire correttamente un percorso garantisca il suo
successo; limitiamoci a dire che è la condizione necessaria per intraprenderlo.