IL GOVERNO MONTI, UN’OCCASIONE DA NON SPRECARE di Roberto Biscardini da L’Avanti della domenica, 15 gennaio 2012

16 febbraio 2012

IL GOVERNO MONTI, UN’OCCASIONE DA NON SPRECARE di Roberto Biscardini da L’Avanti della domenica, 15 gennaio 2012

Per una serie di ragioni considero la nascita del governo Monti un’opportunità positiva anche per la nostra iniziativa. Un governo rispetto al quale, come è logico, si possono marcare differenze, individuare insufficienze, essere persino contrari su questo o quel provvedimento, ma che potrebbe far evolvere la situazione politica nella direzione da noi voluta.
Certo non è il nostro governo, ma il fatto che possa rappresentare il momento di passaggio dalla Seconda repubblica ad una fase nuova non è di poco conto. D’altra parte fare l’opposizione a Monti insieme alla Lega, a Di Pietro e a Vendola non fa per noi. Dobbiamo invece considerare che, dopo il governo Monti, il quadro politico non potrà ritornare ad essere quello di prima, come se nulla fosse accaduto. Non potrà riproporsi lo schema bipolare precedente, quello che abbiamo sempre contrastato e che è stato per buona parte la causa principale della marginalizzazione dei socialisti. Dobbiamo contare sul fatto che la fase di transizione che Monti rappresenta potrebbe consentire al sistema politico di riorganizzarsi intorno ad un sistema elettorale sempre più proporzionale da noi abbiamo sempre privilegiato. Proporzionale quasi perfetto, se riusciremo nella battaglia per la reintroduzione delle preferenze.
Infine Monti, rimettendo in gioco una politica più complessiva sul sistema Paese, non rivolta solo alle sue categorie interne, alle sue corporazioni e ad interessi più o meno frammentati, riporta all’ordine del giorno la questione fondamentale per noi socialisti, quella del riformismo e del come cambiare l’Italia, con pragmatismo. Un tema che ha caratterizzato l’iniziativa dei socialisti anche negli anni più recenti. Da quando per primi abbiamo posto il problema di una grande riforma costituzionale da realizzarsi attraverso l’elezione diretta di un’Assemblea costituente, a quando per ultimo, al congresso programmatico di Fiuggi, abbiamo tentato di individuare i punti centrali della nostra iniziativa politica, perché non sia dispersiva e frammentaria. Sintesi che io riassumo così: Europa, ricostruzione dello Stato, crescita – lavoro - equità fiscale, laicità.
In fondo, pensiamoci bene, non c’è molta distanza tra lo slogan “Salva l’Italia” e il nostro “Per amore dell’Italia”. E ancora non c’è molta differenza tra la lotta all’evasione fiscale posta come punto centrale dell’azione di governo e la nostra proposta per una riduzione fiscale alle imprese ed ai produttori, come precondizione per nuovi investimenti e quindi per la crescita. Quindi se è vero che questo governo non risolverà i nostri problemi e quelli del centrosinistra, è vero che, con tutte le sue contraddizioni, ha il merito indiretto di porre a noi e alla forze riformiste del centrosinistra la questione di fondo: come definire da qui alle prossime elezioni una proposta politica nuova in grado di rappresentare un’offerta politica convincente per il dopo Monti e contemporaneamente alternativa alla destra.
Si tratta quindi anche per il PSI di decidere se cogliere o meno un’opportunità da giocare in grande, dentro processi di grandi cambiamenti, o accontentarsi, nella marginalità in cui siamo costretti da anni, a continuare a svolgere il nostro compito secondo una logica di nicchia.
Nel breve il nostro obiettivo è quello di fare politica al più alto livello possibile e con la massima capacità organizzativa per crescere anche elettoralmente anno dopo anno. Ma si può fare di più. Si possono avere obiettivi più ambiziosi, anche sul piano elettorale, per costruire una prospettiva nella quale il Socialismo sia punto di riferimento di un’aggregazione ampia e di un’area più grande. Passare dalla fase in cui siamo i socialisti del centrosinistra, ad una fase in cui i socialisti e la componente socialista nella società diventa forza centrale del sistema. E’ possibile? Sì, a partire dalla considerazione, che la sola esistenza del governo Monti in qualche modo certifica, di quanto sia debole l’iniziativa della sinistra italiana e di quanto ci sia bisogno di allineare la sinistra riformista all’esperienza del socialismo europeo.
Dopo vent’anni di strani modi di essere, anche in Italia una sinistra riformista credibile o è socialista o non è. Non può avere come base di riferimento tutto ciò che abbiamo conosciuto. E non può far conto su questo Pd in crisi di egemonia, nelle sue diverse versioni. Un partito che ha fallito nella versione ulivista, ha fallito nella versione democratica e ‘all’americana’ ed ha fallito quando ha voluto riunire due tradizioni tra loro troppo distanti, quella postdemocristiana e quella postcomunista. E così ha fallito quando, facendo dell’occupazione del potere nelle istituzioni un fine, ha rinunciato ad elaborare idee per affrontare con consapevolezza la realtà del Paese. Naturalmente oltre il Pd è ancora peggio, molto peggio, sia per ciò che esprime la sinistra radicale e populista, sia per ciò che non esprime quella naif dei cosiddetti movimenti arancioni. Anche per questo il governo Monti sembra fare di più di quanto avrebbe avuto il coraggio di fare un normale governo di centrosinistra. Basti pensare alla proposta di introduzione del salario minimo garantito e reddito di cittadinanza, a noi tanta cara, ma contrasta sia dalla Confindustria che dai sindacati. Anche per questo la sensazione più diffusa è che se Monti dovesse cadere, cadrà a sinistra, per un’iniziativa che la destra potrebbe sferrare su più di una questione.

Vai all'Archivio