IL GOVERNO MELONI. PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA ED ORA: RESISTENZA DEMOCRATICA, LEGALITARIA E PACIFICA di Francesco Bochicchio del 4 ottobre 2022

04 ottobre 2022

IL GOVERNO MELONI. PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA ED ORA: RESISTENZA DEMOCRATICA, LEGALITARIA E PACIFICA di Francesco Bochicchio del 4 ottobre 2022

Ed ora: il Governo Meloni:

Si tratta della destra radicale –con origini fasciste che pesano ancora- della Meloni: la destra radicale “tout court”, vale a dire comprendendo anche la Lega, ha un consenso elettorale che è il quadruplo della componente moderata –Berlusconi ed altri-, mentre in caso di scissione della Lega il suo consenso scenderebbe ad un triplo.    

In Fratelli d’Italia la maggioranza degli esponenti è fascista e lo ostenta, anche con il saluto romano (basti pensare al fratello di La Russa, una delle principali persone di fiducia della Meloni).

Le prese di distanze sono sempre deboli e mancano misure disciplinari.

Le affinità tra il partito e gruppi neo-fascisti estremi, anche violenti, sono indubbie: ciò non significa una corresponsabilità penale, sia ben chiaro, ma la dice lunga sulla natura del partito stesso.

La nostra Costituzione vieta la ricostituzione del partito fascista, ma non la propagazione di idee fasciste, che è una forma di manifestazione del pensiero.

In mancanza -al momento fuori discussione- di violenza politica e/o di abolizione di istituti democratici e di libertà è un Governo legittimo.

Ciò non toglie che si stia tentando da parte di esponenti di Fratelli d’Italia una delegittimazione della Resistenza: è un’operazione illegale e la nostra Costituzione vieta il fascismo e non il comunismo, proprio perché questi in Italia non ha mai costituito una minaccia per la democrazia a differenza, per l’appunto, del fascismo.

E’ un partito autoritario e vuole incidere su diritti fondamentali, quali l’aborto, il riconoscimento delle famiglie di fatto e degli omosessuali nonché del fine assistito.

Sono diritti fondamentali, ma nella coscienza sociale ancora controversi e si dovrà difenderli davanti alla Corte Costituzione, e proprio per questo si rientra -al momento- nell’autoritarismo, ma non nel totalitarismo.

Il punto fondamentale di pericolosità del Governo Meloni è la volontà di modificare la Costituzione in senso presidenzialista.

Di per sé il Presidenzialismo esiste in diversi Paesi democratici. Anche qui, così, il punto non è di per sé decisivo. Ma lo schieramento vincente ha posto la modifica costituzionale al centro del suo programma quale uno dei suoi principali obiettivi: il tutto si ricollega a Salvini che si proponeva di ottenere i pieni poteri. Ora Berlusconi ha dichiarato che una volta realizzata la modifica –per la quale occorre la maggioranza favorevole dei 2/3 dei Parlamentari, la quale manca anche si aggiunge alla maggioranza il terzo polo che si è dimostrato d’accordo, con la conseguenza che in caso di mancato sfaldamento del Pd sul punto sarà necessario il “referendum”- Mattarella si dovrà dimettere, il che è escluso giuridicamente: il vero è che tutto lo schieramento punta ad eliminare ostacoli e filtri ad al proprio potere.

Detto in parole povere: lo schieramento persegue non il cambio, del Governo, ma della Forma di Governo, con una concentrazione abnorme di potere.

Erra quindi Sabino Cassese quando afferma che il Presidenzialismo non incide sui Principi Fondamentali, in quanto, all’esatto contrario, esso, così come perseguito, viola il pluralismo politico, che è a fondamento della sovranità popolare (ci si permette di rimandare allo scritto recente sui limiti alle modifiche costituzionali).

Per completare l’opera -ammesso che v en fosse veramente bisogno-, nella storia della prima repubblica il Presidenzialismo fu perseguito in collegamento con trame oscure.

In definitiva: dietro il progetto di riforma costituzionale della Meloni vi è un profondo autoritarismo che richiama il rischio di un vero e proprio totalitarismo.

L’opposizione nei suoi confronti deve essere rigorosa ed inflessibile, come vera e propria resistenza, legalitaria, pluralista, tesa a contrastare le svolte autoritarie ma senza contestare la legittimità del Governo, fino a quando questi non si trasformi in (Governo) totalitario. La resistenza deve essere totalmente pacifica fino a quando non diventi oppressivo. Tale eventualità è un rischio concreto, ma non è consentito fare processo alle intenzioni.

Ora lottiamo per la sconfitta del progetto al “referendum.

E sempre ora, politicamente, si tratta di fare opposizione ad un Governo di destra reazionaria, preparando un progetto alternativa di sinistra riformista antiliberista.

Su questo punto si è formato un equivoco, teso a negare la natura di destra reazionaria alla luce della pretesa natura sociale (tanto cara a DB). Questa natura sociale è da negare decisamente in quanto manca nella Storia della destra radicale, al di là della retorica e della propaganda, un’effettiva politica tesa a favorire i ceti più deboli mediante contrasto ed opposizione agli interessi delle imprese.

Unica eccezione storica è costituita dalle SA tedesche, che non a caso furono massacrate dai nazisti all’avvio del ’34, poco tempo dopo la conquista del potere e su ordine dell’alto comando prussiano e del grande capitale, che minacciarono la caduta di Hitler. Tale obiezione è stata dallo scrivente mossa, per il tramite –cortesissimo- di DB,  a Marco Tarchi, intellettuale di grande livello di origini della destra radicale, che non ha mai risposto.

“De hoc satis”.

Non è un caso che la Meloni si sia opposta al blocco dei licenziamenti del Governo Conte bis ed ai suoi interventi in controtendenza rispetto alla limitazione dei diritti dei lavoratori, ed ora proponga la disattivazione concreta del Reddito di Cittadinanza, mantenendolo a livello solo nominale, e si opponga al reddito minimo ed alla revisione della normativa in essere, ultra-liberista, in materia di licenziamenti.

La destra radicale intende difendere gli interessi dei lavoratori del proprio Paese contro gli interessi dei lavoratori degli altri Paesi –è questa l’essenza del nazionalismo, come comprese genialmente Rosa L. in “Junius Brochure” del ’16-, e dei migranti.

Ora Luca Ricolfi, intellettuale di prestigio già di sinistra, pian piano spostatosi prima al centro ed ora a destra, afferma, perentoriamente, che in tal modo resta coerente alle proprie idee di sinistra, in quanto il Pd non è più attento alla questione sociale, preoccupandosi in modo ossessivo solo dei diritti e dei migranti, mentre la Meloni lo è molto di più 

Sulla natura sociale, solo pretesa e non reale, della Meloni si è già detto.

La critica al Pd è surreale.

E’ vero che il Pd non è anti-liberista, e proprio per questo lo scrivente non lo considera più di sinistra. ma è singolare che tale critica venga proprio da lui che aspira ad una sinistra liberale e che in un –pregevole- libro di non molto tempo fa criticava Bobbio e la sua uguaglianza dei punti di arrivo –e non solo di partenza-, tale da violare il liberalismo –qui Ricolfi semplifica annullando la dialettica tra libertà negativa, “liberty from”,  e  libertà positiva, “liberty to”-  e il Manifesto di Ventotene, troppo radicale in un’ottica di europeismo socialista.

Quindi Ricolfi, senza arrossire –e lo scrivente di fronte a siffatta disinvoltura non può che fare un inchino- sostiene il liberismo economico, su cui il Pd è solo timidamente critico e la negazione dei diritti in campo civile.

Cosa vi sia di sinistra in questa posizione è totalmente oscuro al povero scrivente.

Spostarsi da sinistra al centro prima ed ora addirittura a destra è del tutto legittimo: affermare che in tal modo si resta coerenti con le idee di sinistra è totalmente criticabile da un punto di vista intellettuale.

Un punto del –traballante- discorso di Ricolfi resta aperto.

La lotta ai migranti da parte della destra radicale sarebbe compatibile con la sinistra in quanto tesa a combattere il ricorso all’ “esercito industriale di riserva” (ed occorre ricordare che tale ricorso fu denunziato nient’altro che da Marx), con cui fare concorrenza al ribasso   ai lavoratori interni.

Il discorso –qui, e solo qui!- e serio e merita un approfondimento.

La concorrenza sul mercato del lavoro è una mossa del capitale: la mobilità del lavoro è un diritto però fondamentale e negarlo è frutto di totalitarismo nazionalista.

La concorrenza sul mercato del lavoro si combatte esclusivamente fissando diritti imperativi dei lavoratori in campo normativo ed economico.

Certamente, la migrazione pone dei problemi di sostenibilità del Paese: ma non si tutela quest’ultimo con leggi marziali, dovendo invece ricorrere alla gestione del problema in sede di politica internazionale ed esteri e di relativi negoziati.

La mobilità del capitale non è combattuta dalla destra radicale, che vorrebbe sostenere quella del proprio e combattere quella del capitale altrui, come dimostrato dall’America dai tempi di Nixon, a fasi alterne fino a Trump, mai smentito sul punto da Biden, che vuole continuare a ostacolare la competizione cinese.

Il vero nodo è la programmazione economica pubblica, da coordinare a livello internazionale.

L’alleanza tra sinistra radicale e destra radicale è così da respingere e su questo punto vi è stato vivace dissenso tra lo scrivente e l’immenso amico ed Illustre Maestro Giorgio G.

Ciò non toglie che insieme abbiamo scritto quattro libri insieme sull’argomento, d’accordo sull’opporci -in termini politici ed a monte socio-economici- alle multinazionali ed al capitale finanziario -non per disconoscerne l’esistenza e tornare indietro nell’orologio della Storia, ma per guidarli e non farsi guidare da essi-, in disaccordo invece sulla possibilità di allearsi sul punto con la destra radicale, affermata da lui e negata dallo scrivente.

Il vero è che, di fronte alla globalizzazione ed alla sua crisi distruttiva in modo nefasto, la destra si è trovata pronta con il proprio nazionalismo, mentre la sinistra è rimasta disarmata con l’internazionalismo, nobile ma in-effettivo.

Ma la Nazione cede di fronte all’Impero e così si è arrivati alla guerra ucraina, con la lotta tra due Imperi capitalistici, uno globalizzato e l’altro protezionista.

Né con l’uno né con l’altro: è questa l’unica risposta.

Nel libro sulla guerra, in uscita a breve, si è mostrata la via -ora solo prospettica, ma emergente, in modo prepotente, dalle conseguenze catastrofiche della stessa guerra- dell’alternativa, anticapitalistica –ora in chiave solo riformista-, e ruotante intorno all’Ordinamento Internazionale.

Un ultimo cenno sull’Europa.

Il sovranismo della destra radicale è anti-europeista.

Il discorso al riguardo è complesso.

Lo scrivente ha da se sempre affermato che l’Europa di Maastricht –che continua quella del ’56, liberista, a differenza di quella del Manifesto di Ventotene- è anti-costituzionale perché impedisce una politica economica interna –e tale impedimento fu propugnato a suo tempo da Guido Carli-.

L’adesione ad essa viola l’art. 11 della nostra Costituzione, che ammette solo limitazioni parziali e per ragioni di pace e di giustizia, mentre qui la rinunzia è totale e per ragioni diverse da quelle costituzionali, anche alla luce dell’adesione Nato, ora non più difensiva.

Esponenti di primo piano di Fratelli d’Italia propongono la revisione dell’adesione, in modo da abrogare la superiorità gerarchica della normativa comunitaria su quella interna.

 In tal modo, si disattiva l’adesione all’Europa, mentre l’art. 11 può essere salvaguardato mantenendo ferma l’impossibilità che la normativa comunitaria violi la Costituzione, il che dovrebbe valere in teoria, ma è stato eluso in termini di fatto, a differenza di quel che si è verificato in Germania, dove di converso la Corte Costituzionale di Karlsruhe è stata sempre vigile sul punto, pur dando per scontato che per i Paesi deboli quale l’Italia questa salvaguardia non debba valere.

In termini politici, l’offensiva sovranista contro l’Europa non ha senso in un periodo di lotta tra Imperi, a meno che non ci si voglia collocare sotto l’orbita russa, di sicuro più indigesta di quella americana.

La strada è quella della terzietà dell’Europa con uscita dalla Nato, e con salvaguardia di tutte le arre europee in virtù del collegamento con il Medio-Oriente e della Via della Seta con riconoscimento della pari dignità dei singoli paesi europea: il ruolo primario della Germania, scritto nel grande libro della Storia e non necessariamente inammissibile, vista la sua funzione di contraltare al dominio americano appoggiato dalla Gran Bretagna, deve rivelarsi non egemonico -altrimenti si sostituisce all’imperialismo americano quello tedesco, e a chi, come Rampini evidenzia che l’imperialismo è escluso dal dominio militare-politico, è (sin troppo) facile ribattere che l’imperialismo è qualcosa di diverso dal colonialismo-, ma di solo coordinamento.  

Con tale soluzione si vuol, non mettere in discussione l’appartenenza occidentale dell’Europa, ma valorizzare, all’interno dell’Occidente, la nascita di un polo di civiltà e di socialità alternativo a quello americano della volontà di potenza economico-finanziaria e militare.

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