IL FINTO “LIBERO MERCATO” di Antonino Gulisano
02 marzo 2017
Il mondo capitalistico si è incontrato sulla finta scelta tra “libero mercato” e “Governo”.
La Destra chiedeva più mercato e meno governo, la Sinistra voleva più governo e meno mercato.
Questo dibattito nasconde una realtà, il ruolo imprescindibile del
Governo dell’economia nel concepire, organizzare e controllare il
mercato. Il Governo non esaurisce mai il suo ruolo perché i cambiamenti
del mercato sono continui per innovazioni, progressi tecnologici, i
quali impongono l’adozione di nuove scelte.
Gli unici fenomeni che
si evidenziano sono le redistribuzioni esplicite del Governo dai ricchi
ai poveri attraverso le tasse e i trasferimenti. Ma questa è una piccola
cosa di pari passo con la divaricazione dei redditi. Queste
redistribuzioni verso il basso costituiscono una piccola parte del
quadro complesso del rapporto.
In realtà la principale
redistribuzione è avvenuta e avviene nella direzione opposta: dai
consumatori, dai lavoratori, dalle piccole e medie imprese e piccoli
investitori verso l’alto come i top manager, i gestori dei portafogli e i
maggiori detentori di capitali fissi, la finanza e i trader di borsa.
I principali canali di trasferimento retributivi si nascondono
all’interno delle regole del mercato: 1) proprietà, 2) monopolizzazione,
3) contratto, 4) fallimento, 5) enforcement,(controllo) che sono state
plasmate da chi ha grandi ricchezze e un enorme peso politico. E ‘ una
pre- distribuzione verso l’alto che avviene all’interno dello stesso
meccanismo del mercato e poi il Governo redistribuisce una piccola
porzione verso il basso ai poveri attraverso imposte e trasferimenti.
L’ economia moderna si sposta sempre più verso le idee, allontanandosi
dai prodotti tangibili, queste regole sono diventate ancora più oscure.
La proprietà oggi più preziosa è quella intellettuale (brevetti, accordi
pay for - dalay, (di ritardato pagamento) leggi del copyrighit –
durata 90 anni-.
I contratti moderni non riguardano tanto le cose
quanto i dati e le idee. La finanza è diventata così opaca. Il potere
negoziabile dei lavoratori è stato eroso dalle “righ to work lows”
(diritto al lavoro) statali della inadeguata contrattazione dei diritti
alla contrattazione collettiva e gli accordi che proteggono la proprietà
intellettuale e le attività finanziarie, ma non il valore economico dei
posti di lavoro. Le strategie di enforcement (controllo) che
sistematicamente lasciano a corto personale delle agenzie incaricate di
ispezione e controllo specie nelle società finanziarie. Il “libero
mercato” fa da cortina fumogena affinché il sistema per redistribuire i
guadagni economici appare il risultato naturale e inevitabile di forze
neutrali. L’ideale meritocratico presuppone che si venga retribuito su
per giù in proporzione al proprio valore: chi è pagato poco presuppone
che vale poco o prende quanto vale, mentre chi è pagato tantissimo si
presuppone che non valga di meno. Da questa categoria economica si
trasferisce in una categoria morale. E ‘ il concetto meritocratico
calvinista: l’entità del proprio reddito equivale alle proprie virtù. Il
punto è che al posto di un astratto “libero mercato” c’è una
concretissima economia politica sulle regole del gioco. Il problema non
sono il potere o l’influenza in sé e per sé chi comanda, ma piuttosto la
relativa mancanza di potere e influenza dall’altra parte. Non ci sono
più i contrappesi significativi, cioè forze capaci di controllare e
riequilibrare il crescente peso politico della finanza e dei super
ricchi. Il ceto medio e i poveri hanno pochissima capacità di agire di
propria volontà.
La sinistra o l’alleanza dell’alternativa del
Governo deve rispondere a tre interrogativi: 1) se non si ristabiliscono
dei contrappesi, questa tendenza come minaccerà o mette a freno il
Capitalismo? 2) come possono il ceto medio e i poveri recuperare un
sufficiente potere competitivo che gli permetta di riorganizzare il
mercato affinché generi una prosperità diffusa? 3) che forma potrebbe
assumere tale riorganizzazione?