IL DIBATTITO SULLA “FLAT TAX” E LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE: SENZA COSTITUZIONALISMO, L’OPPOSIZIONE SOCIALE E’INEFFICACE di FRANCESCO BOCHICCHIO

25 agosto 2017

IL DIBATTITO SULLA “FLAT TAX” E LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE: SENZA COSTITUZIONALISMO, L’OPPOSIZIONE SOCIALE E’INEFFICACE di FRANCESCO BOCHICCHIO

E’ sorto a luglio un grande dibattito sulla “flat tax”, tassazione sul reddito dall’unica aliquota, quale  idonea a incoraggiare tutti a pagare i tributi, secondo una misura contenuta e ragionevole, e tale da incoraggiare i ceti abbienti ai consumi ed agli investimenti: proprio per questo, cavallo di battaglio delle destre, liberiste ma anche populiste. Recentemente Renzi la guarda con grande interesse e con lui tutta la sinistra liberale e moderata: ma anche settori genuini di sinistra non la escludono.  L’obiezione che è una misura antiprogressiva in violazione eclatante della progressività della tassazione, di cui all’art. 53 Cost., viene superata con l’osservazione che la progressività può essere recuperata a livello di detassazione. Essa è una misura seria e ragionevole: assicura un incasso ragionevolmente certo per l’erario, in aumento esponenziale visto l’interesse indubbio dei ricchi e dei super-ricchi. Certamente, viene meno la progressività fiscale imposta dall’art. 53 Cost.; questa così viene realisticamente abbandonata per assicurare un minimo gettito, minimo ma ragionevolmente certo. Con la detassazione si può trattare equamente i ceti deboli ma si rinunzia ad una redistribuzione dl reddito. Della progressività della tassazione si fornisce una visione minimalistica, staccandola da qualsivoglia politica economica e sociale.  
Angelo Panebianco con la consueta lucidità ha affermato che proprio perché la “flat tax” è vietata dalla Costituzione occorre modificare la Costituzione stessa non solo nella seconda parte dell’assetto dello Stato ma anche nella prima dei principi fondamentali, che vanno depurati di ogni impostazione sociale. La modifica della seconda parte è vana, o comunque illusoria senza la modifica della prima: questo è il clamoroso risultato del ragionamento di Penebianco. E’ un ragionamento profondo ed acuto e che va apprezzato nella sua lucidità e sincerità, anche se ovviamente respinto al mittente nel merito.
Ebbene, Panebianco ha disvelato l’insincerità delle modifiche costituzionali proposte a ripetizione e e- per fortuna bocciate-, nella seconda repubblica.
Esse vogliono non rendere più efficiente al Costituzione, ma sovvertirla ed alterarla: solo vogliono raggiungere questo risultato in modo opaco, insincero e surrettizio, mentre Panebianco ha il coraggio di richiamare chi la pensa come lui –la grande maggioranza dell’opinione che conta- ad uscire allo scoperto senza riserve.
Le modifiche costituzionali sono perseguite al fine di concedere alla maggioranza relativa, ruotante intorno ad un “leader” con carisma –spesso solo presunto- un potere illimitato in grado di adottare tutte le misure antisociali. La concessione di tale potere  è un modo surrettizio per eludere e violare i principi fondamentali di cui alla prima parte della Costituzione. Panebianco, con straordinaria lucidità,  ritiene ciò non sufficiente, in quanto i principi fondamentali possono costituire un  motivo di coesione delle forze non omologate in grado di compattarle soprattutto in un momento di crisi economico-ociale così devastante, quale quella attuale.
Ma da qui  emerge un quadro inquietante: i principi fondamentali collocati in senso sociale non hanno impedito leggi antisociali quale l’abolizione del divieto di licenziamento ingiustificato: la discrezionalità del legislatore ha un grande spazio nell’attuazione delle norme costituzionali, la cui valenza politica non è mai univoca. Allora, perché insistere ancora sui principi fondamentali, al fine di rimuovere quelli di natura sociale? La risposta è elementare: E’ ovvio che vi è un disegno di vera e propria macelleria sociale con la “flat tax” che costituisce il primo passo  per creare una zona  omogenea, enorme ed anzi in continua espansione in modo da diventare omnicomprensiva, costituita da veri propri privilegi a favore del grande capitale, anche di natura abusiva ed illecita..
Ma non ci deve fermare alla denunzia del disegno: occorre approfondire per far emergere quello che è il nesso vero tra prima e seconda parte della Costituzione, nesso spesso trascurato, anche a sinistra, dove se ne se è fornita una versione tralatizia, come se fosse scontata la complementarietà tra le due parti.
Ebbene, i principi fondamentali  costituiscono un limite formidabile ma non insuperabile per- una forza politica maggioritaria solo apparentemente costituzionale. Il divieto di concentrazione di potere di cui alla seconda parte è fondamentale in senso oppositivo ma i principi fondamentali non si attuano in via di opposizione se non in parte ristretta. L’opposizione sociale fondata sui principi fondamentali ha quale presupposto essenziale il costituzionalismo, e ciò è già sufficiente per comportare il rifiuto della  tradizionale posizione marxista-leninista, basata sulla conquista del potere quale elemento trascinante del cambiamento del dominio di classe: ma non è ancora sufficiente.
L’opposizione sociale, una volta che considera non decisiva la conquista del potere e pertanto privilegia le garanzie costituzionali, da un lato respingendo la concentrazione di potere quale intrinsecamente autoritaria ed anche arma della politiche antisociali, e dall’altro  risolvendosi, a livello di modello politico e sociale, nel pluralismo, corre il rischio  di concepire il costituzionalismo in chiave solo difensiva, con le dinamiche economico-sociali che porteranno in modo armonico ad acquisire nella società prima e poi nella politica un ruolo egemone. Le incertezze del costituzionalismo di sinistra vengono da lontano, e in particolare dalla doppiezza togliattiana, tale da abbracciare lo stesso costituzionalismo solo una volta che la conquista del potere era sfumata (alla Costituente, prima della disfatta delle elezioni del ’48, Togliatti era contrario all’introduzione della Corte Costituzionale per cambiare posizione solo una volta ricacciato all’opposizione endemica).
In tal modo, si compie un duplice gravissimo errore: da un lato si dimentica uno dei grandi insegnamenti del pensiero marxista, vale a dire  che il pluralismo non è affatto incompatibile con il dominio di classe, ora del capitale finanziario, e dall’altro, in termini strettamente collegati, che l’attacco ora mosso al pluralismo dal blocco dominante non è frutto di un autoritarismo fine a sé stesso, ma si rivela una lucida strategia atta a rimuovere ogni ostacolo al dominio del capitale finanziario , il quale privo di razionalità economica, è costretta all’abuso.
Stranamente, si smarrisce il nesso tra istituzioni e rapporti di classe, nesso che appartiene al marxismo e che invece viene graziosamente lasciato in mano all’avversario di classe.
Una volta allontanatasi la prospettiva della presa del potere (anche in modo meno traumatico della leggendaria presa del “palazzo d’inverno”), si smarrisce ogni prospettiva di trasformazione sociale, anche se lunga ed al momento senza un punto finale di approdo, trascurando come il punto di approdo debba essere elaborato in modo faticoso ed aspro, strappando all’avversario qualsivoglia centimetro di terreno utile
Che le forze produttive debbano essere mature per scrollarsi di dosso rapporti di produzione obsoleti –quale attualmente il capitale finanziario- è uno dei lasciti più profondi del marxismo e del materialismo storico e che invece viene abbandonato trascurando che la maturità la si conquista con fatica e con gradualità. Il gradualismo di Otto Bauer e di Riccardo Lombardi nulla ha a che spartire con il revisionismo di Bernstein che rinunzia allo scopo finale, mentre il primo è il gradualismo di un riformismo che non smette mai di essere rivoluzionario. Semplicemente è un gradualismo privo di impazienze rivoluzionarie e tale da non risolvere la rivoluzione nella conquista del dominio che deve invece derivare da un processo, certamente non armonico come invece in Kautski, ma alieno ad ogni semplificazione relativa alla conquista del potere come invece in Lenin.
Si arriva così inesorabilmente al paradosso di una situazione, quella attuale, che vede i rapporti di produzione obsoleti ma le forze produttive legate aa lavoro del tutto impreparate, disorganizzate ed anzi frantumata.
L’alternativa è costituita da una progettualità riformista antiliberista che guidi l’opposizione sociale, per la quale è necessaria una vocazione maggioritaria ovviamente del tutto priva di concentrazione di potere. Tra emancipazione sociale, divieto di abuso e direzione progettuale politica vi è un nesso indissolubile.
Ciò perché l’emancipazione sociale delle forze del lavoro richiede ciascuno dei tre seguenti elementi:
a)    opposizione sociale forte e combattiva ;
b)    direzione politica dell’opposizione sociale, tale da tradursi in un’effettiva ingegneria sia economico-sociale sia politico-istituzionale  in modo da non smarrire mai la razionalità del sistema, e porre così il cambiamento di sistema solo quando maturano le condizioni stutturali;
c)    divieto di ogni forma di abuso strumentale all’autoreferenzialità del potere, alla fine inesorabilmente destinato a sostenere il blocco sociale del capitale finanziario, divieto che vale anche per i rappresentanti delle forze del lavoro; la dittatura del proletariato è un vero non senso.
La sintesi tra opposizione di classe e politica istituzionale contraria ad ogni forma di abuso del potere richiede l’abbandono della visione politica del marxismo che già in Marx vedeva nella politica lo strumento della conquista del potere, il che è stato poi esaltato da Lenin. Un marxista luxemburghiano come lo scrivente deve riconoscere a malincuore che Lenin, se da un lato ha prodotto lo snaturamento del marxismo, dall’altro ha fatto ciò in perfetta buona fede –e quindi ogni equiparazione dello stesso a Stalin del tutto inammissibile- perché è stato l’erede più fedele dell’infelice teoria politica del marxismo.

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