IL CROLLO DEL PREZZO DEL PETROLIO di Franceesco Bochicchio del 14 maggio 2020
14 maggio 2020
Il prezzo del petrolio è crollato: con il “virus” ed il blocco della circolazione motorizzata che ne è derivato, la legge della domanda e dell’offerta e così il calo della domanda stessa hanno determinato il crollo del prezzo.
Ma tale spiegazione, rassicurante ed in linea con i dogmi economici ed in particolare con la centralità del mercato, ruotante intorno alla legge della domanda e dell’offerta, non è sufficiente.
Vi è stata anche una fortissima speculazione che ha cavalcato il calo della domanda.
Sorge così il quesito se la ripresa della domanda, inevitabile prima o poi, risolleverà anche i prezzi.
La domanda gioiosamente positiva che viene unanimemente fornita –in modo implicito, visto che si concretizza nell’ignorare il problema- non sembra scontata.
Ed infatti, in tal modo, si dà per scontata l’uscita facile dal “virus”, il che così non è.
Ma non solo: nessuna resistenza politica è stata mossa contro la speculazione, il che vuol dire che il fronte del petrolio non è più così forte o che, in via affatto speculare, il fronte della speculazione è più forte.
Visto che il fronte del petrolio è fortissimo economicamente, politicamente e militarmente, la spiegazione è che quello della speculazione lo è ancora di più.
Ma forse la spiegazione è solo apparentemente e comunque parzialmente soddisfacente: essa non è esaustiva.
Il vero è che l’economia è cambiata radicalmente.
Rispetto a quando lo scrivente era ragazzo, epoca in cui –a partire dal ’73- l’alto prezzo del petrolio era inarrestabile e metteva in ginocchio l’Occidente minando alle basi il “welfare”, il rivolgimento è totale
Ciò vuol dire che il potere economico si è spostato dai produttori di petrolio alla finanza.
Ma non basta: poiché i produttori di petrolio in realtà sono estrattori di petrolio, il vero è che il potere si è trasferito dalla terra al puro capitale.
Marx affermava nitidamente, sulle orme di William Petty, che “il lavoro è il padre di ogni valore e la terra è la madre”: ebbene, il potere economico, ma a monte il valore economico si è trasferito dalla terra al capitale puro.
Poiché contestualmente lo stesso fenomeno ha investito anche il lavoro, svilito prima ancora che sfruttato –ed al più presto occorrerà regolare i conti con il concetto di sfruttamento, a base della teoria del valore-lavoro, ma in realtà di natura più etica che economica, con la conseguenza indefettibile che tale teoria dovrà essere oggetto di profonda rivisitazione, senza abbandonarla ma liberandola di incrostazioni teologiche-, è evidente che il capitale ha perso ogni natura produttiva, questa relegata nella più infima marginalità.
Il capitale è finanziario, con la conseguenza che il profitto non solo è di natura non più produttiva bensì finanziaria –con il lavoro non più sfruttato ma dematerializzato e delocalizzato, vale a dire reso privo non solo di soggettività ma anche di oggettività, e così addirittura de-valorizzato- ma anche che ha inglobato al proprio interno la rendita della terra non più da essa separata.
La conseguenza economica è che il capitale, essendo oramai -solo- finanziario e non più produttivo, puro e non più materiale, si contraddistingue da un lato per la valorizzazione e per l’accumulazione senza limiti e dall’altro per la capacità di programmare parimenti senza vincoli.
I vincoli sono superati sia per l’accumulazione sia per la programmazione.
I due elementi sono tra di loro in profonda contraddizione.
Ma l’illimitatezza, se relativamente all’accumulazione rimane intrinsecamente capitalistica, relativamente alla programmazione riduce -almeno potenzialmente- lo spazio dell’anarchia e ingenera lo spazio per il superamento del capitale, il che è ora impedito dall’illimitatezza dell’accumulazione.
Alla lunga l’illimitatezza della programmazione è inarrestabile, anche se necessita di una svolta storica, come si vedrà.
Tale inarrestabilità non sembra tale vista la sfrenatezza del capitale finanziario, ma il crollo del prezzo del petrolio ha una portata dirompente: esso colpisce gli estrattori e pertanto la rendita ma anche la potenza militare; anche l’America è oramai estrattore di petrolio eppure non è riuscita a fermare la speculazione delle proprie banche d’affari.
Tale speculazione, che si dovette fermare nel secondo mandato di Obama, di fronte alla mancata approvazione del mandato da parte del Congresso repubblicano, ora non si è fermata.
Il segno è evidente: la potenza militare e statale è oramai secondaria.
Il capitale finanziario ha due manifestazioni in Occidente, l’America che lo unisce alla potenza militare, e l’Inghilterra che ne è priva: il futuro è dalla parte dell’Inghilterra che con Brexit vuole rifondare un Impero e si pone così in alternativa ed in termini di distacco rispetto non solo all’Europa ma anche all’America.
La guerra ed il conflitto bellico, che hanno segnato non solo il Novecento ma anche il primo ventennio del nuovo Millennio, hanno perso la centralità, in modo che i conflitti si condurranno su altro terreno e su altro piano.
Certamente, il cambiamento non è indolore, né meccanico, né automatico, né in un colpo solo, ma la strada è segnata e non si torna indietro.
Piuttosto, il vero nodo è un altro, vale a dire il rapporto tra le due anime del capitale finanziario, l’illimitatezza dell’accumulazione e l’illimitatezza della programmazione: Hilferding, dopo aver denunziato la prima, vide nella seconda il passaggio verso la democrazia ed il socialismo.
Qui l’errore è profondo, in quanto la programmazione è alla fine dominata dalla prima: è pertanto una programmazione che non riesce ad eliminare l’anarchia ed è dimidiata.
Non può essere una programmazione completa e piena in quanto il capitale senza accumulazione non è tale. L’illimitatezza dell’accumulazione è ineliminabile nel capitalismo in quanto ad esso consustanziale.
La programmazione sarà possibile solo quando il lavoro diventerà l’unica fonte del valore e si sostituirà al capitale e diventerà esso unico attore della programmazione.
La realtà si snoda secondo un processo opposto allo schema di Hilferding.
La programmazione non si realizzerà con l’assumere il controllo del capitale finanziario ma solo allorquando si utilizzeranno le potenzialità del capitale finanziario per eliminarlo.
Il capitale finanziario non è controllabile dalla programmazione ma dovrà essere sostituito dal lavoro quando questi prenderà in mano la programmazione.
Il capitale finanziario non è controllabile.
Nell’attuale fase economica, in cui il lavoro è svilito, l’unica programmazione possibile è quella in cui il capitale accetti forzatamente di essere controllato per impedire che l’illimitatezza dell’accumulazione diventi rovinosa.
E una programmazione temporanea ed effimera e richiede il ruolo decisivo delle Banche Centrali, uniche in grado di imporsi al capitale finanziario -è bene ricordarsi di quando Draghi, appena diventato Presidente della BCE, bloccò i “Credit Default Swap” e la speculazione contro l’Italia-, ma per far questo occorre riconsiderare il loro ruolo ed intendere il concetto di stabilità finanziaria in termini ben più ampi di quelli attuali e tali da incidere fortemente sulle dinamiche del capitale finanziario riducendo al minimo la speculazione.
Il passaggio dalla temporaneità della fase alla trasformazione del sistema passa per logiche ulteriori, in cui si crei un nesso organico tra programmazione e lotta di classe.
Nel parafrasare, come al solito e come conviene, “rectius” come d’uopo, Kypling, non si può non concludere “But, that’s another story”.
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