I VECCHI CONTENITORI NON CE LA FANNO PIU' - Incontro di Reset con Giuliano Amato e Francesco Rutelli, novembre-dicembre 2005

06 dicembre 2005

I VECCHI CONTENITORI NON CE LA FANNO PIU' - Incontro di Reset con Giuliano Amato e Francesco Rutelli, novembre-dicembre 2005

Pubblichiamo, anche se non condividiamo, il dialogo tra Amato e Rutelli sul tema del partito democratico

Reset: Le elezioni primarie del centrosinistra, il successo di Prodi e la discussione che ne è seguita sulla lista unitaria e sulla possibile «ristrutturazione» della coalizione fanno pensare che il progetto del Partito democratico possa uscire dalla dimensione leggendaria nella quale è stato già più volte evocato, ad esempio dopo le elezioni del 2001 dallo stesso Amato dopo l'esperienza dei comitati elettorali dell'Ulivo, prima ancora da Walter Veltroni e più recentemente in un libro da Michele Salvati. Fuori dalla leggenda per entrare nell'agenda. Siete d'accordo?

Amato: Il bisogno di una ristrutturazione dei partiti è un bisogno che, a mio avviso, esiste da tempo. Buona parte dei partiti che abbiamo sono nati oltre un secolo fa sui conflitti sociali e sulle identità che li hanno generati: ma oggi fronteggiamo conflitti e identità che sono largamente diversi. Non è pensa bile che i vecchi contenitori contengano con tanta facilità i nuovi contenuti. Un sintomo inquietante di questo mismatch è dato dalla eterogeneità e dalla tendenza alla divisione interna delle coalizioni che oggi si formano. Questo non significa che il mondo sia diventato ingovernabile: ma quella funzione di amalgama che i partiti hanno da decenni dimostrato di poter esercitare - allo scopo di smussare, riordinare e finalizzare in base a piattaforme comuni interessi diversi - oggi è più in difficoltà di quanto non sia accaduto in precedenza. Di qui viene la ragione della ristrutturazione, che è nata in chiave di analisi scientifica e politologica. In Italia è stata la Margherita, per quanto riguarda il centrosinistra, la prima espressione politica di questa esigenza, attraverso una nuova aggregazione di partiti pre-esistenti, che possa meglio corrispondere ai contenuti politici del nostro tempo. Anche il centrodestra, a suo modo, ha cercato una innovazione rispetto al passato. Ci ha provato facendo, se si vuole, di necessità virtù: nel nostro panorama politico tradizionalmente centripeto non c’era mai stato un centrodestra di governo e un ricco imprenditore, ricco anche di energia e fantasia, lo ha costruito attorno ad un suo nuovo partito che per più versi si è dimostrato anomalo, ma che ha comunque corrisposto ad un bisogno altrimenti insoddisfatto di rappresentanza.
Qual è la vera novità introdotta nel centro sinistra in questi giorni? La vera novità è che la esigenza di colmare la distanza fra contenitori e contenuti, emersa in sede di analisi, è stata convalidata da qualche milione di persone. È l'interpretazione unanime che è stata data delle primarie: per la inaspettata entità dei partecipanti e il senso unificante che l'esperienza ha avuto, per il fatto che il 75% che ha votato per Romano Prodi era un 75 % che raccoglieva l'indicazione che veniva comunque dai partiti che si erano riconosciuti nell'Ulivo. Non è più una questione alla quale sono sensibili soltanto gli studiosi del sistema politico; i cittadini non la manifestano più solo come malattia di una rappresentanza troppo frammentata. Eccoli qua a dire «si può fare»e a proporci di riprendere le fila di un discorso che non si può per questo chiudere in un giorno, ma che si avvia su un cammino che poggia su qualcosa di ben più solido delle analisi.

Rutelli: Anch'io credo che abbiamo avuto due fatti nuovi con un impatto di sistema. Il primo è la votazione della legge elettorale, il secondo sono le primarie. A riguardo del primo, dobbiamo essere consapevoli che sarà molto difficile cambiare la legge elettorale. Dopo la legge Mattarella nel '95, ci siamo assestati su un bipolarismo all'italiana, con Berlusconi elemento permanente di questi dodici anni, accanto ad altri elementi che sono venuti consolidandosi. Un nuovo cambiamento della legge elettorale sarà difficile che avvenga perché il centrosinistra, anche se vincerà le elezioni, ha al suo interno componenti significative - prima tra tutte Rifondazione - che non accetterebbero il ritorno al maggioritario.
Secondo cambiamento di sistema, la modalità di partecipazione che ha descritto Amato. Essa contiene tre elementi fondamentali: la forza tranquilla, la determinazione serena dei milioni di partecipanti; secondo, il rigetto massiccio, che trova un espressione quasi liberatoria, verso Berlusconi e il suo governo; terzo, la netta scelta di Prodi e, con lui, della linea delle forze democratico-riformiste. Se nelle primarie avessimo avuto un differente rapporto di forza non avremmo le condizioni per rendere questo 74% di quei 4 milioni e oltre di voti la potenziale base di una nuova esperienza comune.
Questi due cambiamenti hanno indotto una decisione politica: contrastiamo l'ineluttabile deriva competitiva tra i partiti con una decisione, un gesto politico.
Cambia molto rispetto a quello che avevamo deciso? Non tanto. La Margherita, messa sotto accusa per aver deciso di presentare proprie liste autonome, aveva deciso di presentare i propri candidati nelle liste dell'Unione alla Camera e al Senato e il proprio simbolo nella parte proporzionale della Camera (circa 100 seggi con simbolo autonomo su 950). La scelta che abbiamo fatto, Ds e Margherita insieme, tutto sommato non si discosta da quella scelta: in un sistema nel quale prevale fatalmente la competizione sulla cooperazione, abbiamo deciso di mantenere un'asse fondamentale di cooperazione presentandoci insieme per la Camera dei Deputati e di utilizzare questo strumento per dare a Prodi, scelto come leader della coalizione e della sua componente riformista e democratica, il luogo nel quale concorrere nella sua battaglia contro Berlusconi.
Ci siamo presentati alle europee sotto un simbolo unitario e lo stesso abbiamo fatto alle regionali per i 2/3 delle regioni: che noi si vada alle elezioni politiche con simboli unitari alla Camera e distinti al Senato appare dunque in continuità con questo processo che però, fondamentalmente, non ha visto in questi anni progredire l'integrazione tra i nostri partiti. Perché l’integrazione non ha avuto luogo, tanto meno nella forma di confluenza verso un unico soggetto politico? Mom per le insufficienti convergenze elettorali, ma perché ci sono alcune divergenze da definire. Identificare, oggi, in modo comune, l’approdo che abbiamo definito Partito Democratico significa, a mio avviso, quella che è stata una ambiguità costante: in reatà si è parlato e si è pensato di a un soggetto unico, a una “forza unitaria”, ma no la si è messa all’ordine del giorno nell’unico modo in cui era da farsi, in politica: configurando un progetto, e non solo un generico soggetto. Non si sono dunque compiuti i chiarimenti legati ad una esigenza di fondo: non tanto un contenitore, quanto un credibile progetto da dare al paese, ciò che si debba fare di fronte agli immensi cambiamenti della società italiana e europea. Ecco, fino ad ora si è parlato di contenitori, di imballaggi ed etichette, ma il vero tema sono i contenuti: in cosa deve consistere questo progetto? Perché deve rappresentare la risposta giusta da dare all'Italia che entra in una stagione tanto difficile e decisiva per il proprio futuro?

Reset: Ma quali sono le vie del transito verso l'appuntamento con un Partito democratico da costituirsi? Passano attraverso i contenuti: ma i contenuti non sono forse l'ostacolo? E la stessa ambiguità non vale per l'approdo europeo?

Amato:La ragione per la quale i vecchi contenitori sono in difficoltà ad amalgamare i temi nuovi è legata al fatto che essi sono impregnati di culture, tradizioni, sensi identitari: non sono dei semplici involucri neutri. La difficoltà che i contenuti del nostro tempo hanno a stare nei vecchi contenitori risiede nel fatto che essi non necessariamente riconoscono i confini che separano tradizioni e culture legate ai partiti pre-esistenti. Ho degli esempi elementari: oggi la convinzione che nella società nella quale viviamo, società postnucleare e postingegneria genetica, il tema religioso faccia parte del dibattito pubblico e si agganci al tema filosofico e alla politica è una consapevolezza che non può che essere comune. Se vi sono contenitori politici segnati da una tradizione che si ispira a principi di laicismo da XIX secolo è chiaro che questo ingresso della religione nel dibattito venga percepito come un conflitto, il che rende poi difficile gestirlo: verrà allora vissuto come interferenza, e si terrà a prescindere dal dibattito concreto per fermarsi alle pregiudiziali. Occorre che la politica e le stesse religioni accettino questo challenge.
Un altro esempio: ci sono diverse situazioni nelle quali le ragioni dei consumatori divergono dalle ragioni dei produttori o di alcuni dei produttori. Oggi noi abbiamo, lo viviamo, un conflitto latente - e ben più che latente - tra gli italiani, meno, che hanno lavoro nel tessile e gli italiani, molti di più, che fanno quadrare il loro bilancio mensile giusto perché esistono i negozi in cui comprare qualche capo di fattura cinese. Non voglio arrivare a concludere che i consumatori debbano prevalere sui produttori: dico che un partito ispirato ad una visione socialdemocratico-sindacale è indotto a non vederle neppure le ragioni dei consumatori, dando per scontato il dover garantire le ragioni dei produttori. Questo, per usare una locuzione retorica, in un mercato globalizzato non ha più senso: le risposte a queste domande non possono essere quelle che avremmo dato alcuni decenni fa. Si devono amalgamare i punti di vista per far emergere piattaforme che portino a identificare un partito o una forza politica in ragione di queste piattaforme. Chi muove da radici socialdemocratiche non può più identificarsi con le sole ragioni dei produttori; appartiene tuttavia a una cultura politica per me irrinunciabile (non a caso oggi enunciata da un partito, quello inglese, che è "laburista") sostenere che non si possono fare le liberalizzazioni senza raggiungere i «perdenti» che esse lasciano sul campo con interventi sociali e politiche attive del lavoro.

Reset: Ma il dualismo tra forma socialdemocratica e democratica si può risolvere?

Amato: Si deve risolvere, altrimenti è la fine del tentativo. E si può risolvere, come ho appena cercato di dire.

Rutelli: È un traguardo complesso. Le correnti che si ritrovano nella Margherita non devono pretendere di dire agli altri quello che possano o che debbano fare, tanto meno da dove debbano uscire; ma possono concorrere a decidere insieme dove andare, posto che partiamo da una posizione effettivamente in movimento. In un panorama politico italiano caratterizzato da scissioni, la Margherita è una formazione che ha aggregato tre partiti, il Partito Popolare, i Democratici e Rinnovamento Italiano, più altre correnti significative, dall'ambientalismo di Realacci al liberalismo di sinistra di Zanone. Di quei partiti, due appartenevano al partito popolare europeo e uno al Partito liberaldemocratico e hanno dato vita, insieme ad altre formazioni europee, a una prima aggregazione che ha oggi 26 deputati nel Parlamento Europeo in una alleanza, quella dei democratici liberali, di quasi 100 elementi. Naturalmente, partire da questo per dire che il nostro aggregato ancora fragile debba diventare un punto d'approdo rispetto al Partito socialista europeo e all'Internazionale socialista sarebbe velleitario.
Prima di venire ai contenuti, occorre aggiungere qualcosa sui contenitori. Potremo condividerne un «Pantheon" del futuro Partito Democratico? Arriveremo a mettere in comune dei padri? Proviamo a partire da lontano: Cattaneo, Gobetti, Rosselli, Sturzoo Ancora: qual è la possibile modalità strutturale di una sfida politica come questa? Mi pare che l'esperienza politica legata alla natura territoriale e istituzionale del nostro paese ci spinga a dire che la natura del nuovo soggetto non potrà non essere federale. Federale significa che oggi un partito siciliano è assai diverso da quello veneto, quello emiliano da quello pugliese e così via. Non c'è dubbio che dovremo avere una articolazione sensibile, oltre che all'assetto istituzionale del paese, alle diversitàsociali e culturali del territorio. Dovrà anche essere federativo, ovvero riunire culture e sensibilità organizzate diverse. Questo mi porta a un terzo aspetto. Come organizzare la presenza di questo nuovo partito? È un problema: abbiamo una grande tradiz.ione post-comunista, oggi prevalentemente socialdemocratica, nel senso nobile del termine, che trova elementi di rappresentanza fortemente collegati con istanze sociali organizzate (sindacato, cooperative e così via). È evidente se che il pluralismo dovrà essere la cifra culturale, l'autonomia tra politica e corpi intermedi sarà la cifra organizzativa di una forza che ambisca ad essere la prima del paese. Infme: quando parliamo di Partito Democratico, in che misura esso sarà un partito all'americana? Assai poco. È evidente che non ci riferiamo a un sistema, come quello americano, che prevede la formazione dei gruppi dirigenti attraverso il processo elettorale. Le nostre recenti primarie sono molto diverse dalle loro: quelle sono un pezzo del processo istituzionale, mentre le nostre sono un'espressione specifica della straordinaria passione partecipativa italiana. Il Partito Democratico sarà americano, dunque, non in termini culturali-organizzativi, ma piuttosto nella linea di un incontro tra valori e pragmatismo delle scelte. Non sarà «americano» neanche nel riferirsi a un modello sociale. Noi siamo e saremo dentro il modello sociale europeo. E sappiamo che lo potremo difendere solo rinnovando lo.

Amato: Il pantheon si può costruire: un genitore in comune possiamo metterlo nel pantheon, poi se qualcuno ritiene irrinunciabile l'altro genitore lo fa rimanere. anche se da parte!. Basta prendere i fratelli Rosselli, da sempre nel pantheon socialista in quanto liberalsocialisti, per segnare un punto d'incontro. Ci sono storie che continuano: è una vicenda all'insegna del pluralismo. Anni fa teorizzai il «partito Eta Beta», il partito senza ossa, senza scheletro burocratico e sono ancora convinto della necessità che sia articolato al suo interno, che debba tener conto delle particolarità regionali, fuori dalla rigidità burocratica dei partiti di una volta.
Per la soluzione del problema europeo: la proiezione nuova di un partito del nostro tempo è quella di un partito che partecipa di azioni e impostazioni politiche non solo nazionali. Questo è un limite delle vecchie famiglie politiche e dei loro aggregati sovranazionali. Non a caso non sono soddisfatto del Partito socialista europeo: è il contenitore organizzativo di partiti nazionali che stanno ancora troppo dentro la loro crosta, appunto, nazionale e che per questo producono linee comuni più esili di quanto servirebbe. E la prima a risentirne è l'Europa, nella sua voce e nei suoi indirizzi. Uscire da questa spessa crosta nazionale in modo da produrre orientamenti comuni fa parte del senso di nuove forze politiche del XXI secolo che ormai hanno come orizzonte non più lo Stato nazionale ma quei confini più ampi entro i quali si svolgono vicende di cui la politica deve intestarsi parte, responsabilità, capacità di regolazione. Da questo punto di vista vedo la possibilità di comporre forse gli stessi conflitti che oggi vediamo addirittura tra antagonisti e riformisti. Ci sono temi sollevati dagli antagonisti – con quello splendido slogan “Un altro mondo è possibile” – che sono sacrosanti, ma poi la ricerca delle risposte esige delle politiche che sono tipiche delle nostre culture riformiste e democratiche e che noi abbiamo il problema di portare su una scala più ampia, non di mutare nella loro qualità e natura.
Ciò può avvenire mettendo già ora insieme, in sedi che non hanno un’ufficialità politica come Policy Network, leader di partiti di tradizione socialdemocratica, liberaldemocratica o liberalsocialista: sono queste sperimentazioni che ci aiuteranno nel tempo a trovare una risposta.

Rutelli: Partiamo dall'Italia. Quello su cui si è abbastanza ironizzato negli anni Novanta, il cosiddetto «Ulivo mondiale», fu in realtà una pagina molto importante, una collaborazione tra forze di governo: un Partito Democratico Usa con Clinton motore dell'operazione, poi Blair, Schroeder, l'Ulivo italiano, un dialogo con le forze socialdemocratiche scandinave e altre esperienze. Oggi, il fatto che ci sia una crisi vera e seria dei democratici americani ci fa intravedere il cammino, ma ci priva dell’alleato operativo principale. In America c'è parecchio spazio tra Tom Delay e Michael Moore, ovvero tra il radicalismo di destra e quello di sinistra, e quello spazio dovrebbe appartenere proprio ai democratici. Lo spazio tra l'estremismo massimalista e il radicalismo di destra: chi lo deve occupare in Europa se non i democratici? Nel discorso di Gordon Brown all'ultimo Congresso dei laburisti si indicava proprio obiettivo di «egemonizzare» il centre ground. Blair ha rilanciato questo obiettivo per un possibile, storico quarto mandato dei laburisti. E questo vale anche per noi. Se in Italia nascesse, a capo di alcuni anni, un Partito Democratico - che avrebbe ben più di dieci milioni di voti - sarebbe una forza traino anche a livello internazionale. non una forza eccentrica.. La delegazione italiana di Uniti nell’Ulivo se fosse andata unita al Parlamento Europeo, sarebbe già stata leader per una nuora iniziativa politica.
E’ evidente che davanti a noi abbiamo un un cammino di collaborazione, fatto di contaminazioni culturali che passano attraverso i think-tank e i network di riflessione ed elaborazione politico-culturale, forme di collegamento tra le organizzazioni internazionali con una prospettiva che permetta di far nascere qualcosa di nuvoa. L’Italia è il paese dove questa riflessione è più presnte: l’esperienza democristiana è superata, ma una parte rilevante della cultura cristiano-democratica fa parte del centrosinistra, ed è una esperienza rara a livello internazionale. Sono assai pochi, infatti, i paesi al mondo dove i democristiani stanno coi socialisti: mi vengono in mente l'Italia e il Cile e poco altro. L'esperienza liberaldemocratica, pur elettoralmente minoritaria, con quella laico-riformista è ormai integrata nell'elaborazione politica dei progressisti italiani. ed è una particolarità italiana. frutto della sua storia. Questo processa di incontri diventerà un partito: per diventare un partito deve risolvere, sciogliere ancora alcuni nodi. L'alleanza internazionale e mi sembra che su questo con Amato siamo d'accordo - è un processo: procediamo per avvicinare culture e tradizioni.

Reset: Ma in che modo una ipotesi di iniziativa aggregante. che si mette in moto verso il Partito democratico, riesce a superare le divisioni riguardo le politiche economiche e sociali e quelle sulle questioni sensibili ai temi di ispirazione religiosa che dividono laici e cattolici?

Rutelli: Sul piano internazionale, insomma, ci siamo capiti: la Margherita non pone un ultimatum, ma un problema di prospettiva, che deve trovare una soluzione attraverso iniziative comuni, culturali e politiche, con forme di collegamento sempre più strette, incursioni amichevoli nelle rispettive «abitazioni». Ed è certo che noi non entreremo nel socialismo internazionale.
Ci sono altri aspetti che restano da definire: uno è il pluralismo culturale. Oggi i Democratici di Sinistra hanno una classe dirigente che nei vertici praticamente al 100% è formata da personalità che vengono dal Partito Comunista italiano. Il processo che va dal Pci al Pds ai Ds non ha visto integrazioni decisive nella linea di vertice del partito.
C'è dunque una dimensione di effettivo pluralismo interno, legata alla filiera del gruppo dirigente, e una relativa al pluralismo culturale. Il dibattito che abbiamo avuto nei referendum sulla fecondazione ha visto, nella Margherita, un pluralismo espressivo di diverse posizioni: abbiamo avuto astensioni (la maggioranza), voti favorevoli (parecchi), contrari (alcuni). Siamo stati esattamente nella media dell'elettorato italiano. Tutti i nostri alleati, no. Questo è un tema, alla luce del responso delle urne. Quale pluralismo riusciamo a mettere in campo?
Nelle materie eticamente sensibili, in particolare, non possono esistere posizioni cristallizzate.
Questo pluralismo io lo definirei, essenzialmente, e nel senso maturo del termine, laicità. Non laicismo, non confessionalismo, ma laicità.
L'altro aspetto è l'autonomia della politica rispetto ai corpi intermedi, all'economia, alle parti sociali. Credo molto nella posizione della Cisl sull'autonomia dei soggetti sociali rispetto ai governi e ai partiti: è un ottimo esempio. È un insegnamento che ha tanta parte delle sue radici nella cultura sindacale italiana e dice che è possibile stabilire un accordo con un governo del quale si è culturalmente avversari e non trovarlo con un governo del quale si sia culturalmente amici. E veniamo finalmente al tema del merito. Secondo me, i contenuti dobbiamo avere il coraggio di metterli in campo come fattori costitutivi del cambiamento. Scegliamo allora dei «miti» di riferimento per il Partito Democratico. lo metterei al lavoro il mito di Prometeo e uno speciale mito di Cristoforo Colombo: liberiamoci - e oggi non significa più necessariamente liberarsi dalle catene dell'oppressione sociale, quanto da tante costrizioni e bardature che limitano le libertà, anche quelle dell'economia - e affidiamo alla sorte la capacità di raggiungere l'Occidente pensando di andare ad Oriente.

Reset: Rimane il problema del primo passo, il primo appuntamento nel quale parlare di questa prospettiva: quale può essere?

Amato: Più ci si incontra tra leader di partiti vicini ma diversi, più si rende possibile che poi si arrivi ad accettare di stare in un unico partito, sia pure plurale. Appuntamenti di questo genere preparano sia la cultura politica sia la politica all'incontro finale. Si tratta di vedere se in sede più direttamente nazionale si possano moltiplicare questi incontri chiamando a prendervi parte, in quella visione regionalizzata di cui Rutelli parlava, quelle tante persone che ora conosciamo, che hanno fIrmato e che sono evidentemente più che disponibili a collaborare con noi. Ora, nella fase di stesura del programma, già abbiamo degli appuntamenti possibili perché ci saranno delle assemblee regionali. Sarebbe utile che in primo luogo i partiti dell'Ulivo facessero su questi temi, che sono temi di valutazione e ricognizione, delle assemblee comuni che facilitino la partecipazione di queste terze fIgure che sono poi le più numerose. Dopo le elezioni ci saranno i problemi dei gruppi parlamentari: lì coloro che se ne occupano dovranno studiare con attenzione qual è la formula che meglio si adatta. Sottolineo che il gruppo federativo o viene riconosciuto dai regolamenti parlamentari o non esiste. Mentre già oggi federativo può essere reso nella realtà il gruppo così com'è. Basti pensare al gruppo misto, il quale ha la stessa regolamentazione degli altri gruppi, ma sfrutta una possibilità che gli altri non utilizzano, ovvero la divisione in sottogruppi. Avremmo bisogno che il gruppo federativo spostasse di un piano questo tipo di organizzazione, altrimenti rischiamo di trovarci di fronte a un problema. Sulla questione del tema religioso non posso non vedere il pluralismo, ma forse non basta se ciascuno rimane alle posizioni del passato. Le religioni saranno sempre più importanti nel dibattito pubblico: o ciascuno capisce le ragioni degli altri anche non dando necessariamente ragione oppure tutto va a carte quarantotto, ferme restando le posizioni differenziate che possono rimanere su singole soluzioni.
L'ultima cosa sui temi economico-sociali: io sono uno di quelli convinti che la nostra derivazione socialista e quella più liberaldemocratica e cattolico-popolare possano trovare una possibilità di intesa. Ho passato tutti questi anni trovandomi regolarmente d'accordo nella ricerca di soluzione con persone che hanno un background cattolicopopolare, liberaldemocratico. In questi anni di esperienza parlamentare l' Amato- Treu è stata una coppia ben più efficiente della coppia... Totti-Cassano.

Reset: Qual è il rapporto tra questi ipotetici primi passi e la prossima tornata elettorale: si riesce ad evitare quello che accade a Venezia, anche se lì è fInita bene, o a Milano?

Rutelli: Non dimentichiamo però i risultati buoni. Quelle sono eccezioni importanti, specchio di divergenze anche signifIcative, ma finora è prevalsa nettamente la convergenza. Venezia è stato un estremo; per Milano personalmente non ero contrario a Veronesi: ho il sospetto che, fondamentalmente, i motivi del rifIuto finale fossero più propri di Veronesi che non della politica locale (che magari si è manifestata anche un po' ingenuamente).
Considero affascinante l'idea che nei prossimi tempi noi ci possiamo confrontare sulle scelte, sui contenuti e le proposte politiche di un futuro Partito Democratico: un partito che usi la parola patria" senza spaventarsene: che definisca l’Europa “seconda patria degli italiani”; investa sul multilateralismo, a livello internazionale, come necessario strumento di composizione, di sintesi delle derive di separazione nazionale e delle insidie della globalizzazione. Penso anche all'università. Ci siamo compattati con un rigetto della proposta Moratti, ma non siamo però così tonici nelle proposte positive, sia sull'università che, per certi versi, sulla scuola. Puntiamo, nell'istruzione, su provvedimenti, misure, scelte specifiche anziché passare legislature intere a scannarci sull’ordinamento da rifomare. Siamo liberalizzatori in economia, favorevoli alla concorrenza e favorevoli ad ammortizzare le misure concorrenziali con gli ammortizzatori necessari. Ci sentiamo interpellati dalla necessità di modernizzare il modello sociale europeo.
Ancora: sicurezza, è una parola che ci riguarda. È una parola che deve essere nostra, che va coniugata in modo non retorico con il concetto di legalità. Lo spiego con una mia esperienza di sindaco: se entro in un campo nomadi e trovo una Ferrari e sette Bmw di lusso, c'è qualcosa che non va. Non c'è solo un problema di bambini tenuti nel degrado, che vanno portati a scuola e probabilmente tolti a quegli pseudogenitori, poiché scelgono di non farli vivere decentemente. Il vero problema è che non possiamo avere un doppio standard sulle questioni della convivenza e della sicurezza.
Un altro grande tema, infine, è quello dell'ambiente: se in America irrompe un uragano a settimana è perché si è innalzata di due gradi la temperatura nel mare caraibico e non è ragionevole che ciò sia indipendente dal processo di inquinamento globale. Ho indicato, insomma, alcune grandi questioni, ma possiamo assumerne sicuramente anche altre. All'ordine del giorno di un futuro Partito Democratico saranno riforme, decisioni concrete e una fondamentale caratterizzazione di governo.

Reset: Nella campagna elettorale parlerete di Partito democratico?

Rutelli: Sì ma senza farne un uso strumentale. È una cosa seria, e sarà realizzata al termine di una grande sfida progettuale: non deve essere una predicazione, una competizione tra di noi su chi è più favorevole al Partito Democratico e chi meno. Costruiamone per davvero le condizioni.

Reset: Questa prudenza ci fa pensare che le intenzioni effettivamente ci siano. La prudenza è avara di concessioni alla platea ma significa qualcosa.

Amato:Sì, in genere quando si è prudenti… vuol dire che si è seri.

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