I SURFER E LA CRISI DEI PARTITI POLITICI, di Beppe Nigro, domenica 12 dicembre 2010
22 dicembre 2010
Comunque vada a finire il voto del 14 dicembre, la crisi dei partiti politici della seconda repubblica e del suo ceto politico è sotto gli occhi di tutti.
Nel Pd la crisi è palmare, anche se non ha ancora assunto aspetti clamorosi. Non è l'episodio di Matteo Renzi che si reca ad Arcore da Berlusconi a difendere gli interessi di Firenze a rappresentare il problema. Più interessante, per la storia che rappresenta, il caso del senatore Maurizio Fistarol, ex sindaco di Belluno, coordinatore nazionale dei forum tematici che esce dal Pd per entrare nel gruppo misto, dichiarando: «non è quello che pensavo. L’amalgama tra storie, culture e sensibilità che doveva comporlo, non è riuscita».
Il caso di Calearo è storia minore, semmai va preso a simbolo della deriva della cultura politica del veltronismo che pensava con il reclutamento di un duro di Federmeccanica di aver costruito la variante italiana del partito democratico americano. Come è finita è sotto gli occhi di tutti.
Il caso più eclatante però è quello del partito di Di Pietro, l'IdV. Nato come soggetto per moralizzare la politica, si ritrova al contrario personaggi disponibili a fare il cosiddetto "salto della quaglia" per un bel po' di denari. C'è da chiedersi come abbia fatto il duro Di Pietro a selezionare un ceto politico fra i peggiori nel mercato partitico. Una spiegazione c'è ovviamente: il partito di Di Pietro era l'unico che consentiva di essere eletti, così non c'è da stupirsi se dall'on. Aurelio Misiti, ai deputati Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, di fronte alla crisi di governo e probabili nuove elezioni, si assiste a "tradimenti" per meglio far fruttare la carriera politica.
Sul centrodestra risparmiamo commenti: nel PdL non si brilla certo per etica pubblica, la "mignottocrazia" docet. La lotta politica per l'egemonia in quel campo ha raggiunto livelli elevati e Fini e Berlusconi si contendono furiosamente la leadership. Non mi stupirei se momentaneamente, però, finisse tutto a tarallucci e vino.
Non manca neppure il caso del socialista Boselli, fulminato dall'API di Rutelli. In ambienti accreditati c'era chi scommetteva che dopo il nobile ritiro che lo aveva collocato in un orgoglioso e meditabondo silenzio, sarebbe ritornato di fronte ad un potenziale posto in parlamento.
Non vorrei dimenticare la Lega Nord. In questi giorni sono in edicola almeno due libri che vanno ricordati (Metastasi, di Gianluigi Nuzzi e Il libro che la Lega nord non ti farebbe mai leggere di Eleonora Biancherini), sono indagini che turbano e soprattutto mettono a nudo che il movimento di Bossi e la sua classe politica, ha perso la sua aura di incorrotta diversità.
I problemi della nostra democrazia sono quindi il prodotto dei surfer, politici capaci di cogliere l'onda e adattarsi al sistema politico, oppure il risultato di un deficit delle élite politiche, della natura precaria della transizione italiana?
La crisi di questi giorni che molti confrontano con quella del 1992 mette a nudo come il giustizialismo non risolva il problema fra professionismo politico e qualità della democrazia. Le democrazie senza il professionismo politico non reggono, vero è che un professionismo politico senza regole è come il liberismo selvaggio. Vent'anni sprecati mi verrebbe da dire.
È maturo il momento per affrontare questo problema? Non abbiamo bisogno di moralismo, ma di definire nuove regole per i partiti politici, senza i quali viene meno il luogo in cui si mediano gli interessi con le passioni. Una legge per regolare i principi generali di funzionamento dei partiti politici non è più rinviabile, pena la crisi perenne della democrazia italiana. C'è nel paese tanta politica locale, una riserva della democrazia italiana che si crede "società civile" mentre dovrebbe porsi questo problema, invece di inseguire inutili luoghi incontaminati. L'etica va mediata con l'opacità del reale ci ricorda il teologo Vito Mancuso, altrimenti è solo immaturità.