I SOCIALISTI, LA “CARTA D’INTENTI” E IL FONDALE ROSSO di Mauro Terlizzi

17 settembre 2012

I SOCIALISTI,  LA “CARTA D’INTENTI” E IL FONDALE ROSSO di Mauro Terlizzi

Il paradosso, talvolta drammatico, delle formazioni d’avanguardia è quello di veder riconosciute le proprie ragioni e, quindi, venir “assorbite” dalla moltitudine che le sottoscrive. I socialisti italiani, al netto del reducismo auto-compassionevole, nel centrosinistra nazionale degli ultimi vent’anni all’avanguardia lo sono stati e, su temi e profili salienti, continuano ad esserlo. Basti pensare alla cocciuta caparbietà con cui hanno difeso l’idea stessa di un “campo” della sinistra, riformista e di governo, di fronte all’opprimente pensiero unico della fine delle ideologie e delle identità o di come hanno insistito - ed insistono – nel tenere unite le libertà civili con quelle economiche in una chiave di laicità e piena legalità. Di come, in ultimo, a fronte di vere e proprie involuzioni culturali nazionali (come “il PD non è un partito di sinistra” dichiarato da Veltroni all’indomani della sua elezione a segretario), hanno sempre tenuto funzionante e ben manutenuta la relazione con il Socialismo europeo, come campo comune e come singole forze nazionali. E l’elenco potrebbe continuare. Ma oggi, dopo un Bersani che, con alle spalle un fondale tutto rosso come nelle migliori tradizioni socialiste e laburiste continentali, attraverso la sua “carta d’intenti” dice, praticamente, ai socialisti: “sono d’accordo con voi, avevate centrato temi, termini e obiettivi”, cosa devono fare gli stessi? Come tutte le avanguardie che si rispettino, una volta fattesi raggiungere dalla “maggioranza” fino a quel momento alle spalle, con la stessa si ricongiungono? Oppure, non esauriscono il loro compito dinamico e pongono e si pongono nuovi obiettivi conseguenti? Se proviamo per un attimo ad astrarci dalla possibile nuova legge elettorale in gestazione (anche se, passasse il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, qualche riflessione andrebbe fatta…) e traguardassimo un po’ più in la, all’Europa e alla sua possibilità epocale di effettiva unione politica federale oltre che economica e fiscale, l’opzione sarebbe quella di continuare ad esserci, anzi, di esserci con maggior vigore. Perché se l’obiettivo strategico possono davvero essere gli Stati Uniti d’Europa, è naturale pensare al Partito del Socialismo Europeo come corpo unico effettivo e non, come oggi, coordinamento di partiti nazionali con gruppo unico transnazionale al Parlamento di Strasburgo. E allora, chi meglio dei socialisti italiani, avanguardia del socialismo continentale, può tenere alta la bandiera e permettere al PD di compiere pienamente la sua ineluttabile evoluzione “europea”? Forse occorre pensare a nuove dimensioni e forme dell’agire politico, forse la forma organizzata fin qui vissuta non è sufficiente a superare la mera sopravvivenza e supportare una nuova stagione. Forse, sarebbe meglio pensare al varo di un “Movimento per il Socialismo Europeo” (e ad una possibile offerta elettorale di “Socialisti Europei”), capace di attrarre, elettoralmente e non, centralmente e in periferia, figure, organizzazioni e realtà che quel profilo culturale hanno sempre riconosciuto come proprio e che permetterebbe la non dispersione di forze non immediatamente rappresentabili dal PD di oggi, ancora agli inizi della sua evoluzione. E’ vero, oggi presupporre due sinistre, una riformista e di governo e una di “testimonianza” e radicale può sembrare anacronistico (anche questa volta, i socialisti all’avanguardia!!); ma è stolto non vedere che questo anacronismo, alimentato dal ventennio grigio della 2° Repubblica, purtroppo in Italia è ancora vivo e vegeto. Ha ragione Bersani: se si è per il popolo, il nemico è il populismo (e il giustizialismo assolutista, mi permetto di aggiungere). E chi meglio dei socialisti europei-italiani può aiutarlo a vincere su questo presupposto?

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