I SOCIALISTI E LE ELEZIONI 2013-2018. CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO di Alberto Benzoni
12 aprile 2019
Mancano pochi giorni dalla chiusura delle liste. E il quadro è questo: per la prima volta nella storia del nostro paesi i socialisti saranno totalmente assenti dal parlamento europeo. E non solo perché non in grado di presentare una propria lista; ma anche perché non ci saranno socialisti eletti nelle altre liste; e perché, in linea generale, il richiamo, anche puramente formale, al socialismo sarà totalmente assente nel dibattito politico e culturale.
Aggiungiamo subito, a scanso di equivoci, che il disastro è generale. Perché colpisce sia i socialisti che hanno votato sì al referendum del 2016 sia quelli che hanno votato no. “Ragion per cui” nessuno di noi, dico nessuno di noi è in grado di scagliare la prima pietra. Siamo di fronte ad una pagina che è, insieme, nera per quanto riguarda il passato e bianca per quanto riguarda il futuro. Ma, per essere in grado di scriverci qualcosa sopra, dobbiamo capire fino in fondo cos’è successo e perché e per colpa di chi.
Ciò che è successo al Psi ce lo racconta, e con onestà intellettuale, l’attuale segretario, Marajo. Ci spiega che: con il congresso di fine marzo sono scomparse dal tavolo le amenità nenciniane del grande accordo con Turco; per tornare alla prosaicità delle necessità elettorali immediate. E, allora, per prima cosa, si chiede al Pse l’uso del simbolo, uso che viene negato con il pretesto, leggermente insultante, del mancato pagamento delle quote di iscrizione. Si passa poi alla richiesta di un accordo con il Pd, prima attraverso l’intercessione di Speranza poi con approccio diretto; ma anche questo viene negato. Per arrivare, infine, al disegno propugnato dalla minoranza: l’accordo, formalmente politico, con “+ Europa”. Il che porta, a prescindere da qualsiasi valutazione di merito, al formale allineamento con una formazione iperliberista e senza alcuna garanzia per le candidature. Ci si dirà che, nelle circostanze date, non si poteva fare di meglio; resta il fatto che le circostanze erano le peggiori possibili.
Ciò che è successo alla minoranza del Psi, poi ritrovatasi politicamente nel no a Renzi e alla sua riforma costituzionale, posso raccontarvelo io. Teoricamente la via maestra era quella di formare, sulla base del nostro, un partito socialista di sinistra. Nel concreto questa ipotesi non c’è mai passata per la mente: da una parte perché ancora invischiati nelle vicende del Psi, senza avere la forza e la capacità di cambiarle; dall’altra perché ritenevamo l’identitarismo una via senza uscita; dall’altra perché ritenevamo di potere essere partecipi riconosciuti di un processo di aggregazione a sinistra. Ma così non è stato: sia perché le due ipotesi aggregatrici a livello europeo, quella di Varoufakis e quella di Mèlènchon non si sono minimamente realizzate, sia perché quello che restava sul campo, la cultura comunista arrendevole e quella settaria potevano al massimo tollerarci ma non riconoscerci. Così oggi i transfughi del Pd fanno la coda per partecipare ad un accordo “tecnico”con Zingaretti; la “sinistra” raggruppa tutte le del tutto irrilevanti comuniste d’Europa; mentre Potere al popolo si chiama fuori, in nome della purezza ideologica, dall’appuntamento europeo.
Così, alla fine dei giochi, ne siamo completamente fuori. E, con noi, non avranno rappresentanza tutti coloro cui abbiamo fatto appello nel documento “socialismo o barbarie” senza, però, essere in grado di raggiungerli, insomma, contestano l’ordine esistente e, al tempo stesso, il populismo fascistoide in nome dei valori e dei principi del socialismo democratico.
Queste brevi considerazioni ci consentono di rispondere facilmente alle due domande conclusive; Al “perché” e “per colpa di chi” tutto questo è successo. E’ successo in Italia e solo in Italia: perché solo in Italia e i socialisti come forza politica sono considerati politicamente, elettoralmente e idealmente irrilevanti; perché il Pse esiste solo come ammuffito centro di potere; e per colpa di una sinistra egemonizzata e soffocata dal Pd e dai suoi satelliti che, dopo la caduta del muro, non solo si è arresa ma è passata armi ( e soprattutto bagagli) nel campo dei vincitori, compiendo un atto di abiura che non può tollerare ripensamenti.
Ma è successo anche per colpa nostra. Prima del 2013 perché non abbiamo capito veramente che Mani pulite aveva segnato non solo la “damnatio” dei socialisti nella loro versione craxiana; ma anche e soprattutto del socialismo come cultura politica e visione del mondo, al punto di non dire o fare nulla per difenderla e riproporla. Dopo il 2013 perché, avendo rinunciato a presentare la nostra lista quando c’erano tutte le possibilità di presentarla, siamo scesi lungo un pendio, riducendoci, via via, ad aspiranti clienti di altri, e massimamente del Pd e senza offrire in cambio fedeltà e voti. O perché gli oppositori di Nencini si sono dimostrati del tutto incapaci di muoversi collettivamente così da diventare collettivamente anch’essi irrilevanti.
“Domani è un altro giorno”, diceva Rossella O’Hara. Ma perché aveva una casa da cui ripartire. Forse sarà il caso di cominciare a ricostruirla. Ma, per amore di Dio, non per noi e tra di noi, continuando a guardarci l’ombelico; ma, da subito, insieme ad altri e per altri; per tutti quelli che hanno bisogno di socialismo e non lo sanno; e non certo per loro colpa.
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