I POVERI E LA SINISTRA: UN SONDAGGIO RIVELATORE di Alberto Benzoni del 10 gennaio 2022
10 gennaio 2022
Sappiamo tutti bene che la
parola “poveri” appartiene, da sempre, alla Chiesa; mentre, da due secoli a
questa parte, non fa parte del linguaggio della sinistra. Per la sua componente
popolare e poi populista abbiamo avuto i “senza mutande” e, poi, i “senza camicia”.
Nella versione storicamente consolidata, prima “proletari”, poi “operai e
contadini”; e, infine, “Movimento operaio”. Tutta roba, inutile dirlo, oggi
passata di moda.
Nel tempo presente, però, e
così anche in Italia, la parola “poveri” è tornata d’attualità; magari
mascherata nel termine più neutro: “popolo”. A dare una definizione comune di
quell’insieme eterogeneo di persone che, per varie ragioni, sono, o comunque si
sentono emarginate, se non ignorate dall’attuale sistema. Nelle diverse ma tra
loro coincidenti vesti di giovani, operai o disoccupati, dotati di titoli di
studio come di livelli di reddito medio-bassi o bassi e, infine, meridionali.
E qui, il sondaggio di
Pagnoncelli (Corriere della Sera 31 dicembre) relativo al peso di queste
categorie nelle intenzioni di voto per i 5 maggiori partiti è particolarmente
illuminante.
Così l’elettorato del Pd è
composto per il 19% da giovani e per il 30% da anziani; per il 20% da operai e
disoccupati e per il 52% da pensionati, impiegati e insegnanti; per il 38% da
titolari di licenza elementare e media per il 25% da laureati; per il 28% da
percettori di redditi bassi o medio-bassi a fronte di un 48% di redditi alti o
medio alti; e, infine, da un 16% di abitanti nel sud e nelle isole a fronte di
un 30% di residenti nel nord-ovest
Per dirla in sintesi un
elettorato più vecchio, più garantito, più ricco, più istruito, più
“territorialmente favorito” sia rispetto alla composizione nazionale
dell’elettorato sia e soprattutto, più o meno nettamente, rispetto agli elettori
degli altri partiti.
Un elettorato di destra? Non
necessariamente. Diciamo piuttosto, un elettorato che corrisponde esattamente
alla natura del partito: categorie protette, più classi dirigenti illuminate e
pensose del pubblico bene alla luce del politicamente corretto. Nulla che si
richiami alla materialità dei bisogni e dei conflitti; e alla volgarità
quotidiana della politica. Nulla, in sintesi, che sappia interessare le
categorie sfavorite. Tutto che spinge nel senso di trasformare il Pd in una specie
di pilastro e garante del sistema. Nulla che possa favorire sue eventuali
ambizioni alternative.
Ora, sembra quanto meno
difficile che questo stato di cose possa essere modificato nel lasso di tempo
che ci separa dal prossimo appuntamento elettorale. Determinando così un vuoto
di consenso che, tenendo anche conto del fenomeno massiccio del non voto,
acquista dimensioni politicamente molto rilevanti.
Ci si può chiedere, a questo
punto, verso chi siano andati questi voti. E, ancora, se ce ne fosse uno, quale
sia il partito sovra rappresentato nel mondo dei poveri. Due interrogativi che,
nel sondaggio, trovano una risposta abbastanza chiara.
In primo luogo si chiarisce
definitivamente che il voto delle categorie sfavorite (operai compresi)
favorisce nettamente lo schieramento di centrodestra almeno rispetto al Pd.
Segno che l’egemonia del centro-destra nella rappresentazione della realtà
italiana tocca argomenti cui il vecchio popolo di sinistra è particolarmente
sensibile (e che non possono essere tacciati “tout court” di razzismo). Per
altro verso, e questo è sorprendente, emerge che il M5S (dato per morto da
tutti i commentatori politici) mantiene un livello di consensi tra il 15 e il
20%; e che, in questo consenso, è particolarmente elevata la presenza del
popolo di riferimento della sinistra che fu che fu: giovani, operai,
disoccupati, condizioni di disagio economico, meridionali.
Arrivati a questo punto
rimangono aperti due grandi punti interrogativi. Il primo riguarda la capacità
del M5S di vedere quello che c’è per lui all’uscita dal tunnel in cui si è
cacciato da solo. Il secondo ha a che fare con lo stato di salute del rapporto
con il Pd che, almeno per ora, non contempla iniziative e progetti comuni e che
trova il suo patrocinio intellettuale in quella vera e propria calamità
individuali che si chiama Goffredo Bettini. Due questioni in cui sperare è
d’obbligo; ma nutrire fiducia molto meno.
Manca, infine, in questo
ambiente, quella che dovrebbe esserne la componente essenziale; leggi una
formazione e una cultura socialdemocratica. Ma, semplicemente perché quelli che
dovrebbero esserne i protagonisti non hanno dato, almeno per ora, alcun segno
di vita.