I DUE LEADER DI DS E SDI A CONFRONTO SU LAICITÀ E QUESTIONE VATICANA Fassino: «I socialisti stiano con i Democrat». Boselli: «Mai insieme con Rutelli e i clericali». Da Il Riformista del 22 marzo 2007
26 marzo 2007
Forse val la pena partire dalla fine. Quando, dopo quasi due ore di confronto tra di loro e con la redazione del Riformista, dopo che Piero Fassino ha spiegato perché secondo lui la nascita del Partito democratico è la risposta giusta anche alla soluzione della questione socialista ed Enrico Boselli ha invece obiettato che la fondazione del nuovo soggetto rende ancora più urgente l'avvio di una costituente socialista alternativa al Pd, dopo una disputa molto serrata su laicità, questione vaticana e fattibilità di un'alleanza con Rutelli e la Margherita, il segretario ds non si rassegna alla biforcazione dei destini di Quercia e Sdi e lancia un ultimo appello: «Perché - chiede a Boselli - non costruisci questo percorso di ricostituzione di un'area socialista finalizzandolo all'approdo nel Pd?». Ne nasce un botta e risposta pepato. «Del perché non sia possibile - risponde il leader dello Sdi - ne abbiamo discusso qui due ore. Perché non rinunciate voi a questo progetto e ci mettiamo insieme a costruire un grande partito socialdemocratico?». E Fassino: «Quando ve l'abbiamo chiesto noi nel 2005, rivelo un particolare ignoto alla stampa, e vi abbiamo proposto di andare insieme alle elezioni avete risposto di no». Boselli: «Le cose non stanno così, era già nata la Rosa nel pugno». Fassino: «Non è vero. Mi hai detto che ci avresti pensato, poi ti sei accordato con Pannella». Boselli: «Non è così, e tu sei ancora a fare il compromesso storico tra comunisti e cattolici». Fassino: «Io in due ore non ho mai pronunciato la parola comunista. Per me è una storia archiviata». Boselli: «Ma se mi citi Gramsci e Berlinguer!». Fassino: «Fanno parte della storia!». Boselli: «Ma quale storia? Come fai a sostenere che Gramsci, Berlinguer e Togliatti sono la stessa cosa di Turati, Matteotti e Nenni...». Fassino: «Vabbè, ma allora vuoi ricominciare da Livorno. Sostieni che non debbo fare il partito con Rutelli bensì con te e poi mi dici queste cose». Boselli: «Ma se tu vuoi fare il socialdemocratico non mi citi Berlinguer. Se ti tieni la tua storia c'è un problema». Fassino: «Ma perché, tu non ti tieni la tua?». Boselli: «Ma la mia storia ha vinto!». Fassino: «Non sempre». Boselli: «La socialdemocrazia europea non ha i partiti cattolici dentro». Fassino: «Ma gli altri non hanno il papato in casa». Come si può facilmente dedurre, Fassino non ha convinto Boselli. E viceversa. Per ora Ds e Sdi andranno avanti lungo strade diverse. Per le ragioni che seguono e che sono l'articolazione, in forma più estesa e dialettica, del duello verbale appena riportato. Pd sì, Pd no. Sostiene Boselli: «È vero che il riformismo non ha mai avuto nel nostro paese la vocazione maggioritaria che ha avuto in altre nazioni europee. Io penso che questo deficit non nasce al congresso di Livorno, ma molto prima quando, appena formato lo stato unitario, i cattolici imboccano una strada distinta da quella del movimento operaio, repubblicano, laico. Il tema lanciato da Prodi a Ventotene nel 2002, dare finalmente al riformismo italiano questa vocazione maggioritaria contaminando tradizioni diverse, l'ho sempre trovato giusto e interessante. Questa è la ragione per cui noi dello Sdi aprimmo fin dal primo giorno alla proposta di Prodi. Ma noi adesso dobbiamo chiederci, perché questa è la domanda, se il Pd oggi in costruzione risponde a quella impostazione o no. O meglio, se il Pd è qualcosa di più avanzato rispetto alle forze socialdemocratiche che ci sono in tutta Europa. La mia risposta è no. Non solo non è più avanzato, ma è qualcosa di più arretrato. Come è possibile fare un partito mettendo insieme Binetti e Mussi, Bobba e Angius? Basta aprire un quotidiano ogni mattina e chiederci, come Di Pietro, che c'azzecca?». Fassino sintetizza così le ragioni della fondazione del Pd: «L'obiettivo è dare una rappresentanza unitaria al riformismo plurale delle culture politiche italiane. Mentre in tutta Europa nel dopoguerra il riformismo ha trovato espressione in grandi partiti unitari, in Italia non è stato così. Ecco, io penso che le ragioni che hanno impedito la formazione anche nel nostro paese di un soggetto simile stiano tutte alle nostre spalle, perché affondavano le loro radici in uno scenario novecentesco, quello precedente al novembre del 1989. Dalla caduta del muro di Berlino è venuto maturando un processo di ricollocazione delle diverse culture riformiste italiane che ha già avuto un primo luogo di incontro e unità, l'Ulivo. Riformismi che fino a ieri erano rappresentati da partiti non solo separati ma addirittura antagonisti si sono riconosciuti, hanno costruito una comune lettura della società italiana e un comune progetto politico. Se noi oggi possiamo fare il Pd è perché abbiamo alle spalle dodici anni di Ulivo». Compromesso storico? Fassino: «Quali sono le ragioni per cui oggi i socialisti dicono di non voler entrare nella fase costituente del Pd? Si dice: il Pd è la riproposizione del compromesso storico. Non è così. Non c'è più quello scenario, non c'è più il Pci, non c'è più la Dc. Parlare di compromesso storico solo perché nel progetto si ritrovano le culture che appartengono alla storia della sinistra e del cattolicesimo democratico è una trasposizione e comparazione del tutto infondata. Non solo, ma io ho sempre sottolineato che non si può pensare alla costruzione del Partito Democratico senza che una delle sue radici fondanti sia il riformismo socialista. L'ho scritto chiaro nella mia mozione congressuale e nessun dirigente che viene dalla mia storia ha mai riconosciuto un peso tale al valore e alla storia della tradizione socialista». Questa invece l'opinione di Boselli: «Piero, ho letto la tua mozione. E con affetto ti dico: che c'entra Gramsci con Turati, Togliatti con Nenni, Craxi con Berlinguer? C'è il pantheon della storia comunista e c'è il pantheon della storia socialista. Ma bisogna scegliere. Perché Gramsci era un rivoluzionario, non un riformista. Per capire perché lo Sdi si è tirato indietro, non si deve dimenticare un passaggio fondamentale, che non sono le primarie di Prodi, ma la scelta che nel 2005 la Margherita compie di non partecipare come Ulivo alle politiche nella quota proporzionale e contemporaneamente di sostenere la campagna astensionista del cardinal Ruini sul referendum sulla procreazione assistita. Lì finisce la storia dell'Ulivo. Questo passaggio spiega ciò che è avvenuto nella società italiana, e non solo nella sinistra, nei due anni successivi, e che ha a che fare con la battaglia sui diritti fondamentali della persona. Il problema non sono io, il problema è che tu fai un'alleanza con un partito cambiato profondamente. Nella sua deriva clericale, la Margherita vive una paradossale rincorsa tra popolari e Rutelli, dove la componente popolare appare molto meno clericale di Rutelli che ha un atteggiamento, vogliamo dire proclive?, non verso la Chiesa ma verso le gerarchie ecclesiastiche. È con loro che ti stai alleando, coi clericali. Nel Pd si incontrano due storie nobilissime, quella comunista e della del cattolicesimo democratico, ma come si può dire che non è un compromesso storico bonsai?». La questione cattolica. A un certo punto del confronto, la discussione si concentra a lungo sulla tema della laicità. Dice Fassino: «Quella di Boselli mi pare una impostazione asfittica. Il vero tema è che siamo tutti di fronte a problemi nuovi, che ci impongono di ripensare delle risposte su grandi domande che toccano il futuro dell'umanità. Il dialogo Ratzinger-Habermas è una testimonianza che un uomo di fede e un laico magari danno risposte diverse, però si pongono gli stessi interrogativi. Non mi convince una discussione che sia tutta centrata su noi che definiamo “oscurantista” la Chiesa e la Chiesa che ci dà dei “libertini”. Questo dibattito non porta da nessuna parte. Le forze di sinistra devono promuovere una nuova stagione di dialogo tra credenti e non credenti. I cambiamenti climatici legati al modello di sviluppo, l'intervento della scienza e della tecnologia nella vita quotidiana, le modifiche delle composizioni sociali impongono una riflessione comune. E attenzione a non costruirci una rappresentazione di comodo del mondo cattolico e delle gerarchie ecclesiastiche. Nel mondo cattolico c'è dialettica come nel mondo laico. Non c'è da decidere chi aderisce alla verità rivelata dell'altro. Anche Oltretevere le cose non sono bianche e nere. Se c'è un luogo dove la riflessione e l'elaborazione produce articolazione di posizioni, di atteggiamenti e di scelte, quello è la Chiesa cattolica. Faccio un esempio: perché il cardinale Tettamanzi è più aperto di altri sul tema delle unioni civili? Perché sa bene che un terzo dei nuclei familiari della diocesi di Milano sono coppie di fatto e da pastore si pone il problema del rapporto con quel terzo. I problemi non li abbiamo solo noi, li hanno anche gli altri. Il modo in cui Carlo Maria Martini indica le basi di un dialogo è il terreno giusto dal quale partire. O vogliamo dire che nella Chiesa sono tutti reazionari? Ma noi davvero abbiamo interesse a creare le condizioni per cui il mondo cattolico diventi la base di massa di un grande soggetto politico conservatore di destra? Non abbiamo lavorato decenni per evitare questo? Il primo centrosinistra - da Nenni a Craxi - non nasce proprio con l'obiettivo di impedire la contrapposizione tra laici e cattolici? La questione vaticana, come l'avrebbe chiamata Gramsci, attraversa i decenni ed è un problema strutturale della società italiana. Che facciamo, siccome c'è un nuovo protagonismo della Chiesa allora dobbiamo dedurne che è impossibile dialogare con quel mondo, con i cattolici. Ma ci rendiamo conto delle conseguenze di questa impostazione? Se salta il Pd, caro Enrico, non crederai mica che la geografia della politica italiana rimarrà quella di oggi? Nascerà un centro cattolico e conservatore. Non avremo un paese più aperto nel segno della laicità, della secolarizzazione, ma il contrario». Così Boselli: «Abbiamo impostazioni diverse. Il punto non è capire se sulle grandi questioni che riguardano il futuro dell'umanità ci può essere dialogo tra credenti, non credenti, diversamente credenti. Abbiamo tutti un nemico comune nel relativismo etico. Ma non è questo il problema. Il fatto è che la Chiesa dipinge il mondo non cattolico come un deserto di valori e principi e stabilisce che la Chiesa è l'unico luogo dove valori e principi hanno casa. La questione che abbiamo di fronte in Italia è il carattere laico del nostro Stato e della vita pubblica del paese. È la distinzione tra reato e peccato. Quando si dice che lo Stato non può legiferare per regolare le convivenze, non c'è più dialogo possibile. Abbiamo cambiato il volto dell'Italia affrontando a viso aperto battaglie fondamentali per il divorzio, legalizzando l'aborto che non abbiamo mai considerato un delitto civile e affrontando la questione vaticana. Sui principi fondamentali non sono possibili né sconti né compromessi. Questo è quello di cui discutono gli italiani». E Fassino: «Troppo semplice, gli italiani sono anche quelli che sono andati solo al 27 per cento a votare al referendum». «Anche grazie a Rutelli», chiosa il leader dello Sdi. La lettera dei 60. Altro oggetto del contendere è l'interpretazione della cosiddetta lettera dei 60, cioè il documento politico con cui l'area popolare della Margherita è intervenuta per chiedere l'approvazione del ddl di governo sulle coppie di fatto. Spiega Boselli: «La lettera dei 60 non è elemento positivo, è la conferma preoccupante dello stato delle cose. Perché agiscono insieme quei 60? Perché fanno politica sulla base della loro fede religiosa. Questo è un problema che pensavamo di aver risolto con la fine dell'unità politica dei cattolici. L'alleanza che tu vai a fare è con una forza che si ritiene il partito cattolici di sinistra». Replica Fassino: «La laicità è un tema di battaglia politica che attraversa anche la Margherita. Per una Binetti che dice quel che dice ci sono 60 parlamentari della Margherita che, da cattolici impegnati in politica, hanno rivendicato l'autonomia della loro responsabilità politica. Se vogliamo fare del Pd un partito che abbia la laicità come valore fondante dobbiamo farlo vivere insieme questo tema. Non è escludendosi dal progetto del Pd che la battaglia politica avrà un esito migliore». Cos'è la Margherita. Per Boselli è un partito sideralmente lontano dall'essere una forza laica: «È il partito - dice - del leader che ha tentato di impedire il compromesso sulle unioni di fatto. È il partito dove il ministro della Famiglia ha detto “meglio che i bambini restino in Africa piuttosto che siano adottati da coppie omosessuali”. È un partito dove l'omosessualità è considerata una deviazione, una pericolosa malattia. Senza contare la vicenda dei Dico. I Dico sono un compromesso accettabile in una coalizione di governo di più partiti, diversi uno dall'altro. Ma il compromesso non è accettabile in un unico partito, che si presuppone abbia principi comuni. Non mi piace neanche che il governo dica “abbiamo già dato, ora se ne occupi il Parlamento in libertà di coscienza”. Queste sono parole da Ponzio Pilato. Cosa c'entra la coscienza con la legge sulle convivenze?». Di tutt'altro segno la rappresentazione che della Margherita dà Fassino: «Boselli deve caricare di enfasi questo argomento non essendocene nessun altro. Una delle due ragioni che lui indica come ostacolo posto dalla Margherita alla nascita del Pd è stata rimossa. Sulle liste dell'Ulivo la Margherita - che nel giugno 2005 voleva considerare esaurita quell'esperienza - ha dovuto cambiare posizione. E non è che abbia fatto una concessione, né gli abbiamo mandato i carri armati. La nostra battaglia ha vinto perché ha trovato anche dentro la Margherita uno schieramento favorevole a quella scelta. La Margherita non è una testuggine dove non c'è spazio per la dialettica interna. E comunque un progetto politico si misura su un insieme di obiettivi che non sono riconducibili a un unico tema politico. Se io, tu ed Enrico Letta, che siamo espressione di tre tradizioni diverse, ci mettiamo a discutere delle principali questioni nazionali e internazionali, scopriamo che siamo d'accordo su tutto: multilateralismo, europeismo, sviluppo, crescita, welfare, riforme istituzionali. Non sono cose di poco conto, sono le questioni su cui decide il destino di un paese. Non è che in nome della laicità tutto questo scompare». Il nodo Pse. Per Fassino, «il problema va posto nei termini giusti. Quando io chiedo al Pd un rapporto organico con il Pse non chiedo alla Margherita di aderire ideologicamente alla socialdemocrazia. Letta e Bindi hanno ragione a dire “che c'entro io con quella storia?”. Infatti chiedo loro di aderire forti della propria storia. Un partito italiano che riunisce il riformismo italiano dove sta in Europa? Un partito italiano che riunisce il riformismo italiano dove sta in Europa? Sta insieme alle altre forze riformiste e ci sta con la propria originalità di forza plurale. Io condivido l'obiettivo che pone la Margherita di guardare a tutto il riformismo europeo e di lavorare per unirlo. Ma per unire il 100 per cento non si può prescindere dal 90, costituito dai partiti socialisti. E, d'altra parte, nell'Internazionale socialista ci sono 185 partiti, la metà dei quali non ha nulla a che fare con la storia del socialismo». Questo è l'unico punto sul quale Boselli non fa polemica diretta: «Noi non abbiamo mai considerato la famiglia socialista un fortino, un bunker ideologico. La mancata adesione del Pd al Pse non è un problema in sé, ma la conseguenza di quanto detto finora». Le strade si separano. Spiega Boselli: «Al congresso dello Sdi proporrò l'avvio di una fase costituente che coinvolga non solo le forze della diaspora, gli ex Psi e Psdi, ma molti altri soggetti, anche chi oggi sta dentro la Margherita, perché le forze cui ci rivolgiamo sono tali e tante da pensare di poter centrare l'obiettivo di dar vita a un partito socialista in Italia. A tal proposito, Fassino è conscio che il congresso dei Ds viaggia verso una scissione della componente di sinistra. Ma non considera realistica la nascita di una forza socialista composta anche dagli scissionisti: «Ammettiamo che abbia un senso ciò di cui favoleggia il mio amico Caldarola e cioè che debba nascere una forza che tenga insieme Mussi, Boselli, De Michelis. La voglio proprio vedere. Io e Boselli siamo d'accordo sull'Afghanistan, sulla Tav, sulla Biagi. Metà di quelli che Caldarola vuol portare in questo ipotetico partito non lo sono. Se fate un partito che tiene insieme Gloria Buffo e Stefania Craxi, avvisatemi per tempo perché è un evento che non voglio perdermi!». E Boselli: «Ho chiare le differenze. Trovo sorprendente che ci si stupisca del nostro dialogo con Mussi e Angius e che lo faccia chi ritiene indispensabile che queste componenti facciano parte del Pd». «È diverso, perché io nel Pd voglio tutte le anime riformiste, anche la vostra. In un partito del 30 per cento - dice Fassino - il pluralismo è una risorsa».
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