«HOLLANDE MI RICORDA MITTERAND» di Andrea Luchetta da Il Riformista di sabato 8 ottobre

03 novembre 2011

«HOLLANDE MI RICORDA MITTERAND»  di Andrea Luchetta da Il Riformista di sabato 8 ottobre

Marc Lazar. È uno dei massimi politologi d’Oltralpe. E crede che il voto di oggi segnerà uno spartiacque. Complice anche l’arresto di Strauss-Kahn, che ha regalato suspense a una corsa altrimenti segnata. «Una sconfitta pesante potrebbe spingere Aubry alle dimissioni». «La formula si sposa perfettamente con la tradizione bonapartista della destra. Che la riprenderà».
Una vita a studiare la sinistra italiana e a spiegarla Oltralpe. Marc Lazar - professore a Scienses Po e alla Luiss - è uno dei massimi sociologi della politica in Francia. Alla vigilia delle primarie organizzate dal Partito socialista, crede che la competizione segnerà una svolta nella storia dei partiti transalpini. Complici anche le sorprese della scorsa primavera.

C’è stato un punto di svolta?
L’arresto di Strauss-Kahn. La sua rinuncia ha creato una corsa aperta, a differenza di quanto avvenuto in Italia nel 2005, quando la vittoria di Prodi era scontata. All’improvviso la competizione è diventata una primaria di confronto e non d’investitura. Non si sapeva chi avrebbe vinto, e questo ha creato suspense. Contribuendo, per esempio, agli ottimi ascolti dei tre dibattiti televisivi.

Con Dsk il gioco non avrebbe funzionato?
Sarebbe stato meno stimolante, e la copertura mediatica non così approfondita. Ci siamo trovati all’improvviso in uno scenario inedito. E tutti i candidati hanno dimostrato senso di responsabilità, evitando di far inacidire la competizione.

Si aspetta una partecipazione molto alta?
L’obiettivo dichiarato del Ps è fra le 800mila e il milione di persone, che per la Francia sarebbe già un ottimo risultato. Personalmente credo che l’affluenza sarà 2-3 volte maggiore. Bisogna vedere se il Ps - che ha un quarto degli iscritti del Pd - sarà all’altezza della sfida organizzativa.

Prima del ritiro di Strauss-Kahn, Hollande sembrava destinato a una campagna onorevole e poco più.
È vero, una situazione per certi versi paradossale. Quella di Hollande somigliava a una candidatura di testimonianza. Destinata a dimostrare la democraticità della competizione, magari con l’obiettivo di garantire all’ex segretario del Ps la guida del governo nel quinquiennato di Strauss-Kahn.

Poi l’arresto di New York.
Hollande è stato molto bravo, allestendo una campagna convinta, meditata per tempo. Ha trasmesso la volontà di diventare presidente. Ha costruito l’intera corsa come se fosse già proiettato sull’Eliseo, anziché sulle primarie. Cosa che non si può dire di Martine Aubry.

Punita dai sondaggi.
È scesa in campo tardi, lasciando l’impressione di voler solo calmare il vuoto di Dsk. Ha esitato fra la prima persona singolare - le sue ambizioni - e il “noi” riferito ai socialisti, stentando ad assumere una dimensione presidenziale. Ma il sistema della Quinta repubblica richiede un incontro profondo fra il leader e il popolo.

Operazione riuscita perfettamente a Hollande.
Hollande è stato molto “mitterrandiano”. Come Mitterrand ha assunto nel 1971 la guida del Ps trasformandolo in uno strumento per la conquista dell’Eliseo, così lui ha tentato di trasformare il partito in un grimaldello per la sua candidatura.

Puntando sull’immagine dell’uomo normale
Ha colto un aspetto cruciale: le figure molto forti hanno stufato i francesi. Discorso che vale per Sarkozy come per Strauss-Kahn. Hollande ha pianificato una corsa di basso profilo, e per questo è stato criticato. Non a torto, visto che la Quinta repubblica ha bisogno di personaggi carismatici. Ma ha avuto ragione lui.

Se è vero che i francesi si sono stancati di personaggi così carismatici - ma la stessa architettura della Quinta repubblica riposa sul carisma del presidente - si può azzardare che una vittoria di Hollande prefigurerebbe un cambiamento istituzionale?
È qui che sta il punto. Perché gli elettori sono stufi, ma nel complesso del corpo elettorale il carisma resta una componente insostituibile. Non mi sorprenderei se Hollande cambiasse tono nei prossimi mesi, dicendo che le circostanze impongono una candidatura forte.

Che campagna presidenziale possiamo attenderci?
È presto per sbilanciarsi, dobbiamo attendere i risultati delle primarie. La corsa all’Eliseo sarà dominata dal deterioramento della situazione economica e sociale. Spero che i vari scandali di cui si è parlato nelle ultime settimane non diventino un aspetto centrale, perché se ne potrebbe avvantaggiare solo il Front national.

Crede che Marine Le Pen possa riuscire a escludere Sarkozy dal ballottaggio, così come suo padre aveva scalzato Jospin nel 2002?
Le Pen è molto alta nei sondaggi, e non è mai successo che a 5-6 mesi dalle elezioni il Front national fosse piazzato così bene. Diversi elementi congiurano per favorire la sua corsa, a partire dal degrado socioeconomico e dagli gli scandali di corruzione. Lei poi è una politica molto intelligente, capace di mescolare rivendicazioni dell’estrema destra a battaglie tipiche della sinistra, come quella per la laicità. In tv funziona bene, è una donna giovane, e in giro c’è una molta rabbia.

Rappresentata adeguatamente?
Per nulla. In questi mesi ci siamo focalizzati sulle primarie. Ma l’elettore medio che oggi andrà a votare è di sinistra, ha una buona istruzione e vive nelle grandi città. Concentrandoci su questo target, abbiamo perso di vista la Francia profonda. Non so dire se assisteremo a una riedizione a destra del 2002, ma il fattore Le Pen sarà molto, molto forte.

Torniamo alla campagna elettorale.
Sarà molto dura. È vero che Sarkozy soffre nei sondaggi, è rigettato da parte degli elettori e indebolito dagli scandali. Ma è un combattente che in campagna dà il meglio quando sembra spacciato, proprio come Berlusconi. Non mi sorprenderebbe un risultato molto risicato, simile a quello italiano del 2006. Se lo spoglio confermasse i sondaggi, le primarie si risolverebbero in una mazzata per Aubry. È vero, se non superasse nemmeno il 30% dopo essere entrata in campagna dal ruolo di prima segretaria patirebbe una sconfitta molto dura. Capace di rimettere in discussione il suo futuro alla guida del partito. Per carattere Aubry non ama perdere, e potrebbe essere tentata di mollare tutto. Scelta che però si scontrerebbe col suo senso di responsabilità e col progetto di trasformare le primarie in uno strumento dinamico per battere Sarkozy, rafforzando il partito. Magari potrebbe dimettersi dopo d’estate, al termine delle presidenziali. Ma è tutto l’establishment che l’ha sostenuta a temere un ridimensionamento.

E Ségolène Royal?
Rischia il disastro. Se venisse raggiunta addirittura da Montebourg, queste primarie segnerebbero la fine del suo sogno di riprendere il discorso avviato nel 2007.

Valls e Montebourg hanno stupito.
Si sono presentati per un’unica ragione, preparare la corsa nel 2017. Montebourg punta sull’area classica della sinistra socialista, Valls ha in mente una scommessa molto più ambiziosa e quasi certamente impossibile. Vuole rinnovare il Ps per allinearlo al Labour di Blair, rendendolo più simile al Pd italiano. Ecco, Valls rappresenta senz’altro l’anima più vicina a una certa parte del Pd, ragiona in ottica di centrosinistra, un assetto che non appartiene alla tradizione francese. La sua è una corsa minoritaria, ma è sicuro che la storia premierà la scommessa.

Perfino l’Ump ha riconosciuto il successo della formula primarie. È possibile immaginare che le adotti nel dopo-Sarkozy?
Vado oltre: se l’affluenza sarà buona, le primarie terremoteranno il sistema dei partiti. L’Ump ha già aperto alla consultazione, dopo averla derisa e tentato di ostacolarla in ogni modo. Anche a destra in molti stanno pensando alla campagna del 2017 e confidano in cuor proprio di poter vincere la nomination passando per l’investitura degli elettori.

Si riferisce a Copé?
Non solo, anche a Fillon, Pécresse e molti altri. Il punto è che le primarie si sposano alla perfezione con la cultura della destra francese, storicamente plebiscitaria. Solleticano la sua anima bonapartitsta, rimandano ai referendum gollisti. Francamente, credo che nessun partito potrà resistere al meccansimo messo in moto. Lo stesso Ps non avrà argomenti per rifiutarne l’applicazione a livello locale, dopo aver scommesso sull’elezione delle elezioni.

L’apparato non ne sarà entusiasta, a cominciare dal tanto criticato “sistema Guérini” nel marsigliese...
Tenterà di opporsi, ma come per le presidenziali non avrà successo. Non dimentichiamo che il Ps è un partito di eletti e i dirigenti avranno paura di perdere il proprio posto.

Anche in Italia, dopo le primarie del 2005 e del 2008, si era parlato di un’ondata inarrestabile. Eppure oggi sono in dubbio perfino quelle del Pd. In Francia non si rischia la stessa impasse?
Potrebbe subentrare una certa stanchezza, pure fra gli elettori. Ma non dimentichiamoci che siamo di fronte a una trasformazione profonda del ruolo dei partiti in Francia, in Italia e altrove. C’è una domanda di partecipazione che non può essere elusa. Non possiamo più pensare di organizzarci come in passato.

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