GRANDE RIFORMA? SEMPRE MEGLIO DEL GRANDE CAOS, di Antonio Polito, da Il Riformista 13-09-2009

05 novembre 2009

GRANDE RIFORMA? SEMPRE MEGLIO DEL GRANDE CAOS, di Antonio Polito, da Il Riformista 13-09-2009

Ah, se fosse vero... Se davvero Berlusconi intendesse presentare al parlamento, nei modi previsti dalla Costituzione, un progetto di riforma per sistemare l'assetto istituzionale del paese, la legislatura farebbe un salto in avanti. Sempre meglio discutere di una Grande Riforma, che di questo Grande Caos, fatto di Piccole Chiacchiere, Piccole Liti, Piccole Vendette. Ma c'è poco da sperare. Berlusconi non sembra essere il leader politico in grado di usare il suo grande capitale di fiducia e di popolarità per guardare oltre se stesso, e fondare finalmente le basi costituzionali della Seconda Repubblica; per fare cioè ciò che fin dai tempi di Craxi è il sogno dei veri riformisti.
D'altra parte: Berlusconi ha avuto cinque anni di tempo, tra il 2001 e il 2006, per avviarsi sulla strada della Grande Riforma, e invece quella che varò allora era alquanto Piccola, non prevedeva affatto né l'elezione diretta del capo del governo né la separazione delle carriere dei magistrati. Era piuttosto un patchwork fatto per accontentare ciascuno dei suoi alleati, e fu bocciata sonoramente da un referendum popolare proprio perché dentro c'era la devolution, e gli italiani preferirono salvare l'unità nazionale.
L'ultima volta che Berlusconi ha partecipato alla scrittura di una riforma istituzionale che prevedesse l'elezione diretta del capo del governo fu ai tempi della Bicamerale, la commissione che scelse il semi-presidenzialismo alla francese come modello per l'Italia, e poi fu Berlusconi stesso a rifiutarla, facendo fallire il progetto.
E del resto, la Grande Riforma avrebbe soprattutto il vantaggio di sciogliere l'ambiguità su cui quotidianamente gioca Berlusconi. Ancora l'altro giorno, nel suo comizio in camicia nera, il premier ha ripetuto ciò che in realtà è una bugia: io sono - ha detto - il premier eletto direttamente dal popolo. Mentre così non è.
Alle ultime elezioni, la percentuale di votanti (astensionisti esclusi) che ha messo la croce sulla scritta «Berlusconi presidente» è stata del 36 per cento e rotti. Mentre in un sistema in cui il popolo elegge direttamente il capo del governo ci vuole almeno il 51%. O perché lo impone il bipolarismo di fatto che c'è in America, o perché lo impone la regola del ballottaggio come avviene in Francia. In Italia è un regime parlamentare quello che consente a Berlusconi di trasformare la sua minoranza - la più grande minoranza del paese - in maggioranza parlamentare, grazie anche a un generoso premio in seggi previsto dalla legge elettorale comunemente detta “Porcellum».
Se un giorno volesse invece contarsi in una sfida presidenziale, Berlusconi dovrebbe fare molto meglio di quel 36%, che non diventa maggioranza assoluta nemmeno aggiungendo i voti della Lega. Solo allora, potrebbe vantarsi di essere il premier eletto direttamente dal popolo. Può farcela. Ma può anche non farcela, perché quel sistema elettorale coalizzerebbe tutti i suoi nemici contro di lui: e allo stato, i voti di tutti i suoi nemici messi insieme sono più dei suoi.
Inoltre, se ci fosse un sistema presidenziale, esso avrebbe dei contrappesi al potere del governo che oggi nel nostro sistema non ci sono. Il parlamento, per esempio, non potrebbe più essere composto di anime morte, di gente nominata dai capi dei partiti. Negli Usa, dove c'è il presidenzialismo, il Congresso può bocciare le leggi del Presidente, e spesso lo fa. Negli Usa il parlamento interroga e giudica tutti gli aspiranti ministri proposti dal Presidente, e spesso fa fuori chi non gli piace. Negli Usa, i verdetti della Corte Suprema non si discutono, anche se i giudici sono stati nominati dal presidente precedente e del partito avverso.
In ogni caso, un sistema presidenziale o semi-presidenziale ben temperato sarebbe meglio del caos e della confusione che regna oggi. Abbiamo le stesse regole istituzionali della prima repubblica, quando i governi si facevano in parlamento, ma abbiamo un sistema elettorale da seconda repubblica, nel quale i governi si fanno nelle urne.
Il Capo dello Stato è costretto a una funzione di garanzia che è anche una forma di supplenza di un parlamento che ormai approva solo decreti legge del governo, spesso col voto di fiducia e quasi sempre senza discutere. La Consulta è chiamata a scelte che hanno conseguenze dirette sulla vita politica del paese - e questa è un'anomalia - perché le leggi che giudica riguardano i processi del premier - e questa è un'anomalia ancor maggiore.
La confusione è grande sotto il cielo. E in questa confusione chi si avvantaggia è solo Berlusconi, che gioca il doppio ruolo del capopopolo e dello statista a seconda delle convenienze, mettendo in grave imbarazzo gli altri organi costituzionali, a partire da quel galantuomo del Presidente della Repubblica che ancora ieri ha dovuto smentire, in forma ufficiale, l'offensiva ipotesi secondo la quale lui avrebbe dato garanzie a Berlusconi sul comportamernto futuro della Consulta.
Voglio dire che un sistema presidenziale è sempre meglio di un sistema padronale. E che, se facesse sul serio, Berlusconi non potrebbe concepire la Riforma come una vendetta, dovrebbe agire secondo le previsioni della Costituzione, che con la doppia lettura e con l'obbligo della maggioranza dei due terzi, impone il dialogo tra maggioranza e opposizione quando si tratta di cambiare le regole del gioco. Sarebbe bello vedere uno spettacolo del genere: una seria, vera, meditata Grande Riforma costituzionale, fatta insieme da maggioranza e opposizione come avvenne ai tempi della Costituente. Ma, come è chiaro, questo spettacolo non lo vedremo, e continueremo a occuparci solo del nostro Grande Caos.

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