GORDON DOES GOOD di Paul Krugman, Premio Nobel per l'Economia 2008, dal New York Times 12 ottobre 2008

04 novembre 2008

GORDON DOES GOOD di Paul Krugman, Premio Nobel per l'Economia 2008, dal New York Times 12 ottobre 2008

Gordon Brown ha salvato il sistema finanziario mondiale? D'accordo, la questione è prematura - anche perché non possiamo ancora valutare gli effetti degli interventi di salvataggio posti in essere in Europa e negli Stati Uniti. Ma una cosa è certa: Brown ed il suo cancelliere dello Scacchiere (il ministro del Tesoro), Alistair Darling, hanno ispirato il tenore della reazione alla crisi mondiale e gli altri governi stanno seguendo il loro esempio. Si tratta di una circostanza inattesa. Il Regno Unito, si sa, è ormai un junior partner quando si tratta di discutere di affari finanziari internazionali. D'accordo, Londra rimane uno dei principali centri finanziari del mondo, ma rappresenta un'economia modesta se paragonata a quella statunitense ed è innegabile che le scelte della Bank of England abbiano un'influenza irrisoria se paragonate alla portata delle decisioni prese dalla Fed o dalla Bce. Di conseguenza, nessuno si sarebbe aspettato che il governo britannico fosse in grado di assumere la leadership negli sforzi per contenere la crisi. Tuttavia, il governo Brown ha analizzato gli eventi ed è andato direttamente alle cause del problema; la rapidità ed il decisionismo con cui Downing Street ha affrontato la crisi non hanno trovato eguali in tutto il mondo occidentale. Qual è la natura di questa crisi? I dettagli possono apparire patologicamente complessi, ma la sostanza della questione è piuttosto semplice: l'esplosione della bolla immobiliare ha causato gravi perdite a tutti coloro che avevano acquistato asset legati al pagamento dei muti; le suddette perdite hanno lasciato molti istituti finanziari con troppi debiti e pochi capitali per fornire al sistema economico il credito che esso necessitava per funzionare; inguaiati, gli istituti di credito hanno tentato di ripianare i propri debiti ed accrescere i propri capitali vendendo gli asset, con il risultato di deprimere i prezzi e di ridurre ulteriormente i capitali a disposizione. Cosa può essere fatto per contrastare la crisi? Aiutare i proprietari delle abitazioni, benché desiderabile, non mette al riparo da ulteriori perdite e da prestiti sbagliati, oltre a richiedere troppo tempo perché si possano apprezzare dei risultati tangibili, soprattutto alla luce dell'attuale diffusione del panico. La cosa più naturale da fare in questi casi è sostenere con capitali statali gli istituti in difficoltà, in cambio di un ingresso dello Stato nella proprietà degli istituti stessi. Una parziale e temporanea nazionalizzazione (denominata anche equity injection) era da tempo indicata da molti economisti di fama (tra cui, privatamente, Ben Bernanke) come la soluzione adeguata per contrastare la crisi in atto. Peraltro, al momento di presentare il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari, il segretario del Tesoro Henry Paulson ha rifiutato quell'ovvia via d'uscita asserendo: "Questo è ciò che si fa davanti a un fallimento." Invece, ha insistito perché il governo comprasse titoli spazzatura, basandosi sulla teoria che…nessuno ha ancora ben presente quale fosse la sua teoria. Invece, il governo britannico è stato in grado di andare con rapidità al cuore del problema, annunciando l'intenzione di procedere alla ri-capitalizzazione delle banche britanniche, spendendosi affinché non si inceppasse il fondamentale meccanismo del prestito interbancario e impegnandosi concretamente a garantire fondi a sostegno degli istituti. Al summit europeo di domenica i governi hanno seguito il modello inglese, sostenendo di essere pronti a sovvenzionare con centinaia di miliardi di euro le banche nazionali, garantendo inoltre i loro debiti. Ed ora persino il restio Paulson, pur muovendosi con estenuante lentezza, sembra essersi convinto ad abbandonare i titoli spazzatura ed a seguire un corso d'azione più simile a quello europeo. Come già ho detto, è troppo presto per cantar vittoria, ma quel che conta è che finalmente si intravede una chiara visione politica di ciò che deve essere fatto. La domanda sorge spontanea. Perché questo indirizzo perentorio è arrivato da Londra e non da Washington? Non è possibile ignorare il fatto che le mosse iniziali di Paulson siano state dettate dall'ideologia e dal fatto di appartenere ad un governo la cui filosofia può essere riassunta facilmente nel motto "privato è bene, pubblico è male." Partendo da questi presupposti è facile immaginare come debba esser complicato per l'amministrazione in carica accettare l'intervento dello Stato nell'economia. Sicuramente, la linea seguita dal governo Bush non ha aiutato. Molte delle personalità più competenti che operavano al Tesoro sono state allontanate. Come risultato, nessuno è stato in grado di consigliare Paulson nel momento più critico, evitandogli di prendere decisioni prive di senso. Fortunatamente, Brown ed i suoi ministri hanno agito con buon senso e ci hanno mostrato la via per uscire dalla crisi.

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