Gli ultimi giorni della Seconda Repubblica - Di Emanuele Macaluso - Il Riformista 23 Novembre 2004
26 novembre 2004
Ricordate gli ultimi anni della Prima Repubblica? Il mondo cambiava, crollava il muro di Berlino (1989), implodeva il regime sovietico (1991), i grandi partiti socialisti, in Inghilterra e in Germania, rinnovavano profondamente cultura politica e piattaforme programmatiche, e dopo 15 anni di opposizione si ripresentavano come alternativa ai governi conservatori. Il mondo si globalizzava, e crescenti masse di disperati iniziavano a spostarsi verso l'occidente. L'Italia, però, sembrava chiusa in uno scafandro impermeabile a tutto ciò che si muoveva nel mondo: il vecchio centro-sinistra, con Andreotti, Forlani, Craxi, si consumava, ma intanto si continuavano a fare organigrammi per il governo e la presidenza della Repubblica. Occhetto faceva la svolta della Bolognina, e sembrò che solo il nome del Pci cambiasse in uno scacchiere politico dove tutto restava fermo. Alle elezioni del 1992 ognuno recitava le proprie litanie, disturbate solo dal voto della Lega che elesse 80 parlamentari: un buco nello scafandro. Nel 1993 arrivò Tangentopoli e successe il finimondo: i magistrati issarono le loro bandiere e si proposero come garanti di un nuovo sistema etico; le forze politiche, tutte, si liquefecero. Lo scafandro si squagliò ed emerse un verminaio e un'impotenza a capire, a parlare, a cambiare. Dopo arrivò il Cavaliere in sella a un cavallo variopinto. Mi ricordo il '92. E' così che ricordo quegli anni. Quelle immagini mi sono tornate in mente guardando «il teatrino della politica», con la regia del Cavaliere, sia quando è in sella con l'uniforme da battaglia, sia quando scende da cavallo si veste con gli abiti del più logoro doroteismo. Il mondo ancora una volta cambia. C'è stato l'11 settembre e l'emergere del fondamentalismo islamico che aggredisce, non solo con le armi, le conquiste sociali, politiche e civili dell'occidente, frutto anche delle lotte del socialismo europeo. Si è risposto, sbagliando, con una guerra e con una battaglia ideologica che richiama il fondamentalismo cristiano. Eppure si era parlato di «morte delle ideologie». Negli anni '90 ai partiti tradizionali si sostituivano, da una parte, il Cavaliere con le sue aziende e un gruppo di reduci sconfitti del vecchio pentapartito, che issava la bandiera dell'antipolitica, del giustizialismo, dell'efficientismo manageriale; dall'altra parte la sinistra divisa, con pezzi di finta «società civile», metteva insieme una «macchina da guerra» giustizialista, senza cannoni, senza munizioni e senza esercito. Sono trascorsi dieci anni, e siamo punto e a capo. Il Cavaliere si è mosso come un doroteo, tra verifiche, rimpasti, finanziarie da rabberciare, emendamenti, diserzioni parlamentari e votazioni che non tornano. Ora ha indossato l'armatura, e, risalito a cavallo, minaccia elezioni. Scene già viste. In ogni caso, fa rimpiangere la Dc, la peggiore Dc. L'afasia dei partiti. L'aria che tira mi ricorda il 1992: la crisi del berlusconismo è crisi di sistema e coinvolge l'opposizione. La quale registra e incassa il fallimento del Cavaliere, ma non riesce a definire se stessa, una sua cultura politica in rapporto ai mutamenti cui abbiamo accennato. A sinistra continua l'altalena tra il partito ulivista e quello socialdemocratico. Nella Margherita crescono i petali, ma il fiore sfiorisce per mancanza di radici e di prospettiva. La battaglia politico-culturale è affidata, in ordine sparso, a ciò che si legge su Repubblica o sul Riformista. Attenzione: o c'è un recupero di identità e di ruolo dei partiti, in grado di esprimere il nuovo che si agita nel mondo, o la Seconda Repubblica imploderà come la prima. Ma sarà peggio di prima.
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