FINITO L'OSTRACISMO, NON BASTANO LE NOSTRE RAGIONI. VA CAMBIATO IL BIPOLARISMO CHE ANNULLA LE IDENTITÀ – di Mauro del Bue da il Riformista del 29 novembre 2006

04 dicembre 2006

FINITO L'OSTRACISMO, NON BASTANO LE NOSTRE RAGIONI. VA CAMBIATO IL BIPOLARISMO CHE ANNULLA LE IDENTITÀ – di Mauro del Bue da il Riformista del 29 novembre 2006

Socialisti 3. Il Nuovo Psi dialoghi con Sdi e Radicali

L'amico Paolo Franchi, nel suo editoriale di lunedì sul Riformista, ha proclamato «i socialisti parlino ora o tacciano per sempre». Io che non sapevo tacere neppure in momenti in cui i socialisti erano ridotti al silenzio, sono d'accordo che ora è il momento di parlare. Non tanto per parlare, ma per affermare buone ragioni storiche e politiche, che oggi sono tornare alla ribalta anche per merito di tanti che col vecchio Psi non hanno nulla in comune. D'altronde, personalmente, non ho mai pensato che la questione socialista italiana fosse prerogativa esclusiva di coloro che erano parte integrante di quella esperienza. Il tempo passa e fondare una prospettiva politica sul revival è sempre insensato. È evidente tuttavia che senza costoro, senza gli eredi della tradizione socialista italiana, la questione socialista è una grande finzione: un bluff, il risultato di un regolamento di conti frutto di quell'interessata eliminazione del grande incomodo, come lo definì D'Alema nel suo libro Un paese normale: l'incomodo Craxi, con la sua unità socialista, che si prospettava come un fantasma in fondo alla gola del percorso post-comunista. Se Tangentopoli è stata la partita di ritorno della netta sconfitta dell'ottantanove, l'eliminazione del contendente storico della sinistra italiana, quello al quale dar sempre ragione dopo (Terracini dichiarò nel 1976 che Turati aveva ragione nel 1921, Napolitano ha sostenuto che Nenni aveva ragione nel 1956, Occhetto che Craxi aveva ragione nel 1985, D'Alema che il Psi aveva ragione nel 1991 a fronte della guerra del Golfo), ne è stata la conseguenza.
Ma a che serve dar sempre ragione dopo se, assieme alle tante post-ragioni, non si riconosce l'esistenza di un interlocutore distrutto, almeno in parte, da un'iniziativa ingiusta e strabica delle magistratura? Nessuno nega gli errori del Psi e anche quelli di natura politica (non aver capito le conseguenze dell'ottantanove italiano è la più grave). Ma come è stato possibile in questi anni dialogare tra un partito, il post-Pci, prima Pds e poi Ds, che era in campo e un partito, il Psi, che non c'era più? Non è possibile il dialogo tra chi c'è e chi non c'è.
ontraddizione aristotelica non solubile. E bisogna dunque valutare le ragioni per le quali una parte non c'è più e riconoscere che in questa pulizia etnica anche alcune parti della sinistra hanno avuto un ruolo e che la maggioranza degli elettori del vecchio Psi è stata spinta nelle braccia di Berlusconi anche per questo atteggiamento, che definimmo giustizialista, ma che in realtà era solo opportunista. Contribuire a eliminare l'avversario interno era una vecchia pratica terzinternazionalista. Ricordo tutto questo non per rinvangare il passato, ma proprio per paragonarlo al presente e cogliere le evidenti e positive diversità, ma che devono partire da una premessa: l'urgente formazione di un Forum dei socialisti con tutti coloro che sono interessati a ricreare in Italia una forza del socialismo europeo e italiano. Oggi il Psi è rivalutato e così il suo leader, che diventa spesso anzi un metro di paragone per misurare il leader di oggi. E così i vecchi dirigenti del Psi sono generalmente apprezzati e anche riconvertiti (da Amato a Spini, a Cicchitto, a Laura Fincato, a Margherita Boniver) in partiti diversi, ma nessuno oggetto del fattore S (socialista) o peggio del fattore C (Craxi, come criminale). Anzi guardandomi intorno alla Camera dei deputati vedo decine e decine di socialisti o ex socialisti sparsi come l'olio un po' ovunque. E nessuno più discriminato.
Oggi, di più, è nata una nuova attenzione alla questione socialista, cioè all'idea di far nascere in Italia un partito socialista come negli altri paesi europei. E devo dare atto che questa nuova sensibilità è stata possibile grazie al dibattito che si è aperto nei Ds sul Partito democratico. Senza questo confronto-scontro non sarebbe riemersa in Italia la questione. È la prima volta, anzi, che all'interno dei Ds si apre un confronto e una delle opzioni in campo diviene quella di formare in Italia una forza socialista. Naturalmente molto deve esser approfondito e anche contestato. Ma si deve riconoscere che ciò che appariva impossibile per Occhetto nel 1989 che voleva «andare oltre», e poi per lo stesso D'Alema dopo il 1994, che annunciava l'impossibilità di adottare tale definizione per ciò che in Italia aveva significato l'aggettivo «socialista», è oggi pienamente superato da una parte dei Ds. E devo dare atto che il primo, nei Ds, che a tale definizione si è esplicitamente richiamato è stato proprio Cesare Salvi con la sua corrente. Detto questo, e confermando la disponibilità del Nuovo Psi ad un dialogo, che naturalmente non può prescindere dallo Sdi e, a mio parere, anche dai radicali che alla storia del socialismo liberale hanno fornito ottimi contributi, si deve mettere in chiaro la nostra idea di socialismo, visto che non basta la parola, come diceva una vecchia pubblicità, anche se nomina sunt consequentia rerum. Dico la nostra, riferendomi innanzitutto agli eredi del Psi, che dovrebbero pensare seriamente a ritornare insieme, prima o poi. Metterei in chiaro, allora, quattro cose. 1) Si tratta non solo del socialismo europeo, come spesso ricordano compagni e amici dei Ds, tranne Peppino Calderola, che ha fatto esplicito riferimento al Psi, ma, appunto, anche del socialismo italiano. Della sua storia complessa, certo, ma all'interno della quale il Psi ha avuto, pur nelle controversie quasi perenni delle sue correnti, il ruolo trainante.
2) Si tratta di un socialismo riformista e liberale. Non di un socialismo qualsiasi. Il socialismo riformista e liberale ha avuto in Carlo Rosselli e Filippo Turati i suoi grandi maestri, ma anche in Saragat, nel Nenni autonomista e in Bettino Craxi i suoi più genuini alfieri. Non c'è un'altra storia del socialismo riformista e liberale in Italia. Naturalmente non si nega che anche in altre storie vi siano stati elementi di riformismo e di liberalità: penso a Calamandrei, a Ernesto Rossi, anche al Giolitti revisionista del 1956 e al Di Vittorio impedito da Togliatti di diventarlo, all'Amendola che per primo comprese la necessità di superare l'identità comunista con la proposta del partito unico.
3) Si tratta di un'unità che non comporta unità con altre identità. Si avverte, nelle parole di quanti all'interno dei Ds stanno battendosi per una prospettiva socialista, una contraddizione. Essi vogliono infatti fare il Partito socialista e nel contempo parlano di sinistra unita con le forze comuniste e verdi integraliste. Qui bisogna chiarirsi. Se il nostro socialismo è riformista e liberale con le forze comuniste ed estremiste ci si può anche confrontare, ma non è possibile alcuna unità. Noi siamo pronti ad aprire un dialogo con quanti parlano di socialismo, ma non capisco perché, proprio in nome del rispetto delle identità di tutti, costoro o una parte di costoro, pensino all'unità con chi presenta, legittimamente, altre e contrapposte identità. L'accusa formulata a Fassino di volere confondere l'identità socialista europea con quella della Margherita, che in Europa sta altrove, è la stessa che potrebbe essere mossa a Salvi e Mussi se creassero un rassemblement coi comunisti. Oltretutto riformisti, massimalisti, comunisti sono sempre stati alle prese con una lotta, mai con un accordo. Anzi quando è nato un accordo tra di loro è nata una forte e improduttiva ambiguità e ne è scaturita una netta sconfitta elettorale.
4) Si tratta di un segnale di rinnovamento, nel segno dell'identità, al sistema politico italiano, fondato su partiti botanici o di plastica. Più che un bipolarismo che diventa bipartitismo maggioritario imperniato sullo scontro tra Partito delle libertà e Partito democratico, occorre mettere in campo la visione di un sistema politico articolato, proporzionale e fondato sulle differenti identità politiche. È difficile che questo accada, ma tornare in Italia, cioè alla tradizionale politica italiana, e all'Europa di oggi, in cui forze socialiste, liberali e democratiche cristiane, ma anche verdi e comuniste, si confrontano e si scontrano nel rispetto reciproco e non nella logica di Coppi e Bartali, diventa davvero una necessità. Anche perché i tifosi dell'uno e dell'altro sono sempre delusi ogni volta che l'uno o l'altro si trova ad amministrare una vittoria. Più che un ritorno al passato è necessario, superando lo stato di crisi evidente di una seconda Repubblica mai nata, un ritorno al futuro. Cioè una scommessa che vada oltre questo bipolarismo e che esalti il valore delle idealità. Una rivoluzione politica? Sì, e detto da un riformista potrebbe far colpo.

Deputato del Nuovo Psi

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