FASSINO: IL PD, LA CASA DEI SOCIALISTI – Lettera di Fassino a Boselli, da il Riformista del 21 febbraio 2007
26 febbraio 2007
«Non si può pensare di unire il riformismo italiano senza l’apporto di quella grande storia politica che - da Matteotti a Buozzi, da Saragat a Nenni, da Morandi a Lombardi, da Pertini a Brodolini, da De Martino a Craxi - ha rappresentato un filone culturale e politico essenziale della sinistra riformista italiana».
Sono parole scritte nella mozione «Per il Partito democratico» da me presentata in vista del 4° Congresso nazionale dei Ds. Parole chiare e inequivoche di riconoscimento pieno del ruolo svolto nella storia dell’Italia dai socialisti italiani, dai suoi partiti, dai suoi dirigenti. E chi conosce me e la mia azione politica sa che quelle parole corrispondono a radicati convincimenti che mi hanno portato più volte negli anni a proporre occasioni e iniziative di unità delle forze socialiste e oggi un comune impegno della sinistra riformista nel Partito democratico.
A questo atteggiamento, il compagno Boselli ha risposto fin qui: «Non ci sono le condizioni». Una sorta di “non possumus”, di cui vorrei parlare apertamente e con spirito di amicizia, sicuro di ritrovare nei compagni dello Sdi interlocutori interessati alla discussione.
Il progetto di unire le diverse culture riformiste in un unico grande Partito democratico non è nato dopo le elezioni del 2006. Nacque nel giugno 2003 quando Romano Prodi propose alle forze politiche dell’Ulivo di presentarsi alle elezioni europee con un’unica lista e un solo simbolo. Il dibattito che seguì portò a precisare il progetto: non l’Ulivo come coalizione eterogenea di un vasto arco di centrosinistra - come era stato tra il ’96 e il 2001 - bensì l’Ulivo come il luogo di incontro dei partiti di cultura riformista con l’obiettivo di costruire un nuovo soggetto politico unitario. Un progetto che portò Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani europei a presentarsi con il simbolo Ulivo alle elezioni europee, raccogliendo il 31,5%. Esperienza che fu replicata in 9 regioni nel 2005, raccogliendo il 34,5% dei consensi. Dunque, lo Sdi è stato partecipe dell’avvio del progetto e di due sue tappe significative, valutando che ne esistessero le condizioni e le ragioni politiche.
Quella partecipazione si è interrotta dopo le elezioni regionali del 2005, quando l’assemblea federale della Margherita annunciò che alle elezioni del 2006 si sarebbe presentata con propria lista e simbolo e quando lo Sdi ritenne di ricercare una ipotesi diversa, dando vita con il Partito radicale alla Rosa nel pugno. Pur vedendo i rischi di disarticolazione che quest’ultimo progetto comportava - e l’esito ci dice oggi che non erano solo rischi - io e i Ds ne demmo una valutazione positiva e non venne alcun atto che non fosse di rispetto e collaborazione.
Decidemmo comunque come Ds di non rassegnarci a tornare indietro. E insieme a Romano Prodi e a settori di società civile continuammo a credere nell’Ulivo operando per creare le condizioni originarie.
Le primarie del 16 ottobre - con la loro prorompente domanda di unità - furono l’evento che sollecitò la Margherita a rivedere le proprie decisioni e consentì all’Ulivo di riprendere il proprio cammino in vista delle elezioni 2006. L’impegno nel progetto della Rosa nel pugno impedì allo Sdi di essere partecipe per la terza volta dell’esperienza unitaria dell’Ulivo. Anche in quel caso i Ds rispettarono la scelta socialista pur convinti che la collocazione naturale dello Sdi fosse nel progetto ulivista.
La vittoria elettorale e la formazione del governo Prodi solleciteranno a formare i gruppi parlamentari dell’Ulivo e a presentare simbolo e liste dell’Ulivo anche agli elettori di Torino, Milano, Roma, Ancona e di tante altre città chiamate al voto a maggio, conseguendo anche lì significativi successi. E sull’onda di questo processo Romano Prodi rilanciò la proposta di trasformare l’Ulivo in un grande Partito democratico, progressista e riformista, capace di realizzare un obiettivo ambizioso e mai raggiunto prima: dare al riformismo italiano, plurale nelle culture e nelle esperienze, una rappresentazione politica unitaria. Una proposta rivolta da Prodi non solo a Ds e Margherita, ma a tutte le forze politiche di ispirazione riformista - come lo Sdi e i Repubblicani - nonché a un arco vasto di soggetti culturali e sociali e a tutti quei cittadini, che anche non riconoscendosi nei partiti, si sono riconosciuti e si riconoscono nell’Ulivo. Nonostante ciò - e nonostante che, nel frattempo, il progetto della Rosa nel pugno si sia inceppato - Boselli ha continuato a invocare l’assenza di condizioni per una partecipazione dello Sdi al progetto del Partito democratico.
Non mi pare convincente e provo a dire perché. Le presunte «non condizioni» sarebbero tre. La prima. Il Partito democratico sarebbe solo l’intesa Ds-Margherita. Non è così. Ho già ricordato che nel 2004 e 2005 lo Sdi era parte del progetto dell’Ulivo. E se nel 2006 lo Sdi avesse confermato la sua partecipazione avrebbe contribuito a rafforzare il carattere plurale del progetto. In ogni caso per noi Ds - ed è punto per noi dirimente e irrinunciabile - il Partito democratico non può essere soltanto l’incontro Ds-Margherita, in una sorta di «neo compromesso storico» che sarebbe del tutto fuori tempo. Noi vogliamo costruire un Partito democratico che unisca le diverse culture riformiste - socialista, cattolico democratica, liberaldemocratica, ambientalista - aprendosi ulteriormente alla società e alle tante sue espressioni culturali e sociali interessate alla creazione di una grande forza riformista, a vocazione maggioritaria, di vasto consenso elettorale e di forte radicamento sociale.
La seconda. Il Partito democratico sarebbe condizionato da un ritorno di clericalismo che offuscherebbe il carattere laico del nuovo partito. Chiunque si occupi di politica sa bene quanto il rapporto con il mondo cattolico e le sue espressioni politiche sia un nodo che attraversa la politica italiana fin dalla nascita dello Stato italiano. Basterà ricordare le straordinarie pagine scritta da Gramsci sulla «questione vaticana». E d’altra parte l’alleanza tra Psi e Dc fu sempre motivata dai dirigenti socialisti - da Nenni a Craxi - come la politica per evitare il formarsi in Italia di un grande partito conservatore incentrato sul mondo cattolico. La caduta del muro di Berlino peraltro ha prodotto un doppio processo politico: la trasformazione del Pci in Pds - che portò il principale partito della sinistra italiana ad approdare al riformismo socialdemocratico - e l’esplosione della Dc che indusse le correnti popolari cattolico democratiche a collocarsi nel centrosinistra. E l’Ulivo è stato il luogo di quell’incontro tra i riformismi di matrice socialista e laica con il riformismo cattolico, che oggi il Partito democratico si pone l’obiettivo di consolidare, impedendo che possano realizzarsi le suggestioni di chi vorrebbe attrarre l’intero mondo cattolico su una sponda conservatrice.
Se oggi si manifestano rigurgiti neoclericali e integralisti è anche perché vi è chi guarda con preoccupazione alla nascita del Partito democratico. A Boselli non può certo sfuggire il grande valore politico della scelta di 60 esponenti parlamentari della Margherita che hanno ribadito il loro impegno di cattolici democratici a difendere il carattere laico dello Stato e l’imparzialità delle istituzioni. Proprio i Dico sono la dimostrazione che si possono riconoscere le scelte di vita e i diritti delle persone - quali che siano i loro orientamenti sessuali - senza lacerare la società italiana. E la ricerca di soluzione condivise intorno a temi che riguardano la vita, i rapporti tra i sessi, il destino delle persone non è una concessione, ma la condizione perché una società possa riconoscersi, senza lacerazioni, nelle leggi che regolano temi così cruciali. La laicità, infatti, non è la contrapposizione tra approcci etici, culturali e religiosi diversi, ma la ricerca di sintesi capaci di affermare, in ogni caso e per tutti, l’uguaglianza dei diritti, le scelte individuali di vita e l’esercizio della libertà nella responsabilità. Una sintesi che può trovare in un grande partito plurale la sede ed il luogo perché si realizzi al meglio. E una piena partecipazione dello Sdi al Partito democratico non potrà che rafforzare proprio il suo profilo laico e plurale.
La terza. Non sarebbero definite la collocazione europea e internazionale del Partito democratico. Sappiamo che questo è un punto aperto di discussione con la Margherita.
La nostra posizione è molto chiara: se il Partito democratico è l’esperienza unitaria del riformismo italiano, esso nel mondo e in Europa non potrà che stare insieme alle altre forze riformiste. In Europa il 90% dei partiti riformisti è costituito da Partiti socialisti e socialdemocratici. E l’Internazionale socialista è il principale forum mondiale delle forze progressiste. Naturalmente sappiamo tutti che anche su scala europea e internazionale si pone l’esigenza di una più vasta unità riformista. Ne sono consapevoli per primi il Pse - che non a caso ha modificato il suo Statuto per aprirsi a partiti non solo socialisti e socialdemocratici - e l’Internazionale socialista, che già oggi annovera nelle sue file la presenza di 185 partiti, metà dei quali provenienti da esperienze politiche e culturali diverse. Significativo che in queste settimane anche il Partito del congresso indiano - un grande partito riformista sino ad ora non affiliato ad alcun campo - abbia avviato le procedure per l’adesione alla Internazionale socialista.
Peraltro ricordo che Craxi propose - da leader del Psi - che la Is assumesse la denominazione di Internazionale socialista e democratica. E ancora recentemente Ugo Intini in una riunione del consiglio della Internazionale socialista ha riproposto quella denominazione. Proposta che io e altri dirigenti dei Ds abbiamo più volte condiviso. E, dunque, la partecipazione dello Sdi alla costruzione del Partito democratico rafforzerebbe ancor di più la prospettiva di un Pd che insieme alla famiglia socialista operi per un campo riformista unitario più ampio. Come si vede le condizioni perché lo Sdi sia partecipe pieno della fondazione del Partito democratico ci sono. Anzi, sono convinto che - come ho proposto nella mozione congressuale - la realizzazione di una forte «unità socialista» tra Ds e Sdi e altri movimenti politici che si riconoscono nei valori e nelle politiche del socialismo democratico irrobustirebbe il peso e il ruolo della sinistra e dei suoi valori nella costruzione di un grande Partito democratico.
Ringrazio il Riformista per l’ospitalità e mi scuso per l’ampiezza. Ma ci sono momenti in cui il dibattito per essere utile necessita di non esaurirsi negli slogan o nel semplicismo di qualche battuta per le agenzie di stampa.