EUTANASIA. ANGIUS CONTRO LE TIMIDEZZE DELLA SINISTRA «TOGLIAMO LA TESTA DA SOTTO LA SABBIA» - da Il Riformista del 27 settembre 2006
04 ottobre 2006
«Su temi decisivi, che riguardano la vita e la morte degli uomini, vedo il rischio di un grande arretramento culturale. Anche e soprattutto rispetto al principio di laicità e a quello dell’autodeterminazione delle scelte di ogni individuo». In queste parole, affidate al Riformista, il vicepresidente del Senato Gavino Angius esprime la sua preoccupazione sulla «timidezza» con cui la maggioranza ha accolto il monito del capo dello Stato sui temi dell’eutanasia e del testamento biologico.
L’ex presidente dei senatori diessini, su questo terreno, non fa sconti. Il suo è un appello destinato al cuore dell’Unione e - perché no - anche al suo partito. «Per quanto mi riguarda, potrei anche condividere e apprezzare la “prudenza”. Non discuto sul fatto che su determinate questioni sia necessaria una grande riflessione. Quel che non si può tollerare è la timidezza delle scelte». Detto altrimenti: «Quando la classe politica è chiamata a esprimersi, soprattutto su questi temi, deve discutere e approfondire. Ma poi deve scegliere. E deve farlo ispirandosi all’unico principio che rispetta tutti: quello della laicità».
Nel frattempo, nel grande teatro italiano del dibattito politico vanno in scena le opposizioni della Santa Sede, le ipotesi di compromesso, nonché le molteplici domande e offerte su più o meno possibili mediazioni. Il tema, come sottolinea Angius, «è enorme, al contrario di quanto possa sembrare dalla discussione che si sta svolgendo tra le forze politiche». Su questo, aggiunge perentorio il vicepresidente del Senato, «non possiamo continuare a stare con la testa sotto la sabbia. Il tema è nuovo: dobbiamo tener conto del grande avanzamento che la scienza sta compiendo sulle frontiere della vita e su quelle della morte». L’approccio metodologico, a sentire Angius, è già fissato: «L’unico modo per riuscire a ottenere un qualche risultato - scandisce il senatore della Quercia - è abbandonare la logica credenti-non credenti di chi vorrebbe separare la politica da uno stato che, ripeto, è laico».
In un dibattito che, a sentire Gavino Angius, sembra dominato dal “già detto” e dal “già sentito”, c’è qualcosa che non viene sufficientemente messo in rilievo. Ad esempio, continua il ragionamento del vicepresidente del Senato, «quando nell’agenda della politica irrompono le questioni “eticamente sensibili”, sembra quasi che ogni laico, ogni ateo, ogni non credente sia preda del permissivismo e del relativismo morale, un po’ come se la vita o la morte di una persona in più non gli creassero problemi. Questo sembra il messaggio dominante. Un messaggio che per quanto mi riguarda è irricevibile».
Le questioni cui fa riferimento Angius, poi, sono ancora più sensibili in quelle lande dell’Ulivo che preparano il terreno per la nascita del Partito democratico. Sostiene l’ex capogruppo della Quercia che «anche nei Ds, sui temi etici, ci sono differenti sensibilità. Il partito dovrebbe affrontare al suo interno quella seria discussione che proprio il dibattito sul partito democratico potrebbe cancellare». E si ritorna sempre lì. Ai laici e cattolici, a diessini e margheritini. «Mi è arrivata proprio ieri - racconta Angius - una lettera dai colleghi Paola Binetti e Luigi Bobba, che mi hanno invitato a un seminario sui “Teo-dem e la questione cattolica”. Non sono appassionato né di teo-con né della variante teo-dem, ma ho letto con interesse il foglietto. Uno degli obiettivi del seminario è “delineare prospettive concrete” perché i valori cristiani siano “decisivi nel processo che porta al partito democratico”. Mio padre era iscritto a un partito democratico di ispirazione cristiana, che si chiamava Dc. Ma questa dei “valori cristiani decisivi” è una prospettiva che mi mette a disagio, rispetto a questo partito democratico». Di queste e altre sensibilità dovranno tener conto sia Piergiorgio Welby, immobilizzato in un letto. Sia Giorgio Napolitano, che ha “girato” il suo appello alle forze politiche. Nella speranza che una mediazione - se ci sarà - sia meglio dello status quo.