Esodo biblico da Messina, Ballistreri: “Una tragedia umana e sociale frutto di scelte politiche scellerate” di Maurizio Ballistreri da MessinaToday del 5 agosto 2019
05 agosto 2019
Il docente universitario commenta il rapporto Svimez sulla ripresa dei flussi migratori dalla Sicilia. “Al Sud due giovani su tre sono senza lavoro, invece di investire in formazione qualificante presso le aziende si finanziano corsi-fantasma”
Sembra un bollettino di guerra annuale il Rapporto Svimez sul Mezzogiorno. Secondo le anticipazioni in quello del 2019 viene prospettata una nuova grande emergenza: la desertificazione demografica ed economica. Infatti, secondo il Rapporto, gli emigrati dal Sud tra il 2002 e il 2017 sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di questi ultimi "66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati)". Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, "è negativo per 852 mila unità - prosegue Svimez - Nel 2017 sono andati via 132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità". La ripresa dei flussi migratori è "la vera emergenza meridionale, che negli ultimi anni si è via via allargata anche al resto del Paese". A questa condizione negativa, secondo l’Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, si aggiunge lo spettro della recessione.
Negli ultimi 15 anni dunque, hanno lasciato il Mezzogiorno più di 2 milioni di persone, oltre la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all'estero.
Una condizione derivante dalla circostanza che ancora oggi al cittadino del Sud, nonostante una pressione fiscale pari se non superiore per effetto delle addizionali locali a quella del Nord, sono negati diritti fondamentali in termini di vivibilità dell'ambiente, di sicurezza personale, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura per la persona adulta e per l'infanzia, della disoccupazione di massa e della deindustrializzazione del già scarso tessuto produttivo esistente. La sanità rappresenta il paradigma di tale condizione, con differenziali in termini di prestazioni che sono al di sotto dello standard minimo nazionale, come testimonia la griglia dei livelli essenziali di assistenza nelle regioni sottoposte a Piani di rientro: Molise, Puglia, Calabria, Campania e Sicilia.
Messina e la sua provincia non sfuggono a tale drammatico quadro economico e sociale, tranne alcune eccellenze imprenditoriali (spicca la bella iniziativa dei lavoratori del Birrificio Messina) e l’Università che tenta in modo innovativo di stimolare cultura ed economia, come testimonia la fuga dei nostri giovani, la carenza di infrastrutture materiali e immateriali (si guardi alla condizione delle tratte autostradali e alla scarsa diffusione della fibra ottica), l’impossibilità di accesso al credito, la crisi dell’edilizia, il crollo del sistema industriale cittadino (la cantieristica navale in primo luogo), la perdita di fondamentali istituzioni pubbliche (sedi dei Monopoli, della Banca d’Italia, del Distretto Militare, della Marina Militare e, sembra, anche tra qualche anno della Corte d’Appello), l’inefficienza dei servizi pubblici in primo luogo dei trasporti, la feroce contrazione del reddito disponibile, con una crisi conseguente che non ha risparmiato quello che un tempo era il settore principale, il terziario, colpito dal crollo dei consumi. Messina oggi è un territorio che vive fondamentalmente di trasferimenti pubblici, pensioni e sussidi, con una popolazione segnata dall’alta età media.
Ma l’esodo di proporzioni bibliche dei giovani da Messina, dalla Sicilia e dal Mezzogiorno, che fa impallidire il flusso dei migranti verso l’Italia, non è frutto del “destino cinico e baro” (invocato hegelianamente da Giuseppe Saragat all’indomani delle elezioni del 1953), ma di precise responsabilità politiche e, lo si dica senza infingimenti, anche morali. Infatti, da molti, troppi anni, il nostro Sud è vittima di un rapimento lento ma inesorabile. Non si tratta di furti o di piccola criminalità, non si tratta di rapine o scippi, ma piuttosto di veri e propri rapimenti. Una definizione cruda ma senza ambiguità da linguaggio politichese, per la scomparsa di milioni di persone dalle proprie case; persone sottratte al luogo dove sono nate e cresciute, dove sono nate con amicizie e amori. Rapimenti che generano quotidianamente le lacrime delle madri, il silenzio attonito dei padri e il vuoto generato in parenti, amici e persone con le quali si condividono sentimenti e speranze infrante.
E mentre in silenzio questa autentica tragedia umana e sociale si svolge e il Mezzogiorno non figura più nell’agenda politica nazionale dall’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica, al Sud due giovani su tre sono senza lavoro, invece di investire in formazione qualificante presso le aziende si finanziano corsi-fantasma i cui esiti sovente impegnano le Procure della Repubblica, alcuni treni viaggiano a 20 km l’ora e i fondi Ue vanno a sagre e sale bingo. La Sicilia è la terza isola più bella del mondo per l’Unesco, vero e proprio baricentro del Mediterraneo, ma le Baleari hanno 11 volte più turisti e 14 volte più voli charter. Per tacere della gestione dei rifiuti da parte delle eco-mafie, dell’assenza di infrastrutture strategiche, di burocrazie inefficienti e parassitarie, di devastazioni ambientali all’insegna della cementificazione selvaggia.
Certo, grandi sono le responsabilità che, dall’Unità d’Italia in poi, sono da attribuire per questa situazione all’egemonia economica del Nord. Ma anche responsabile é un ceto politico meridionale inadeguato e sovente arraffone. Il grande meridionalista Gaetano Salvemini definiva molti dei politici del Sud prima dell’avvento del fascismo (del quale fu intransigente oppositore sino all’esilio), come “paglietta”: “Naturalmente, i deputati eletti da queste clientele fameliche non hanno bisogno di essere né uomini di ingegno, né uomini onesti, né figure politiche nettamente determinate. Tutt’altro. Per rispondere ai bisogni degli elettori bastano, anzi occorrono, degli sbriga-faccende qualunque, senza scrupoli, senza convinzioni personali e senza dignità”.
E la situazione è destinata a incancrenirsi: al Nord sono ancora più forti il ruolo e il potere dei ceti imprenditoriali e il regionalismo differenziato devasterà definitivamente la già flebile coesione nazionale, mentre la flat tax opererà come un Robin Hood alla rovescia.
Considerata l’inadeguatezza della politica meridionale i cittadini del Sud devono mobilitarsi dal basso.
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