ECCO QUATTRO COSE CHE OGGI NON POSSIAMO PIÙ DIRE, di Alberto Benzoni, da L’Avanti! della Domenica n.45 del 26 dicembre 2010
08 gennaio 2011
La prima è “Berlusconi è finito”. Finito un accidente. Sarà “finito” (e anche allora non si rassegnerà e griderà al complotto) solo quando sarà sconfitto alle elezioni. Alle elezioni: e cioè dal popolo. E non dalla magistratura, dagli scandali, da Di Pietro, dai precari in lotta o da questa o quella ipotetica combinazione parlamentare.
Pretendere, poi, che si riconosca tale perché la vecchia maggioranza si è ridotta da quattro a due componenti, significa non capire nulla del personaggio. Il Nostro di numeri conosce l’Uno (lui stesso) e i milioni - di - milioni (il popolo acclamante); le “componenti”, poi, le ignora totalmente. Perché l’Uno non tratta con un collettivo; acquisisce (diciamo così) i singoli. E’ questa la vera vergogna di questi giorni: non il prezzo corrisposto per le singole vacche, ma che il relativo mercato sia stato inaugurato ufficialmente dallo stesso presidente del Consiglio.
Dopo il 14 dicembre c’è poi una seconda cosa che non possiamo più dire: che “le elezioni vanno assolutamente evitate perché sarebbero una iattura per il Paese”.
Molti hanno interpretato questo concetto come una implicita affermazione di debolezza; insomma come “le elezioni vanno evitate perché le vincerebbe Berlusconi”. Sino al 14 dicembre si trattava di una interpretazione maliziosa, perché sostenevamo che la sconfitta del Cavaliere avrebbe aperto la strada a soluzioni intermedie (o “di responsabilità”) valide di per sé e non semplicemente volte a ritardare una scadenza. E però queste soluzioni si sono rivelate impraticabili. E quindi tornare a dire oggi che le elezioni vanno evitate equivale a dire “meglio tenersi il Berlusconi che ha vinto nel 2008 piuttosto che avere sul groppone un Berlusconi vincitore nel 2011”.
E qui veniamo alla terza “parola d’ordine”, quella del”governo di responsabilità”(d’ora in poi Gdr).
Il tema non va affatto liquidato come un ferrovecchio o una invenzione strumentale. Deve però essere formulato diversamente. Non possiamo più dire “il Gdr per evitare le elezioni”, ma piuttosto “una proposta di Gdr su cui vincerle”.
La variazione è essenziale perché, diciamo la verità, i discorsi fatti sinora sull’argomento sono di una genericità abissale. A partire dal fatto che il Gdr ha avuto moltissimi sostenitori, ma nessuno che si sia assunto la paternità responsabile della proposta. Così, a sentire gli esponenti del Pd la soluzione sarebbe dovuta arrivare da una decisione autonoma di Napolitano, ma in uno scenario imprecisato e, comunque, poco plausibile (prima delle elezioni l’ipotesi non esiste, dopo non sarebbe praticabile se non in un parlamento bloccato ma, anche allora, dove sarebbero i numeri?), con un “salvatore della patria” ancora “in mente dei” e con un disegno politico-programmatico ancora tutto da verificare.
Tutt’altra cosa sarebbe, invece, se il Pd (e, assieme a questo, altre forze) si assumesse, in prima persona, la responsabilità della proposta facendone l’asse della sua campagna elettorale e dicendo con chiarezza agli italiani che, oggi, non è all’ordine del giorno la rivincita del socialismo, della sinistra contro la destra o, più volgarmente della spesa pubblica per tutti contro i tagli, ma piuttosto la ricostruzione di un Paese moralmente, istituzionalmente, socialmente ed economicamente malato, che tale ricostruzione richiederà scelte consapevolmente dolorose e che queste potranno essere accettate solo se fatte proprie da un vasto arco di forze e impersonate da “papi stranieri”credibili.
In questo caso il Gdr, la sua natura e la sua funzione sarebbero, di per sé, il collante di una possibile coalizione antiberlusconiana, e la sua giustificazione politica.
Se il progetto sarà questo, potremo, infine, liquidare politicamente l’omaggio ipocrita alle “primarie come bagno di democrazia e fonte di legittimità”. E questo non perché ne temeremmo l’esito, la più che probabile vittoria di Vendola, e non in nome di una scelta politica, ma piuttosto, perché verrebbe meno l’oggetto del contendere, che non è, per chi non l’avesse ancora capito, la leadership del centro-sinistra ma la scelta del candidato premier da contrapporre a Berlusconi. Mentre, nell’ipotesi che auspichiamo, questo candidato dovrebbe, in ogni caso, non appartenere alla sinistra.