E SE I SOCIALISTI LASCIASSERO IL GOVERNO - Di Antonio Ghirelli - Il Riformista 19 Dicembre 2007
20 gennaio 2008
L'anno del declino italiano si chiude nella massima incertezza. Sulla destra, i nervosi sbandamenti di Berlusconi hanno scompaginato la coalizione, isolando Bossi, esasperando Fini e accrescendo le nostalgie centriste di Casini; sulla sinistra, la paradossale intesa tra il Cavaliere, Veltroni e Bertinotti ha seminato il panico nei piccoli partiti, ma sembra soprattutto destinata a infrangersi sullo scoglio della coriacea resistenza di Prodi e di un'ostilità di D'Alema tutta, però, da provare. Naturalmente, è più facile che si ricostituisca alla meno peggio la Casa delle Libertà che non il variopinto arcobaleno dell'ex-Ulivo nel quale il bianco e il rosso si mescolano nei gruppi più forti, come dimostrano l'intransigenza dei cattolici nel Pd, le reazioni discordi nella maggioranza alle "gaffes" del Tesoro, le frizioni sotterranee tra Prodi e Veltroni e, in Rifondazione, tra Giordano e Vendola. La soluzione meno improbabile di questo pasticcio è la celebrazione del referendum, che presenta per Prodi il vantaggio di tenere in piedi il governo e per i parlamentari quello di conservare la speranza di arrivare alla famosa pensione dei 36 mesi, si fa per dire, di lavoro. In questo vivace panorama, per noi poveri socialisti mancano non dico vantaggi o arcobaleni, ma prospettive. Il sistema mediatico osserva, nei nostri riguardi, un rispettoso silenzio come si fa con un ammalato che finalmente ha preso sonno. Noi dormiamo praticamente dal giorno in cui il presidente Scalfaro si rifiutò di firmare il decreto che sappiamo, pur avendo figurato nel governo Craxi nientemeno che come ministro dell'Interno. Stiamo preparando la Costituente per resuscitare l'infermo, ma nessuno ne parla, sempre per paura che si svegli sul serio, scompigliando le carte del Partito democratico e della Cosa Rossa. E allora, come avrebbe detto il vecchio Lenin (ignaro della sorte che gli preparava l'onorevole Diliberto), allora che fare? Mi sono permesso di avanzare, a questo riguardo, una modesta proposta al convegno che si è tenuto nel fine settimana nella sede del Partito radicale, con l'intervento di non moltissimi compagni tra i quali però figuravano Pannella, Salvarani, De Michelis e Formica. Grazie alla fraterna ospitalità che mi offre il direttore Franchi, la illustro in poche parole nella lusinga che possa suscitare qualche interesse tra i lettori del Riformista . A mio avviso, noi non abbiamo nulla a che fare con il governo Prodi e tanto meno con la pur pregevole iniziativa di Veltroni e del Cavaliere. Noi, tra la rinuncia alle battaglie laiche del Partito democratico (di cui ha scritto da par suo sabato Luciano Pellicani), e le frenesie pseudo-rivoluzionarie del quartetto Mussi-Diliberto-Giordano-Pecoraro Scanio, abbiamo il dovere di tornare a combattere senza pretese immediate di rappresentanza parlamentare e di successi stellari, la buona battaglia: ricostituire un Partito socialista con un programma adeguato alle esigenze della società post-industriale e alla difesa, contro le storture di questa società, dei giovani, dei lavoratori e del Mezzogiorno; saldare, naturalmente in base alle regole della nuova legge elettorale, un'alleanza con tutte le forze che condividono la nostra vocazione sociale e laica, ossia i compagni diessini francamente riformisti, i radicali, i repubblicani, i liberali e le componenti social-democratiche della Uil e della Cgil. Probabilmente un passaggio, motivato e disinteressato, dalla presenza nel governo all'appoggio esterno ci gioverà anche in termini mediatici e il cielo sa se ne abbiamo bisogno. Comunque, se riusciamo a farlo con la passione e la serietà che l'obiettivo esige, non resteremo certamente soli, anche se ci vorrà qualche anno per tornare a contare nella nostra naturale sede, la famiglia socialista europea. E saranno, naturalmente, soprattutto i giovani a giocare questa partita: noi, nella misura delle nostre forze, daremo una mano.
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