DUE PROPOSTE SOCIALISTE PER IL GOVERNO DELLA REGIONE, Sintesi dell’intervento di Roberto Biscardini, Saronno, 16 ottobre 2010
30 ottobre 2010
La storia della Regione Lombardia di questi ultimi quindici anni è la storia di Roberto Formigoni, della sua alleanza e simbiosi con il berlusconismo, dell’occupazione dell’istituzione regionale attraverso Comunione e Liberazione, del mercimonio che si è realizzato tra lui e la Lega Nord.
Formigoni per quindici anni ha leccato il pelo al razzismo della Lega.
In cambio la Lega ha consentito a Formigoni di impiantare un sistema corrotto e malato invasivo, che è rimasto dal ’95 in poi assolutamente e stranamente impunito.
Fino alla vicenda inquietante delle firme false e quindi della legittimità dell’elezione di Formigoni.
L’altra faccia del formigonismo è stata per quindici anni un centrosinistra senza cuore e midollo spinale, senza idee guida sulle quali organizzare un’opposizione credibile.
Per Formigoni l’idea guida del governo della Lombardia e della Lombardia è stata il potere, messo al servizio di una gigantesca promessa. Quella di poter arrivare con sussidi, piccole prebende, bonus, aiuti individuali e contributi in ogni casa. Offrendo ai cittadini lombardi non una risposta globale sul terreno delle politiche sociali, infrastrutturali e per lo sviluppo economico nella loro complessità, ma illudendo i cittadini lombardi, le loro famiglie, in ragione del loro status o della loro attività con particolare riferimento al grande numero di lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, imprenditori e professionisti, che la Regione avrebbe fatto qualcosa per ciascuno di loro, individualmente.
Questo gigantesco imbroglio, anche comunicativo, ha rappresentato un pezzo della grande rivoluzione della Seconda Repubblica regionale. Non più una politica per tutti i nove milioni di abitanti, non più una politica per tutto il territorio regionale, ma la frammentazione delle politiche, che hanno significato la frammentazione degli interventi sul piano sociale ed economico (che si è concretizzata nella corruzione dell’intervento individualistico) e la frammentazione degli interventi sul piano territoriale (che si è concretizzata nella permissività del lasciar fare, del lasciar costruire, dell’invadere il territorio, secondo gli interessi della rendita e della speculazione immobiliare).
Noi socialisti accusiamo per prima cosa il governo regionale di non avere un’idea della Regione e di avere smantellata, per interessi propri, quella che avevano ricevuto in eredità dalle politiche precedenti, prima del suo avvento nel 1995.
Quella che aveva ricevuto in eredità era la grande idea di città Lombardia, la città di nove milioni di abitanti, per la quale si era definita ed individuata una strategia nella programmazione urbanistica e degli interventi strutturali ad essa coerente.
Non è un caso che, senza questa strategia, Formigoni sia riuscito a sfasciare il grande progetto del potenziamento di una sistema ferroviario regionale integrato. Lo ha riproposto pochi mesi fa, riprendendo la nostra proposta, ma come idea societaria, non come una grande idea urbanistica.
Non a caso, all’idea di una Lombardia organizzata per città e per poli, da rafforzare anche come strumento di tutela del paesaggio agrario e naturalistico, Formigoni ha contrapposto l’espansione degli insediamenti a macchia d’olio, l’occupazione disordinata di insediamenti residenziali o commerciali su tutto il territorio regionale, raggiungibili soltanto con il mezzo automobilistico. Le poche scelte strategiche dal punto di vista urbanistico sono state assolutamente sbagliate, a partire dall’unica grande scelta: l’ubicazione della Fiera sulle aree di Rho-Pero, con il corollario di quelle private dell’Expo, le più congestionate e ormai inaccessibili della regione.
Di conseguenza, la politica ambientale di Formigoni è stata oltre che dannosa, a dir poco ridicola: da un lato estendere l’edificazione su tutto il territorio, aumentare così la congestione e quindi l’inquinamento dell’aria su tutta la Regione, ma contemporaneamente far credere che l’aria di Milano e della Lombardia si pulisca obbligando i cittadini di andare a piede qualche domenica invernale, programmata in anticipo al di là che sia o no inquinamento, che ci sia vento, acqua o bel tempo.
Sul piano sociale si è fatto scempio della scuola pubblica e si è indebolita la sanità, sempre di eccellenza in Lombardia, per favorire quella privata. Sanità privata che non ha aumentato l’offerta, ma aumentato i profitti di quella categoria di imprenditori.
Potremmo fermarci qua, ponendo queste questioni come le battaglie principali da condurre nella società e nelle istituzioni lombarde per una nuova Regione Lombardia.
Ma ne aggiungo ancora due, in sintonia con la battaglia per la moralizzazione del sistema politico ed istituzionale italiano.
1. La Regione vive ormai una crisi istituzionale che ha risvolti pesanti sul terreno democratico. Io sono contro l’elezione diretta del presidente della Regione. Questo presidenzialismo ha mortificato la democrazia e cambiato le regole del gioco. I governatori, che governatori non sono, non sono garanzia per il buon governo di una regione come quella lombarda.
Elezione diretta di un Presidente, con annesso premio di maggioranza alla coalizione da lui guidata, presidente che fa parte di un consiglio posto alle sue dipendenze (fino al punto che se cade il presidente trascina l’intero consiglio ad elezioni anticipate) è l’esempio più recente di quanto sia diventata malata e distorta la nostra democrazia.
Darhendorf in un suo saggio ha scritto: “Il pericolo maggiore nel darsi nuove istituzioni democratiche è quello di commettere un errore di ibridazione” combinando cioè un pezzo del sistema presidenziale con un pezzo di sistema parlamentare.
E questo è esattamente ciò che regola la forma di governo delle nostre regioni.
Inoltre, il consiglio regionale per volontà della sua maggioranza, nonostante la legge del 1999 desse a lui la facoltà di legiferare in modo autonomo in materia di statuto e di legge elettorale, non ha finora prodotto nulla.
Sono passati da quella data più di 10 anni invano, ma anche il centro sinistra non si è mosso gran che tanto, perchè si applicasse una modifica costituzionale peraltro da lui voluta e votata.
Ormai è chiaro che l’efficacia dell’azione regionale e la trasparenza della sua politica anche di spesa (si pensi quanto sia oggi indebolito il potere di controllo sull’esecutivo di un consiglio votato con premio di maggioranza) passa per una scelta chiara tra un sistema presidenziale con elezione diretta del presidente e separazione netta dal potere legislativo, modello americano, o un sistema parlamentare, con presidente eletto dal consiglio, come avveniva prima del 1995 e come avviene nella maggioranza di molti paesi del mondo.
Noi socialisti non abbiamo la forza numerica per imporre il nostro pensiero, ma abbiamo la forza di riaprire la questione.
Propongo che siano i socialisti a porre la questione che siano i cittadini lombardi a scegliere la forma di governo e del sistema elettorale della nostra regione, attraverso l’indizione di un referendum consultivo/propositivo. Che siano i cittadini a scegliere se vogliono o no l’elezione diretta del presidente, presidenzialimo, o se vogliono essere governati, come a livello nazionale, da un sistema parlamentare. Sulla base di questa scelta ne dovrà conseguire un sistema elettorale coerente e conseguente.
Avete mai sentito un esponente del PD o di SEL affrontare questo tema? No, perchè in regione vige il principio del quieto vivere e, per interessi o no, Formigoni nessuno lo disturba.
Apriamo noi una grande campagna contro Formigoni, come persona e come materializzazione di un obbrobrio istituzionale.
Abbiamo tempo davanti per indire e organizzare un referendum, vi immaginate l’impatto che avrebbe persino a livello nazionale?
2. I comuni sono in difficoltà economica da anni, e da anni tendono a far cassa con gli onori di urbanizzazioni che incassano in ragione di nuove concessioni edilizie. C’è quindi una spirale perversa seconda la quale si costruisce, favorendo rendita e speculazione edilizia, non perché si ha bisogno di quegli interventi edilizi o perché si sono fatte particolari scelte urbanistiche, ma per far soldi con gli oneri di urbanizzazione e anche di costruzione. Anzi, i centri commerciali valgono di più della residenza e si spiega anche così la proliferazione di tanti orribili e ingombranti centri commerciali nelle nostre campagne lombarde. Quindi per far soldi si costruisce il più possibile senza alcuna strategia urbanistica. Ciò non giusto.
Propongo che siano i socialisti ad aprire questa questione: si possono garantire agli enti locali le risorse necessarie alla loro vita senza bisogno di dover incrementare a dismisura l’edificato per far cassa con gli oneri e contributi conseguenti? Penso di si, anche perché alla fine, in modo o in un altro, una strada dovrà essere trovata.