DUE PAROLE A SALVATI SULL'ORGOGLIO COMUNISTA – di Emanuele Macaluso, da il Riformista del 27 febbraio 2007

05 marzo 2007

DUE PAROLE A SALVATI SULL'ORGOGLIO COMUNISTA – di Emanuele Macaluso, da il Riformista del 27 febbraio 2007

Democrats. perché noi socialisti dobbiamo stare attenti a Mussi e il PD no?

Michele Salvati, in un articolo apparso sabato sul Riformista, ha messo in guardia i socialisti a non far fronte comune con Mussi, Salvi e i loro amici di corrente «depositari dell'orgoglio comunista nei Ds», i quali «fino a ieri quando sentivano la parola “socialisti” e “socialdemocratici” reagivano con ribrezzo». Ci chiediamo: ma non era Massimo D'Alema il principale depositario «dell'orgoglio comunista»? Se poi dovessi elencare chi ha mostrato disprezzo per i socialisti, scorrendo l'elenco dei firmatari della mozione congressuale di Fassino, che Michele Salvati dice di volere votare, dovrei usare due pagine del Riformista. Ma vediamo, a proposito «dell'orgoglio comunista», cosa pensava D'Alema, dopo la svolta della Bolognina. A ricordarcelo è Andrea Romano nel suo libro Compagni di scuola. Massimo parla di una «idealità comunista che non è riconducibile al totalitarismo che sopravvive al crollo del movimento comunista e che può essere parte di una sinistra rinnovata». E sul tema dell'orgoglio comunista afferma che «il Pci non è stato travolto dal crollo del muro di Berlino, perché la storia e la cultura del comunismo italiano sono parte della democrazia italiana ed europea e perché i grandi, tumultuosi cambiamenti dell'Est portano anche il segno della nostra critica e della nostra battaglia».
Penso che nelle parole di D'Alema ci sia della verità, ma non si può dire che non siano espresse con «orgoglio». E sulla «sinistra rinnovata» e sui socialisti, sempre D'Alema così si esprimeva nel 1991: «L'unità socialista era una grande idea ma senza Craxi. Allora avevamo una sola scelta: diventare noi il partito socialista». Nel 1991 non c'era stata ancora Tangentopoli, quindi il giudizio sul Psi di Craxi è sulla politica e si colloca sulla scia dello scontro Pci-Psi degli anni ottanta e della svolta occhettiana. Questo D'Alema. Ma anche gli altri ds promotori del Pd (tranne quelli che provengono dall'area riformista) sono tutti sulla traiettoria dalemiana. E se seguite bene i loro ragionamenti sul Pd il filo del discorso è lo stesso ed è quello che recentemente ha ribadito D'Alema a Firenze: nel Pd occorre travasare la cultura che fu del Pci e quella dei cattolici democratici. Quindi, se si esclude qualche aspetto tattico, la cultura politica socialista non è parte del discorso.
So bene che Mussi, Salvi e coloro che sono stati nel Correntone hanno posizioni politiche su temi rilevanti che non collimano con quelle del riformismo socialista, ma il fatto che vogliano collocarsi dentro le mura del Pse significa che il loro riferimento, almeno nella dialettica politica, sarà il riformismo socialista. Nel quale invece non si riconoscono Rifondazione comunista e gli altri gruppetti della sinistra massimalista. Con i quali non è proprio pensabile progettare un partito socialista. Bertinotti dovrebbe concludere le sue riflessioni critiche con più chiarezza. Nella sua intervista di ieri a Liberazione dice che «non si può appendere l'utopia concreta alla conquista del governo». Non so cosa sia «l'utopia concreta», quel che so (lo diceva anche Gramsci) è che un partito è tale se si pone il problema del governo del Paese come elemento costitutivo del suo essere.
Per tornare a Salvati, osservo che il vero discrimine, oggi, è l’adesione al socialismo democratico che si ritrova nel Pse. E dovrebbe esserlo anche per quei Ds che lavorano con Prodi e Rutelli per dar vita al Partito democratico. Con il quale, leggo in una pagina pubblicitaria sul Pd dell’Unità di domenica, Fassino e i firmatari della sua mozione vogliono «rinnovare il riformismo europeo e unirlo in un comune impegno con la famiglia socialista, per costruire un campo progressista più ampio che svolga un ruolo rilevante in Europa e nel mondo». E il Pse? A ben vedere permane, come dopo la svolta, una posizione di estraneità al socialismo democratico. Sempre dal libro di Romano riprendo un giudizio di Aldo Schiavone su alcuni momenti della politica del Pci, il quale «si alimentava dell’idea che la società italiana fosse per le sue irriducibilità e peculiarità, un laboratorio politico unico al mondo dove i ritardi si sarebbero potuti rovesciare in anticipazioni, e dove sarebbe stato possibile inaugurare soluzioni del tutto inedite: quindi anche rimettere finalmente sulla giusta strada la storia mondiale del socialismo». Cosa dire? Ieri col Pci oggi con Pd si alimenta la “feconda anomalia italiana”.
P.S.: Scusa Michele, se Mussi, Salvi e compagni restano nei Ds come tu auspichi, e vengono nel Partito democratico, avete trovato il vaccino per immunizzarvi «dall’orgoglio comunista» di cui sarebbero portatori? O a proteggersi debbono essere solo i socialisti?

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