DRAMMI, GUERRA, CAPITALISMO di Franco Astengo del 28 agodto 2015

02 novembre 2015

DRAMMI, GUERRA, CAPITALISMO  di Franco Astengo del 28 agodto 2015

E’ tempo di drammi epocali e che ha affermato che il tempo dello sfruttamento era finito e che padroni e operai “sono sulla stessa barca” è tragicamente servito dai fatti.
Il riferimento è alle persone, agli esseri umani, uomini e donne, che arrivano dagli angoli più martirizzati del mondo a morire di fatica nelle campagne del Mezzogiorno d’Italia: muoiono in cambio di salari al di sotto del livello di fame; muoiono dalla fatica come non accadeva nemmeno nei campi delle piantagioni di cotone del Sud descritto da Harriet Becher Stowe.
Un capitalismo ancora più arretrato di quello della prima rivoluzione industriale, un capitalismo dalla volontà di sfruttamento “puro” che tratta gli esseri umani, uomini e donne, come schiavi e addirittura occulta i cadaveri degli “innominati” che non reggono la fatica.
Nello stesso modo, come schiavi, debbono essere considerati le centinaia di migliaia di migranti che errano per l’Europa del Sud cercando ri risalire verso il Nord, con partenza dai luoghi di guerra: luoghi di guerra che attraversano una lunga striscia dall’Asia Centrale all’Africa sub-sahariana (ma non sono i soli luoghi del mondo teatro di migrazioni incontrollate dettate dal bisogno: pensiamo alla frontiera tra il Messico e gli USA e a quella tra la Bolivia e l’Argentina).
Migranti sui quali si abbatte la più pura speculazione di una accoglienza basata su di una “caritas” molto pelosa adottata da personaggi che fondono assieme corruzione e folgoranti carriere politiche: in prima linea ci sono addirittura gli appaltatori della messa in opera di centinaia di chilometri di filo spinato.
Guerra e sfruttamento sono le due facce della stessa medaglia del capitalismo di sempre, un capitalismo gestito con le sempiterne logiche della ferocia.
Una ferocia dalla quale derivano le logiche della fuga comunque, una fuga dettata dall’inseguimento della miseria, dell’impossibilità di una convivenza minimamente civile, dell’impossibilità stessa della sopravvivenza.
Intanto i “mercati” impazzano, l’idea di far “soldi” con i “soldi” (la finanziarizzazione dell’economia descritta da Hilferding) causa tensioni fortissime, impoverimento generale in zone del mondo dove si era cercato di far apparire facile il vecchio motto “arricchitevi”.
L’ “arricchitevi”, però è sempre privilegio di pochi capaci di sfruttare (ancora una volta questo verbo da declinare all’infinito) precipitando i più nella miseria, nella disperazione, nell’abbruttimento.
Sotto questo aspetto non ci sono scorciatoie: l’ “arricchitevi” individualistico non può essere coerente con l’eguaglianza, anzi ne rappresenta il contrario. “Arricchirsi” significa “Sottrarre”.
Il capitalismo sta mostrando la corda, altro che sistema sempiterno e “fine della storia” come si era pensato alla fine del secolo scorso quando cadde il “socialismo reale” facendo perdere di significato anche alla stessa socialdemocrazia classica che tutti abbandonarono in nome dell’ideologia del mercato senza limiti, del globalismo della sopraffazione.
L’aumento esponenziale delle diseguaglianze a livello planetario sembra però essere oggi l’elemento prodromico per una fase di crollo.
Una tesi che già si trova in Marx ma che per concretizzarsi ha bisogno comunque, comegià scriveva Claudio Napoleoni , di non essere considerato una semplice "tendenza oggettiva" ma acquisterebbe una sua valenza solo come premessa reale della "lotta di classe, dello scontro a livello soggettivo", il cui esito "non può essere prefigurato in anticipo".
E’ necessario considerare nuovamente queste parole con grande attenzione.
Guerra e capitalismo, fenomeni conseguenti l’uno all’altro sono la causa immediata e diretta del dramma di quest’epoca, come già accadde in altre fasi storiche.
Siamo alla fine del ciclo, tutto crollerà come un castello di carte, lasciandosi dietro una tragica scia di sangue e di miseria?
Una società ingovernabile se non con il pugno di ferro di nuove dittature, come del resto era già stato dimostrato nei primi esperimenti di questa nuova fase aperta tra la fine degli anni’60 e i primi ’70 (in conclusione dei 30 “gloriosi”) dai colonnelli greci e da quelli cileni, installati al potere dalla CIA e dai “Chicago boys”?
Questo l’interrogativo che è indispensabile porsi sapendo come non esista una risposta immediata ma anche essendo consapevoli che la chiave del futuro sta ancora nel considerare questi fenomeni l’oggetto della lotta di classe.
Lotta di classe da definire come sempre attraverso l’imperativo marxiano: “Proletari di tutto il mondo unitevi”!
Intendiamoci: non si tratta di semplicismo o impazienza rivoluzionaria.
Uno slogan sempre valido e da non dimenticare anche quando si elaborano le analisi sociologiche più sofisticate, perché andando alla sostanza di questa società continua ad esistere (ed è la maggioranza di chi arranca la propria vita su questa terra) chi non ha da perdere più neppure le proprie catene.

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