DOVE ERAVAMO RIMASTI E DOVE VORREMMO ANDARE. SPUNTI PER UNA DISCUSSIONE SUL NUOVO PARTITO RADICALSOCIALISTA – di Franco D’Alfonso, con il contributo di Dario Carella e Sergio Vicario, 28 novembre 2005
05 dicembre 2005
L’ora dei socialisti
Molte cose indicano come possa essere nuovamente at-tuale una nuova presenza dei socialisti nel dibattito politico.
L’approvazione della legge elettorale proporzionale archivia il bipolarismo maggioritario e leaderistico che si è affermato in Italia negli ultimi dieci anni , a dispetto del fatto che l’apparente confronto alle imminenti elezioni politiche vedrà ancora protagonisti Berlusconi e Prodi, come nel 1996. La sensazione è però quella che i due siano in realtà dei novelli spadaccini, che continuano a combattere non accorgendosi di essere (politicamente) morti.
La pro-posta del nuovo soggetto politico che sintetizzi e rilanci la tradizione radicale e quella so-cialista, restituendo al dibattito politico una presenza politica autenticamente moderniz-zatrice e liberalsocialista si può rivelare il valido terreno sul quale sarà possibile un ritor-no alla politica ed all’impegno , attraverso una sorta di sempre vagheggiata e mai realiz-zata Epinay italiana, un congresso che porti alla nascita di un partito erede della tradizio-ne liberalsocialista e radicale, guidato da una donna non proveniente dalla vecchia sezio-ne dell’Internazionale e da un gruppo dirigente di diversa ed eterogenea provenienza, giovane e motivato , accanto al quale è presente un sinedrio di vecchi militanti e dirigenti che collaborano fattivamente, con passione non velata dai rancori, al successo della nuo-va formazione politica.
Il nuovo partito potrà vedere la luce e potrà avvalersi di tutte le forze disperse della diaspora socialista ad alcune condizioni precise poste a noi prove-nienti dal vecchio tronco socialista.
La cesura dei tredici anni che ci dividono dalla scomparsa del Psi e dalla mancata iniziativa radicalsocialista con la guida di Marco Pan-nella, deve essere riempita, e non può esserlo con il rancore, la delusione, il dolore; dob-biamo capire, noi prima di ogni altro, le ragioni politiche per le quali il Psi ha perso la sua partita negli anni novanta, prima di Tangentopoli e dell’ondata giustizialista.
In un Paese dominato dalle due maggiori forze popolari, quella cattolico-democristiana e quella comunista, mancò, dopo l’esperienza del Governo a guida socialista, la capacità di passa-re – come ha ben spiegato Simona Colarizzi – attraverso la ‘cruna dell’ago’. Il compito non era facile, ma quella era la sfida che il gruppo dirigente del PSI non seppe affrontare, perdendo in tal modo sostegni e simpatie di significativi pezzi di quella parte di élite e di ceti sociali che avevano creduto nelle promesse di modernizzazione della politica, dello stato e del Paese che il PSI stesso aveva evocato.
Nel nuovo soggetto politico dovrà valere una “legge del ritorno” politico socialista, per la quale hanno diritto di cittadinanza tutti coloro i quali hanno formazione, cultura, ideali che si richiamano alla tradizione so-cialista, indipendentemente dalla collocazione avuta in questi anni e senza che si possa chiedere conto a nessuno di scelte per le quali, in piena coscienza liberale, si è responsa-bili solo verso se stessi. Lo spirito censorio, i “calci in culo selettivi” e tutto l’armamentario moralista e purista che era connaturato al sistema maggioritario uninomi-nale, dominato dalla presenza del solito “più puro che ti epura” di nenniana memoria, è la cartina di tornasole, l’analisi del Dna politico che potrà permettere ai liberalsocialisti di evitare la frequentazione politica di cattive compagnie.
Queste sono a nostro avviso le precondizioni da porre a noi stessi per poter partecipare al confronto con i compagni radicali e con i tanti liberali oggi senza patria politica, liberi da condizionamenti e quindi liberi di proporre, confrontarci, scontrarci come è sempre avvenuto nel corso della no-stra storia.
Le ragioni della sconfitta
Il punto di partenza della no-stra riflessione deve necessariamente passare dalla consapevolezza che la sconfitta politi-ca si è manifestata, in maniera tragica, con il tempo di Tangentopoli, ma si è determinata ed è stata resa possibile dalle vicende precedenti.
Se siamo convinti, come lo siamo, che il Psi di Craxi avesse politicamente ragione, qual è stata la ragione per la quale al momento di cogliere il frutto di tanto lavoro, con il crollo dell’impero comunista, i socia-listi hanno potuto essere vittime di una operazione trasformistica in stile rumeno, che ha portato all’inversione dei ruoli tra buoni e cattivi ed all’occupazione di tutto lo spazio po-litico, con il ruolo di vincitore, da parte degli sconfitti dalla storia e dalla politica?
E’ evidente che la debolezza del Psi come partito, la distanza che si era venuta a creare tra gruppo dirigente e sostenitori/elettori, l’interruzione del canale di partecipazione e con-fronto tra dirigenti e militanti, è fra le ragioni più importanti.
L’aver trascurato il grande valore di un partito democratico come il Psi di organizzatore del consenso e della partecipazione, nello spirito dei grandi partiti democratici che hanno fondato la Repubbli-ca Italiana, a vantaggio di una concezione proprietaria, di una selezione di dirigenti basa-ta sulle fedeltà e non sulle competenze, ha privato il partito stesso del sistema nervoso, della capacità di ascoltare, in una parola di quel complesso sistema di allarme politico e di verifica degli umori popolari che era dato dal radicamento sociale del partito e che non poteva e non può essere sostituito dai sondaggi d’opinione.
E’ mancato, forse di con-seguenza, il coraggio e la lucidità politica per dare seguito e forza all’ultima delle intui-zioni politiche di Bettino Craxi, il perseguire l’obiettivo dell’ Unità Socialista e della con-seguente, allora possibile affermazione dell’alternativa democratica, di un cambio ed un rinnovamento di classe dirigente dell’intero Paese, sulle posizioni modernizzatrici in ma-teria economica e sociale che solo il Psi, con l’apporto radicale nel campo dei diritti civili, ed in misura minore dei partiti laici, aveva saputo esprimere.
Un peso non irrilevante , tra le ragioni della sconfitta, deve essere naturalmente attribuito alla diffusa presenza di personaggi che hanno utilizzato il proprio ruolo nel Partito o nelle istituzioni al solo fine dell’arricchimento personale e dell’accumulo di un potere tanto appariscente quanto poli-ticamente sterile: non è certo un caso che l’attacco giustizialista si sia potuto sviluppare dopo aver consolidato una solida base proprio attraverso la persecuzione dei numerosi e spesso plateali reati da loro commessi, creando un clima politico favorevole alla furia po-pulista e demagogica.
L’interruzione del canale di comunicazione con la società mi-se il partito ed il suo gruppo dirigente nell’incapacità di percepire le forme attraverso le quali la volontà di cambiamento trovava il modo di manifestarsi , come si evinse chiara-mente in occasione del referendum sul voto di preferenza , e soprattutto lo rese impotente a far apprezzare le proprie indicazioni e ragioni, ancora così valide e politicamente pre-veggenti, come, per restare sull’esempio elettorale, nel dibattito sull’introduzione di un si-stema uninominale, visto dal Psi come grave rischio di formazione di notabilati locali au-tonomi dalla politica ed in grado di condizionarla pesantemente.
A Milano in partico-lare, dove il Psi era chiaramente riconosciuto come la guida della sinistra ed il portatore di esperienze di un sistema di governo dell’alternanza , l’aver elevato al rango di classe di-rigente amministrativa portatori di tessere ‘al portatore’, vale a dire con ‘tesserati fanta-sma’, oltretutto scoperti a gettare denaro nello sciacquone, a danno di forze, intelligenze e professionalità che pure esistevano ed erano disponibili ad un impegno proprio a fianco dell’amministrazione socialista, è stato il più grave errore che si potesse commette-re.
La legge del ritorno
I compagni radicali ci ricordano giustamen-te ed in ogni occasione che il nuovo partito è qualcosa di più e diverso di una ritrovata u-nità socialista, e che la proposta politica da offrire deve essere proiettata nel futuro e non può essere vincolata da sovrastrutture del passato, siano esse il vecchio Psi o il Pr pannel-liano, pena il fatto di non essere interessante per gli italiani e gli elettori.
Questa ini-ziativa politica ha senso solo se si tratta di un nuovo inizio e non di un nuovo capitolo di un libro che ha già titolo ed autore definito, ed evidentemente condividiamo questo as-sunto. Ma ci deve essere consentito, proprio mentre ci accingiamo a rimettere le nostre capacità e la nostra passione al servizio di un ideale e di una visione politica nuova, di cercare e verificare il consenso e la solidarietà di tutti quelli che hanno condiviso la nostra militanza ed hanno la nostra stessa cultura e formazione: consapevoli che la ritrovata u-nità avrà immediato valore più per noi stessi, siamo altresì convinti che la nostra capacità di proposta futura sarà tanto maggiore quanto più potremo ritrovare e condividere le no-stre radici ed antiche solidarietà.
Gli anni della diaspora socialista in Italia hanno por-tato ad una dispersione di donne ed uomini nelle formazioni politiche vecchie e nuove, di destra e sinistra, oltre che, in gran numero, al ritiro nella dimensione privata.. Ex attivisti Psi hanno partecipato alla nascita di Forza Italia, cercando di orientarla verso quella ipo-tesi di “partito liberale di massa” cui pure i radicali di Marco Pannella mostrarono di cre-dere, soprattutto tra il 1994 ed il 1996; altri, specularmente, si sono ritrovati nell’alveo dell’ex Pci ora Ds, con la speranza di contribuire ad imprimere una svolta in quello che in Italia era diventato il maggior partito dell’Internazionale Socialista; altri hanno cercato una propria strada in luoghi politici improbabili, quali Rifondazione Comunista (pur sempre guidata da un ex socialista, seppure di una era politica precedente), e perfino in Alleanza Nazionale erede del vecchio Msi.
Accanto a quei compagni che hanno mantenuto aperta in tempi difficili la vecchia “ditta” come Sdi e Nuovo Psi, che hanno cercato di mantenere vive idee e memorie con le Fondazioni Craxi, Nenni, Rosselli; ve ne sono stati tanti altri che hanno cercato vie diverse, al limite ed oltre il limite dell’annacquamento e della dispersione della nostra identità. Non si è trattato oggettiva-mente di un tentativo fecondo, se misuriamo i risultati ottenuti in termini di affermazioni delle idee e delle proposte socialiste: l’ospitalità a persone ed idee fornita dalle diverse formazioni politiche italiane ai socialisti è rimasta, nel migliore dei casi, nell’ambito della cortesia frugale, mantenendosi una “damnatio memoriae” politica così totale che, ancora dieci anni dopo, uno schieramento politico rinuncia ad una decisiva ed importante chance di vittoria elettorale pur di non ridare effettivo spazio al socialismo riformista, come è ap-pena accaduto a Milano con lo sbarramento alla candidatura a sindaco di Umberto Vero-nesi.
La possibilità di un ritorno all’impegno ed all’elaborazione politica in un partito nel quale fi-nalmente il dichiararsi socialista non comporterà la necessità di aggiunte giustificative per poter mante-nere il diritto alla parola , riguarda tutti i compagni, senza eccezioni e senza richieste di autocritica , tipi-che di una tradizione politica che non è quella liberale e socialista e che non ci appartiene.
Il Psi indi-cò a Rimini, facendo propria la ‘teoria della giustizia’ di John Rawls reinterpretata attraverso le tesi sui “meriti e bisogni”, l’essenza della modernità dell’esercizio del potere, ottenendo un tale consenso che an-cora oggi appare inevitabile confrontarsi con esse, in un serio dibattito politico che si svolga fuori dai “re-ality show”: purtroppo la prassi fu quella di una scarsa attenzione ai meriti contrapposta ad una spesso maniacale attenzione ai bisogni privati individuali, ottenendo così una tale caduta di immagine e credibi-lità con la quale ancora oggi ci tocca fare i conti.
Il ruolo individuale
Il richiamo della foresta politico non può e non deve ovviamente annullare la storia individuale, degli ultimi dieci an-ni come dei precedenti: ma ciascuno di noi è chiamato, nel suo personale, ad un atto di generosità gran-dissima nei confronti della comunità politica che si sta cercando di costruire, valutando attentamente il ruolo che potrà giocare nella nuova avventura politica e riconoscendo agli altri la possibilità di farlo e-gualmente.
Ciò significa, preliminarmente, riconoscere a quei compagni che ricoprono incarichi elet-tivi conquistati in situazioni certo non agevoli, la conferma senza discussioni nelle prossime elezioni co-me “front runner” della nuova formazione.
Ma significa, soprattutto, riconoscere la necessità che il nuovo partito sia guidato da un gruppo dirigente che nel guidare l’azione, il dibattito, la proposta, l’innovazione, non sia ancorato alle esperienze del passato e dall’inevitabile peso della propria personale vicenda.
Ai protagonisti della passata stagione del socialismo italiano spetta un nuovo compito non meno importante: quello di assicurare un retroterra, una memoria storica, un apporto di esperienza indi-spensabile per far sì che quello che nascerà sia subito il più vecchio ed il più giovane partito d’Italia, con la capacità di affrontare le sfide del presente e del futuro senza dover infilare, per vergogna o per ignoran-za, la testa sotto la sabbia guardandosi alle spalle. Come fece , in circostanze certo diverse e di maggiore drammaticità, il Psoe all’indomani del ritorno della democrazia in Spagna, dove una direzione composta da militanti vissuti tra galere franchiste ed emarginazione politica, sociale e professionale, si affidò al gruppo di giovani guidato dall’allora sconosciuto trentenne Felipe Gonzales. Il quale seppe successiva-mente, di fronte alle difficoltà interne al partito che determinarono la vittoria della coalizione centrista, dar vita ad un nuovo rinnovamento che ha portato alla leadership di Zapatero.
Questa divisione di compiti e ruoli, in un partito dalle salde radici e convinzioni liberali, non potrà ovviamente avvenire at-traverso la definizione di regole, misure, commissioni di esame, ma sarà interamente responsabilità delle donne e degli uomini che si ritroveranno sul progetto politico.
Questione cruciale, in grado di com-promettere la riuscita dell’intero progetto politico, sarà interamente ascritta a nostro merito, in caso posi-tivo, o macchierà in maniera indelebile la nostra reputazione politica, se prevarrà una velleitaria volontà di rivincita.
I valori fondanti
Questo documento , anche a rischio di essere autore-ferenziale, è stato pensato e scritto per riprendere un confronto politico tra compagni di provenienza di area Psi: abbiamo per questo molto chiaro il rischio che si corre di cedere alla tentazione di trovare sem-plicemente il modo per riportare indietro le lancette dell’orologio politico , magari anche con un effetto collaterale sull’orologio biologico.
Ma questo rischio lo si evita proprio considerando il fatto stesso che ci si ritrovi a scrivere e leggere adesso e non in un altro tempo, è perché siamo nuovamente in una fa-se di cambiamento politico, nella quale è necessario riaffermare i valori socialisti e liberali, riaggiornati e rinvigoriti come vuole la legge della politica..
Un nuovo partito politico liberalsocialista oggi, nel tempo delle marmellate politiche e delle notti nelle quali tutte le vacche sono nere, trova la sua ragion d’essere anche sulla necessità di sostenere con chiarezza alcuni valori precisi, senza piegarsi alle norme del breve: la decisa scelta di campo per i valori e la cultura della democrazia liberale, in ogni situazione; il riconoscimento dell’avversario politico come tale e non come nemico ingiusto; la necessità di una visio-ne internazionale e globale della politica; la visione e la pratica della nostra società come comunità aperta all’accoglienza, ma ferma nella proposizione dei propri valori e delle proprie regole; la conseguente in-clusione di tutti coloro i quali vivono nelle nostre città e nelle nostre campagne alla teoria ed alla pratica di “meriti e bisogni”. Questo a partire da una realtà come quella di Milano dove oramai sono oltre 170.000 i ‘nuovi immigrati’ che hanno pieno diritto a rivendicare il principio ‘no taxation without repre-sentation’.
L’inclusione di questi potenzialmente ‘nuovi cittadini’ va attuata all’interno dell’assunzione di una più generale ed esplicita centralità del lavoro e delle politiche pro-labour, che de-vono saper tener conto di come il lavoro si sia venuto storicamente determinando. Politiche che devono saper accompagnare la crescita dell’autoresponsabilità con la creazione di effettive opportunità occupa-zionali, rese possibili da strumenti di formazione continua in grado di accompagnare i sempre più rapidi processi di cambiamento tecnologico. Il nuovo partito, assumendo questi principi, non dovrà aver paura di essere attaccato da sinistra come neo-liberista. La creazione di posti di lavoro sul modello dei forestali calabresi o dei lavori socialmente utili rappresenta l’opposto di una moderna ed efficace politica pro-labour perché crea rendite parassitarie che distruggono ricchezza.
Attraverso il lavoro, inoltre, il flus-so crescente e non arrestabile di immigrati, che sta dando vita ad melting-pot tricolore, può diventare un’effettiva opportunità per tutto il Paese.
Di questi valori occorre rendersi testimoni ed attori nella sinistra italiana e nell’Internazionale Socialista.
Vogliamo e dobbiamo condurre la battaglia per i va-lori liberalsocialisti in una sinistra italiana che, storicamente, li ha spesso ed in ogni modo osteggiati e dimenticati, che ancora oggi si ritrova preda e vittima di furori illiberali, di convinzioni artificiose che la vedono sempre dalla parte della giustizia e mai pronta a comprendere le ragioni degli altri, fossero anche avversari politici , di una sinistra che, pur di non riconoscere la supremazia ed il valore delle tesi riformi-ste si inventa improbabili operazioni di floricoltura locale, il cui valore si esaurisce inesorabilmente ai confini di uno Stato , che peraltro sono sempre meno i confini della politica. Le battaglie politiche si combattono nei luoghi politici deputati, non abbandonando il campo e lasciando altri possano camuffarsi con le proprie insegne.
Come avviene nell’Internazionale Socialista, dove Blair e Schroeder sono ri-masti e restano, senza certo rinunciare all’innovazione ed alla difficoltà del dibattito e dell’aggiornamento dei valori e delle proposte.
Non rinunciamo a sognare una società politica che si ritrova unita nella difesa dei valori della democrazia e della libertà, come è successo nella bella e finora unica occasione del-la manifestazione in difesa del diritto all’esistenza di Israele minacciato da un nuovo “Mein Kampf” letto in persiano ma pensato in antichi idiomi; e che sa confrontarsi anche duramente, ma correttamente , sulle diverse ricette e soluzioni , rispettosa della possibile alternanza di governo, che non è ad ogni suo verifi-carsi la riproposizione in farsa della tragedia nazionale di piazzale Loreto.
Elementi di pro-gramma
Come ben sappiamo, in politica come nella fisica, il vuoto non resta tale per molto, perché viene occupato rapidamente da qualcosa o qualcuno: i tempi per la costituzione del nuovo sogget-to liberale, radicale e socialista non resteranno favorevoli a lungo.
Nel documento di avvio del per-corso comune redatto a Fiuggi un mese fa è stato ribadito come la nuova iniziativa politica si basi su va-lori fondanti condivisi e sull’indicazione di un percorso immediatamente praticabile per la loro traduzio-ne in provvedimenti concreti e pratica di governo. Questa teoria e questo metodo saranno portati al con-fronto con la coalizione di centrosinistra, confronto nel quale si cercherà di renderli patrimonio il più pos-sibile comune con le altre forze politiche, in primo luogo quelle potenzialmente più affini in quanto laiche e riformiste.
Il documento finale di Fiuggi contiene un primo “timone” di una carta dei valori e dei programmi dei liberalsocialisti, ben strutturato soprattutto sul versante delle libertà civili. L’integrazione ed il suo completamento sulla politica internazionale, sul versante istituzionale ed economico-sociale è il compito più immediato da svolgere nelle prossime occasioni di incontro.
In questo documento, che è stato redatto e pensato con una finalità evidentemente diversa, vale comunque la pena di inserire alcune indicazioni da sottoporre al dibattito prossimo.
La scelta di campo tra democrazia e libertà ed oscu-rantismo terrorista, che ovviamente non può che essere netta , deve peraltro tradursi in indicazioni e valu-tazioni sul ruolo del nostro Paese nella politica mondiale, sulla visione delle istituzioni europee e sulle al-leanze internazionali: occorrerà valorizzare ed ulteriormente sviluppare il lavoro di elaborazione e di rea-lizzazione che meglio di ogni altro, e non solo in Italia, Emma Bonino ha svolto in questi anni e che già nelle elezioni europee del 2000 avevano portato ad uno straordinario risultato di apprezzamento e con-senso.
Così come è necessario riprendere in maniera seria la riflessione sul federalismo, che ha avuto per decenni diritto di cittadinanza solo nella nostra area culturale e politica e che, nel momento nel quale è diventato questione politica di attualità, al punto da generare ben due riforme costituzionali nel giro di cinque anni ed una modifica addirittura della forma di Stato in Italia, è stato ridotto ad argomento di po-lemica e tattica di breve periodo. Lo scadimento del confronto politico alla lotta tra slogan e dichiarazioni più o meno brillanti ha svilito un argomento sui quali i padri della nostra Patria, dal Risorgimento al se-condo dopoguerra, hanno profuso le loro migliori capacità e conoscenze.
La questione irrisolta della ripartizione del debito pubblico fra le diverse comunità, il rapporto fra Stati europei legati da una moneta comune, il problema dei vincoli e delle garanzie di mercato e della concorrenza sono LA questione delle questioni da affrontare e sulla quale rimodellare una teoria ed una pratica federalista seria e non imparen-tata con il fastidioso e dannoso squittio che ha generato i dannosi ed incongruenti interventi legislativi di questi ultimi anni.
Occorrerà, proprio partendo dalla Milano ridotta intenzionalmente ad amministra-zione condominiale, riprendere e sviluppare in tempi brevissimi la problematica del governo di aree me-tropolitane nell’era della comunicazione globale , individuando i livelli ed i luoghi di governo e di deci-sione: ancora una volta, dovendo mettere rimedio ad assurdità istituzionalizzate, quali il contemporaneo moltiplicarsi delle Province e l’impoverimento dei bilanci degli enti locali.
Ed infine, ritrovare e ri-proporre il tema della partecipazione dei cittadini al dibattito ed alle scelte, attraverso l’uso di strumenti a torto considerati vecchi e desueti, quali le strutture di partito, e nuovi, resi possibili dalla diffusione della straordinaria tecnologia della comunicazione oggi a disposizione, che impongono a tutti un aggiornamen-to delle tecniche di comunicazione politica, un po’ ferma ai tempi del ciclostile..
Come qualcuno di più importante di noi ebbe a dire, si può fare politica sapendo un po’ di tutto oppure tutto di un po’: non la si può fare invece sapendo nulla di niente.